Il governo guidato da Boris Johnson, ha sostenuto il sì al referendum, promosso la campagna per una Brexit dura segnata soprattutto dalla questione dell’immigrazione. Ma ora sta scontando una ripresa postpandemica lenta e un aumento dei prezzi per questo stop ai flussi di lavoratori stranieri. Da Internazionale.
C’è chi invoca l’intervento dell’esercito: almeno duemila autisti con le stellette, per sostituire i camionisti mancanti e portare rifornimenti alle catene di fast food. Chi chiede una revisione delle regole del dopo Brexit, per includere gli autisti dei tir tra i lavoratori altamente specializzati che possono entrare senza visto. Chi, dagli scranni del governo di Boris Johnson, si appella agli imprenditori perché assumano manodopera britannica. E chi già teme un Natale rovinato per scaffali vuoti o prezzi alle stelle (o entrambi).
Il doppio impatto del covid e della Brexit sta colpendo duro sui consumatori britannici, con una crisi di mezza estate esplosa sul trasporto delle merci, a partire da due beni di consumo quotidiano: polli e latte. Non è l’unico cortocircuito dell’economia postpandemica, che in tutto il mondo sta facendo saltare le catene del valore: dalla crisi dei microchip, che ha portato le principali case automobilistiche mondiali a chiusure temporanee delle fabbriche (in Italia, non riapriranno dopo le ferie gli stabilimenti di Sevel in Val di Sangro e di Stellantis a Melfi), al vertiginoso aumento dei prezzi del trasporto marittimo. Ma nel caso britannico, si aggiunge un terremoto sul mercato del lavoro, destinato a svuotare – insieme agli scaffali – molti luoghi comuni degli ultimi tempi.