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Sorveglianza e rifiuto, il mantra dell’Europa

Come funzionerà il nuovo Patto su migrazioni e asilo? Approvato ad aprile dal Parlamento europeo è in attesa del via definitivo del Consiglio, forse entro maggio. Restringerà fortemente il diritto dei rifugiati, rafforzerà i sistemi di controllo alle frontiere e legalizzerà il confinamento dei migranti trattenuti, estendendo anche il concetto di paese terzo sicuro.

Sorvegliati speciali. Da respingere e rimpatriare il prima possibile.

E’ questo il destino che attende i migranti e i richiedenti asilo che proveranno a raggiungere la Fortezza Europa, sempre più barricata su sé stessa. In futuro, lo sarà più di ieri, dopo l’approvazione da parte del Parlamento europeo del Patto sulla migrazione e sull’asilo lanciato dalla Commissione Europea il 23 settembre 2020 con l’obiettivo (dichiarato) di promuovere una politica comune europea, capace di “affrontare le pressioni migratorie”.

Secondo i comunicati ufficiali il Patto approvato permetterebbe di conciliare “responsabilità e solidarietà” (nei confronti di chi?). Nei fatti, se sarà approvato anche dal Consiglio Europeo, come previsto, chiedere e ottenere asilo nell’Unione Europea sarà sempre più difficile. Non una rivoluzione, ma un passo ulteriore verso l’indebolimento del diritto di asilo, il rafforzamento dei sistemi di controllo e di sorveglianza delle frontiere esterne e l’estensione delle ipotesi di quel sistema di “trattenimento” dei migranti e dei richiedenti asilo (che in Italia conosciamo molto bene) che il Regolamento Pre-screening, (art. 2, c. 12) definisce senza mezzi termini come una forma di “confinamento”.  

Basterebbe pensare del resto a ciò che è già successo fino ad oggi, ai diritti violati, alle vite perse nel Mediterraneo, per rabbrividire di fronte al cinismo (elettorale), alla miopia (politica) e alla disumanità (inqualificabile) del voto europeo del 10 aprile. 

Ma di cosa stiamo parlando?

Il Parlamento Europeo ha approvato dieci diversi regolamenti (i testi sono disponibili qui) che entreranno in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Europea e troveranno applicazione due anni dopo. Alcuni testi sono molto complessi e profondamente modificati nel corso del processo di negoziazione politica che ha preceduto il voto del 10 aprile.  Illustrarne in dettaglio i contenuti è impossibile, qui ci preme soffermarci su alcuni punti.

Prescreening

E’ prevista una “procedura integrata di frontiera” che, prevede accertamenti preliminari all’ingresso riguardo all’identificazione di tutte le persone che attraversano le frontiere esterne dell’Unione Europea senza autorizzazione o che sono sbarcate in seguito a un’operazione di ricerca e soccorso. Si tratta di controlli sanitari, di sicurezza e biometrici, rilevamento delle impronte digitali e registrazione nella banca dati Eurodac da espletarsi entro 7 giorni. Il Patto prevede incredibilmente, come ha evidenziato Save the children, che siano sottoposti a questi controlli anche i bambini di età superiore ai 6 anni e che per eseguirli si possa ricorrere, se necessario, anche a forme di coercizione. Considerando il rapido sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale e l’esonero dei requisiti di trasparenza pubblica del loro utilizzo previsto per le persone migranti nell’European Artificial Intelligence Act (EU AI Act) approvato dal Parlamento europeo nel marzo scorso, c’è molto di cui preoccuparsi.

Procedura accelerata di frontiera

Dopo i controlli di sicurezza e sanitari, le persone richiedenti protezione internazionale saranno “incanalate” verso la procedura accelerata di frontiera o verso la procedura di asilo ordinaria. L’obiettivo è velocizzare il più possibile la procedura di esame delle domande di asilo, il che aumenta il rischio di violare tale diritto, soprattutto per le persone più vulnerabili. Viene estesa in modo significativo la possibilità di attivare la procedura accelerata di frontiera, la cui durata massima prevista è di 12 settimane, che coinvolgerà (Art. 42 Regolamento Procedure) le persone considerate pericolose per la sicurezza o per l’ordine pubblico (minori compresi), quelle che abbiano fornito informazioni false, quelle provenienti da paesi terzi definiti “sicuri” e quelle che siano cittadine di paesi terzi caratterizzati da un tasso di accoglimento delle domande inferiore al 20%. Come ha osservato Gianfranco Schiavone la procedura accelerata di frontiera, che dovrebbe costituire l’eccezione, diventa di fatto “l’orizzonte ordinario e la procedura ordinaria diventa invece un’ipotesi residuale”. Ciò anche grazie all’estensione del concetto di “paese terzo sicuro” che consente di applicare questa definizione a paesi che non lo sono affatto. 

