Le diseguaglianze che crescono, e i cambiamenti nella loro percezione. Un’anticipazione dal libro “Le ricchezze oscene”, di Phillippe Steiner (Ets, 2012)
Con la crisi finanziaria l’ordine economico si trova a doversi confrontare con una situazione che rende desuete tutte le nostre convinzioni sulla scala delle disuguaglianze, nonché sul mercato che dovrebbe fornire una misura del merito alla base di queste stesse disuguaglianze. La legittimità di quest’ordine appare messa in discussione, e non solo dalla base della gerarchia sociale.
Per comprendere l’ampiezza dei cambiamenti provocati dall’attuale crisi bisogna tornare indietro di una decina d’anni. Un’indagine internazionale, condotta nel 1999, fornisce risultati interessanti riguardo alla percezione delle disuguaglianze di reddito prima della crisi (1). Quattro dati saltano agli occhi: 1) La forma della distribuzione dei redditi è mal nota: la maggior parte delle persone se la rappresenta come un triangolo (una larga base di poveri e pochi ricchi) o come un rombo (pochi poveri, pochi ricchi e una classe media molto ampia), quando essa ha piuttosto la forma di un rombo troncato alla base. 2) Le disuguaglianze sono considerate troppo forti in tutti i paesi: si va dal 66% delle persone intervistate negli Stati Uniti all’89% in Spagna, passando per l’82% e l’87% in Gran Bretagna e in Francia. 3) La distribuzione dei redditi a forma di rombo è quella a cui gli individui aspirano: in questo modo un ampio ceto medio riposerebbe su uno stretto vertice di poveri e su questa base si innalzerebbero progressivamente i ceti più ricchi, fino a disegnare uno stretto vertice di persone ricchissime. 4) Alla fine, se gli stipendi e la loro gerarchia sono abbastanza noti, le remunerazioni più alte non lo sono affatto.
Se all’epoca si chiedeva alle persone di stabilire il rapporto tra quello che guadagnava il capo di una grande impresa e quello che guadagnava un operaio non specializzato, si ottenevano le risposte riportate nella prima riga della tabella qui sotto.
Rapporto tra il reddito del capo di una grande impresa e il reddito di un operaio non specializzato secondo l’indagine ISSP del 1999
Svezia |
Spagna |
Germania |
|
|
Francia |
|
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3,8 |
5 |
8 |
12,5 |
12,5 |
16 |
|
2,1 |
2,8 |
5 |
45 |
5,6 |
6,3 |
Gli ordini di grandezza erano già allora abbondantemente sballati, dal momento che nel 2002 il rapporto tra lo stipendio di un operario non specializzato francese e il reddito medio dei capi del gruppo CAC 40 erano di 1 a 177; nello stesso periodo, negli Stati Uniti, era dell’ordine di 1 a 300. In realtà, lo scarto stimato dagli intervistati corrispondeva piuttosto al rapporto tra il reddito dell’operaio non specializzato e i redditi delle classi medie superiori, come se gli intervistati non riuscissero a vedere al di sopra di quelli.
La seconda riga della tabella mostra invece il rapporto che le persone intervistate consideravano auspicabile per ciò che riguarda la disuguaglianza di retribuzione tra l’amministratore delegato e l’operaio non specializzato. Ne risultava implicitamente la misura dell’uguaglianza nei diversi paesi. Fatta eccezione per la Germania, si può osservare come la riduzione auspicata della disuguaglianza fosse tanto più alta quanto più elevata era la disuguaglianza percepita: in Svezia e in Spagna sarebbe stato sufficiente dividere la disparità di reddito per un fattore di 1,8, mentre in Francia o negli Stati Uniti sarebbe stato necessario dividerlo per 2,5.
Cos’è successo dopo? Lo studio realizzato nel 2010 mostra un’evoluzione nelle risposte dei francesi: lo scarto stimato è stato moltiplicato per 4 (passando dall’1 a 16 all’1 a 63) e lo scarto auspicato è stato moltiplicato per poco meno di 3. L’esplosione delle disuguaglianze non è quindi sfuggita ai francesi. Questo significa forse che nel tempo l’opinione pubblica si adatta e finisce per accettare un livello sempre crescente di disuguaglianza? Quest’interpretazione, piuttosto comoda, non è tuttavia soddisfacente per una ragione essenziale: sia prima sia dopo la prova della crisi finanziaria, le risposte lasciano trasparire una forte sottovalutazione delle retribuzioni oscene. Certo, dal 1999 al 2010, l’errore di valutazione è diminuito della metà, ma è restato tuttavia considerevole, soprattutto se si pensa quanto siano sottostimati i picchi massimi di queste retribuzioni.
L’inchiesta del 2010 mette così in luce una differenza nella capacità di valutazione dei redditi. Per i redditi ordinari, le risposte fornite dai francesi intervistati sono molto vicine alle statistiche dell’Insee (2): l’errore medio va dal 10 al 14% per i redditi dell’operaio non specializzato, dell’impiegato e del medico, ed è pari a zero per il reddito di un insegnante, valutato in maniera pressoché esatta. Le risposte diventano invece meno precise quando si tratta dei ministri, il cui reddito è sopravvalutato del 23% – anche se c’è da dire che, in questi casi, il reddito monetario non è che una parte del reddito reale, che dipende anche dalle agevolazioni extra (alloggio, spese di viaggio, di rappresentanza, vitto, ecc.). Ma è con i redditi più elevati che le persone intervistate perdono la bussola: stimando il reddito dei capi delle grandi imprese intorno a 70.000 euro mensili, la sottovalutazione oscilla tra il 500 e il 300%, a seconda che si tenga conto o meno di stock options e bonus differiti! Lo stesso fenomeno si riproduce in scala minore per quanto riguarda il reddito delle «stelle del calcio»: con 165.000 euro al mese, il loro reddito è sottostimato del 190% (3).
Questa forte differenza nella capacità di valutazione dei redditi ha innanzitutto un significato sociale: c’è un baratro tra i redditi delle persone che si trovano alla sommità della gerarchia e quelli di tutti gli altri. Mentre l’ammontare dei redditi percepiti nel mondo economico ordinario è ben noto, i redditi che prevalgono al vertice della gerarchia non lo sono affatto. La sottovalutazione mostra come l’ammontare di questi redditi sfugga completamente al mondo economico ordinario, benché le persone intervistate abbiano ben compreso che le disuguaglianze si sono accresciute.
(1) Considero solo i dati relativi all’Europa (Svezia, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania) e agli Stati Uniti. Per una visione più generale dell’indagine, cfr. il libro di Michel Forsé, Maxime Parodi, Une théorie empirique de la justice sociale, Hermann, Paris 2010, capitolo 6.
(2) [L’Insee (Institut national de la statistique et des études économiques) è l’ente incaricato della produzione e dell’analisi delle statistiche in Francia].
(3) Nel 2009, il reddito medio dei dieci calciatori francesi più pagati del campionato si aggirava intorno ai 3,8 milioni all’anno.
* Il testo qui pubblicato è uno stralcio tratto dal primo capitolo del libro “Le ricchezze oscene”, di P. Steiner, Ets 2012 (10 euro).