Le pagine della crisi/Paul Krugman ha parlato di «mezzogiornificazione» delle periferie continentali. Così la questione meridionale è diventata europea
In un mondo con un’economia sempre più globalizzata era del tutto ragionevole che gli stati europei si proponessero l’unificazione dell’Europa. È con questa considerazione che si è arrivati all’euro e all’attuale unione incompiuta: il Parlamento europeo (da eleggere il 25 maggio prossimo) conta assai poco e manca ancora un governo dell’Unione europea.
In questo processo di unificazione, i paesi economicamente più deboli – Portogallo, Italia, Grecia e Spagna (chiamati sprezzantemente Pigs) – si sentono disarmati di fronte alle economie più forti, soprattutto Germania e Francia, la cui produzione di merci è decisamente più competitiva, e ci sono pressioni per tornare alle monete nazionali. La situazione attuale di questi paesi è sotto i nostri occhi: disoccupazione, imprese che chiudono, emigrazione. Fenomeni questi che aggravano ulteriormente le attuali differenze di produzione e competitività. Si aggiunga che, al posto di uno stato unitario europeo che batta moneta e realizzi una sua politica economica per fronteggiare tali disparità, c’è la malfamata Troika (Fondo monetario, Banca centrale europea, Commissione europea), cioè il governo delle banche.
Rispetto a questa unificazione europea, noi italiani abbiamo la dura e storica esperienza della nostra unificazione nazionale e dell’ormai famosa “questione meridionale”. Oggi siamo di fronte alla questione meridionale europea e questo giudizio non è solo mio ma, molto più autorevolmente, di Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, che già nel 1991 ha messo in evidenza la «mezzogiornificazione» delle periferie europee, dimostrando che con la moneta unica l’Europa sarebbe stata investita da intensi processi di concentrazione della produzione e dell’occupazione nei paesi economicamente più forti, mentre le aree periferiche del continente europeo sarebbero state colpite da fenomeni di desertificazione produttiva e di migrazione verso l’estero.
La nostra questione meridionale nell’attuale situazione va ristudiata. Prima della nostra unità nazionale le regioni del sud, benché non come la Lombardia, non stavano tanto male: avevano la loro moneta e si proteggevano con le dogane e altro. Vale ricordare che il Regno di Napoli aveva un suo splendore e che in Italia la prima linea ferroviaria vide la luce in Campania, tra Napoli e Portici e che la città di Napoli aveva un prestigio internazionale. È con l’unità nazionale che le regioni del Sud vedono chiudere le industrie e vengono investite dalla fuga nell’emigrazione nelle Americhe e nel nord Europa. Una fuga migratoria – non va dimenticato – che si è ripetuta subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, prima che si pensasse a una pur modesta riforma agraria e alla Cassa del Mezzogiorno. «Imparate le lingue» consigliavano i ministri di allora quando si recavano nel sud, per incoraggiare i meridionali ad emigrare, ad andare a far funzionare le industrie del nord Italia, e del nord Europa. Ed è lo stesso fenomeno di oggi che coinvolge i cittadini dei Pigs. Per gli spagnoli e i portoghesi le vie dell’emigrazione sono le ex colonie, l’Angola, il Mozambico, il Brasile e i paesi latino-americani (non hanno nemmeno bisogno di imparare le lingue!). Per gli italiani e i greci resta il nord Europa, con il risultato che così si allarga il gap tra Mezzogiorno d’Europa e Nord.
Insomma l’unificazione europea non è ancora compiuta e già si è aperta una questione meridionale a livello continentale e molto più grave e pericolosa di quella italiana. E non dimentichiamo che non solo in Italia, ma anche in Spagna, Portogallo e Grecia ci sono stati governi fascisti. In Italia la questione meridionale si è aperta con uno stato unitario, con eguali diritti e doveri per tutti i cittadini e anche per tutte le banche. Uno stato unitario che produsse anche la Cassa del Mezzogiorno. Pensate se in Italia (come oggi in Europa) ci fosse stata solo l’unificazione monetaria: la lira valida in tutte le regioni, ma con l’autonomia legislativa di ciascuna regione. In questa ipotesi le regioni autonome del Mezzogiorno sarebbero state ancora di più condannate alla miseria. L’unificazione è solo monetaria, e quindi disastrosa, e al contrario di quel che ci insegnavano a scuola, non è più il sovrano che batte moneta, ma ormai sovrana è la moneta.