L’accoglienza diventa sempre più detenzione

Secondo il Regolamento Procedure (considerando 65), “Quando applica la procedura di esame alla frontiera della domanda di protezione internazionale, lo Stato membro dovrebbe provvedere alla predisposizione delle condizioni necessarie per accogliere il richiedente alla frontiera esterna o in prossimità della stessa ovvero in una zona di transito, come regola generale. (…) Lo Stato membro può esaminare la domanda in un punto della frontiera esterna diverso da quello in cui è fatta domanda d’asilo, trasferendo il richiedente in uno specifico luogo sito alla frontiera esterna ovvero in prossimità della frontiera dello Stato membro interessato, o in altri luoghi designati sul proprio territorio nei quali vi sono strutture adeguate. È opportuno lasciare agli Stati membri la libertà di scegliere gli specifici luoghi nei quali intendono approntare tali strutture”. 

Per i paesi che ospitano frontiere esterne come l’Italia, ciò si tradurrà (o dovrebbe tradursi) nell’estensione del sistema di trattenimento dei richiedenti asilo e nella moltiplicazione di strutture detentive, in particolare nelle regioni meridionali di frontiera. Il ministro Piantedosi è tra coloro che hanno definito il voto del 10 aprile un “successo per l’Italia”, forse pensando proprio alla ulteriore legittimazione della detenzione dei richiedenti asilo offerta dalle nuove norme comunitarie. 

Gestione delle “crisi” migratorie 

Contrariamente a quanto propagandato, non è previsto alcun principio di solidarietà obbligatoria. In particolari situazioni (di “crisi migratoria”, pressione migratoria o di uno sbarco di migranti soccorsi in mare), la Commissione potrà richiedere la collaborazione dei Paesi membri che possono scegliere di esprimere la loro “solidarietà” al Paese interessato dagli arrivi optando per la ricollocazione (il trasferimento e l’accoglienza di alcuni richiedenti asilo sul proprio territorio) o la “sponsorizzazione” delle operazioni di rimpatrio sotto forma di risorse o di mezzi per un valore stimato in circa 20mila per ciascun richiedente asilo.

Le vite, i diritti e le aspirazioni dei migranti e dei richiedenti asilo restano fuori dalle aule del Parlamento Europeo. Le persone sono ridotte ad oggetti da identificare, registrare, foto-segnalare, accogliere in strutture chiuse “designate”, rimpatriare se possibile o “trasferire” in un altro paese, ammesso che questo non preferisca evitarne l’arrivo “pagando” un contributo economico, di personale o logistico. Con i soldi si può fare tutto, sembra, tranne accogliere.

Un “successo per l’Italia e per l’Europa”?

Come spesso abbiamo ricordato, e come la stessa storia nazionale e europea recente insegna, tra l’approvazione delle norme, la narrazione che se ne fa e la loro effettiva e concreta applicazione può intercorrere una grande differenza. 

Già in passato, ad esempio, piani ambiziosi di “redistribuzione” solidale dei richiedenti asilo sono falliti (si pensi, solo per fare un esempio, al piano di ricollocazioni che fu proposto dopo la crisi umanitaria del 2015). La costruzione di strutture detentive trova nella realtà maggiori ostacoli delle dichiarazioni che la anticipano e delle norme che la finanziano (il caso italiano insegna). Allo stesso modo, l’aumento del numero di rimpatri eseguiti, vero e proprio mantra che ritorna nei documenti europei ufficiali sin dai tempi di Tampere (1999), è facile da mettere in agenda, più difficile da realizzare, persino in tempi come questi, nei quali l’Unione Europea sembra particolarmente incline a sviluppare quella cooperazione opportunistica con i paesi terzi che sono pronti a collaborare per impedire le partenze, stringere accordi di riammissione e sorvegliare (magari sparando contro i naufraghi e chi li soccorre) le acque del Mediterraneo. Per non parlare della legittimità e dell’effettiva operatività, tutte da dimostrare, dell’accordo stretto recentemente dal governo italiano con quello albanese.

Gli effetti concreti delle norme approvate il 10 aprile sulla vita dei migranti e dei richiedenti asilo li vedremo come detto tra qualche anno. Un primo risultato però c’è già stato: quella parte di Europa che vuole innalzare muri e rivendica confini nazionali ed europei sempre più netti, che fa del nazionalismo, della xenofobia e del razzismo il suo programma elettorale, dopo il 10 aprile è sicuramente più forte.

Refugees welcome ha parlato di “fine del diritto di asilo in Europa così come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi”; Arci non ha esitato a considerare il Patto “una resa dell’UE alla destra xenofoba e razzista”. Sicuramente, come ha efficacemente denunciato Amnesty International, le nuove norme provocheranno molte sofferenze in più alle persone che dovrebbero invece trovare accoglienza e protezione. 

Un pessimo programma per l’Europa che verrà.

Articolo pubblicato anche dal sito Cronache di Ordinario Razzismo