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Salute in (s)vendita: dai brevetti ai filantropi

La salute non è un mercato da amministrare né un atto di carità. Quando l’accesso alle cure dipende da brevetti e capitali, il potere passa dalle istituzioni ai privati, svuotando il principio di uguaglianza alla radice della democrazia. La tavola rotonda sulla Salute internazionale nelle giornate di Laboss a Fiesole.

La salute è da tempo brutale terreno di scontro, in Italia ma non solo: privatizzazione dei servizi, diritti di proprietà intellettuale che trasformano la conoscenza in merce, filantropi che dettano l’agenda pubblica, disinformazione che mina la scienza. In gioco non c’è solo la tenuta dei sistemi sanitari, e l’idea stessa che la salute sia un diritto e non un privilegio da mercanteggiare. In gioco c’è la democrazia. 

Questo il perimetro delle questioni che si sono discusse a Fiesole durante la terza giornata del convegno “Itinerari di politiche per la salute”, organizzato da LABOSS (Laboratorio salute e sanità) con la collaborazione di Salute diritto fondamentale, Salute internazionale e Sbilanciamoci!. A coordinare la tavola rotonda, Pirous Fateh-Moghadam (Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento), che ha dato il via a una discussione tesa e lucida sulla fragilità del diritto alla salute nell’attuale scenario mondiale. 

Partiamo da un paradosso lampante: il vaccino anti-HIV costa 15 dollari per essere prodotto ma arriva a 12.000 sul mercato, come ha condiviso Massimo Florio, professore di Scienza delle Finanze all’Università di Milano. E non è un’eccezione. Florio ha citato dati che mostrano come l’industria farmaceutica, con il suo fatturato, vanti profitti doppi rispetto agli altri settori industriali globali.

Una delle questioni strutturali al cuore del problema, ha spiegato, è il sistema attuale dei brevetti: “Un brevetto è un monopolio legale che contraddice la libera concorrenza. È un dispositivo di esclusione che privatizza conoscenza e i prodotti che ne derivano, ormai generalmente pagati dalla collettività, visto che la ricerca d’impresa è largamente finanziata dai fondi pubblici”. Dietro a questa affermazione c’è l’esempio di UniProt, la più vasta banca-dati pubblica dedicata alle proteine. Nata nel 2002 dalla collaborazione tra l’European Bioinformatics Institute, lo Swiss Institute of Bioinformatics e il Protein Information Resource statunitense, UniProt raccoglie e organizza in modo libero e gratuito le conoscenze proteomiche prodotte in tutto il mondo, diventando una risorsa fondamentale per i laboratori di ricerca di tutto il mondo. Ma mentre i ricercatori vi accedono liberamente, le multinazionali farmaceutiche attingono a quelle stesse informazioni per depositare centinaia di brevetti, senza che la collettività che li ha finanziati veda ritorni economici.

Florio non si limita alla diagnosi del problema, peraltro noto da decenni e ritornato alla ribalta durante la pandemia con la proposta di India e Sudafrica (ottobre 2020) di implementare la sospensione dei diritti brevettuali durante l’emergenza sanitaria dovuta al COVID. Al Parlamento europeo ha infatti portato una proposta: creare un’infrastruttura pubblica europea per la ricerca biomedica, sul modello dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), con lo scopo di garantire e promuovere una ricerca vocata alla salute pubblica, in modo tale che i risultati di ricerche finanziate dai contribuenti non finiscano sotto il controllo proprietario ed esclusivo delle multinazionali.

La scienza indipendente, del resto, è sempre più un bersaglio. Daniele Mandrioli, dell’Istituto Ramazzini di Bologna, ha riportato vent’anni di studi che hanno anticipato la pericolosità per la salute umana di molte sostanze chimiche utilizzate in diversi settori industriali attraverso accurate ricerche tossicologiche. Ultimo in ordine di tempo e importanza, il primo studio globale sulla tossicità e cancerogenicità del glifosato, l’erbicida più usato al mondo. Un lavoro complesso e necessario, che ha prodotto evidenze inconfutabili. E tuttavia, queste ricerche sono state e continuano ad essere ostacolate e screditate, con una macchinazione di interventi che risentono ancora del caso scuola dell’industria del tabacco. Oggi però il clima si è fatto assai più minaccioso per le persone coinvolte nella ricerca, minacciate individualmente. “C’è una guerra alle evidenze scientifiche”, ha detto Mandrioli, “che non consiste più solo nella pubblicazione dell’articolo pseudo-scientifico prezzolato: oggi si manifesta con attacchi personali ai ricercatori e un rischio sempre più concreto di trasformare e manipolare fatti oggettivi in azioni di rivalsa anche violenta nei confronti di chi produce evidenze scientifiche”.

Mandrioli ha ricordato come gli studi sulla pericolosità di amianto e aspartame, oggi universalmente riconosciuti, abbiano salvato milioni di vite, più di quanto tanti farmaci possano vantare. La lezione è chiara: senza protezione per la ricerca indipendente, la prevenzione diventa un lusso, non un diritto.

Il quadro si fa ancora più cupo se si guarda alla politica internazionale. Il ritiro degli Stati Uniti dall’OMS, i tagli ai finanziamenti di USAID e la ruvida ostilità verso la comunità scientifica cui assistiamo ogni giorno con l’attuale amministrazione Trump hanno effetti dalle conseguenze catastrofiche. Luca De Fiore, direttore di Il Pensiero Scientifico, ha raccontato con dovizia di particolari il ruolo del Segretario della Salute americano Robert Kennedy Jr. nell’alimentare movimenti anti-vaccino e promuovere azioni del tutto contrarie al metodo scientifico come la creazione del Journal of Academic Public Art, una rivista presuntamente scientifica nata per aggirare la tradizionale procedura di peer review, per favorire meccanismi alternativi di selezione. In questo formato, possono pubblicare solo autori invitati e scelti in base al curriculum, un espediente che consente di diffondere tesi non verificate mantenendo una patina di autorevolezza accademica.

“Ci stanno subdolamente sottraendo argomentazioni e togliendo strumenti fondamentali di lavoro nel campo della conoscenza”, ha ammonito De Fiore, sottolineando il pericolo di una scienza delegittimata, sempre più assoggettata alla polarizzazione della politica, in un momento storico in cui il mondo avrebbe bisogno di fatti solidi per affrontare crisi globali, dalle pandemie al cambiamento climatico. 

Quanto illustrato nella discussione produce effetti drammatici, di cui la società civile internazionale si occupa da molto tempo, anche perché alcune delle traiettorie identificate fin qui non sono nuove, ma vanno rintracciate in assetti di governance globale che hanno lasciato sempre più spazio alla deregolamentazione del settore privato, sottolinea Nicoletta Dentico, responsabile del programma di Salute Globale di Society for International Development. La pandemia ha prodotto non l’auspicato cambio di rotta rispetto ad assetti della globalizzazione finanziaria che si abbattono sul diritto alla salute, quanto piuttosto una accelerazione verso l’immunità come principio regolatore e un futuro di biosorveglianza che sta tutto in capo ad un manipolo di giganti oligarchi. “Si parla in genere di “corporate capture” per dire le interferenze dei privati sulle scelte della politica, ma ritengo che dopo COVID-19 siamo decisamente passati ad un regime di “corporate governance”, nel senso che gli interessi e la cultura dell’impresa, così pervasivi nella gestione della cosa, pubblica, sono ormai interpretati da quelli che possiamo definire Stati privatizzati”. La filantropia strategica, che da tre decenni ormai agisce come broker tra pubblico e privato, domina non più solo il Sud del mondo: Bill Gates ad esempio è approdato in Europa durante la pandemia, più influente di molti governi occidentali, forte della sua posizione dominante e della sua cultura imprenditoriale che è essenzialmente autocratica”. La chiusura di programmi come USAID – che coprivano il 43% degli aiuti internazionali – rischia di lasciare milioni di persone senza accesso ai farmaci essenziali, causando oltre 14 milioni di morti evitabili entro il 2030, secondo uno studio su The Lancet. D’altra parte, questo cataclisma ci ha permesso di vedere – forse per la prima volta – la fragilità di un sistema neo-coloniale che poggiava in prevalenza sui fondi di cooperazione degli Stati Uniti. Forse è arrivato il momento di tornare ad affrontare le questioni per la profonda valenza politica che hanno, dice Dentico. Non possiamo dimenticare che i Paesi ricchi continuano a incassare dal debito del Sud del mondo – 8.965 miliardi di dollari versati al Nord con il pagamento del debito nel 2022, secondo la Banca Mondiale, contro i 312 miliardi di dollari erogati dai Paesi donatori al Sud globale nel 2022, secondo l’OCSE. Intanto, anche i Paesi europei si ritraggono dagli impegni di cooperazione, sulla scia del bullismo di Donald Trump.

Don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa CUAMM, ha portato numeri che parlano della realtà africana: 40 dollari di spesa sanitaria pro capite in Uganda contro i 3.000 dell’Italia (WHO, 2023); una carenza stimata di sei milioni di operatori sanitari entro il 2030; farmaci essenziali che costano di più nei Paesi a basso reddito che in quelli ricchi. “Qui il diritto alla salute è un miraggio”, ha detto, parlando dell’Africa Sub-Sahariana. “E mentre i donatori si ritirano, il debito strangola intere nazioni. In Mozambico solo il 7% del bilancio resta per i farmaci. È una percentuale spropositata del PIL che va a pagare interessi”. In questo contesto il CUAMM lavora con le comunità alla ricerca di risposte, che vanno sotto la denominazione di “frugal innovation”: motorette usate come ambulanze, cappellini di lana al posto di culle termiche. Soluzioni ingegnose che salvano vite, ma che mettono a nudo l’assenza di un impegno strutturale della politica internazionale.

La salute non è un mercato da amministrare né un atto di carità da delegare ai filantropi. Quando l’accesso alle cure dipende da brevetti e capitali, il potere passa dalle istituzioni ai privati, svuotando il principio di uguaglianza alla radice della democrazia stessa. L’unica risposta possibile è una scelta politica collettiva che la riporti nel ruolo che le spetta: al centro della sfera pubblica.