Gli articoli di Rossanda in morte di personaggi e amici sono stati raccolti nel volume “Volti di un secolo. Il novecento in 52 ritratti” a cura di Franco Moretti: testi che intrecciano vicende umane e storie politiche, uno specchio per vedere dove siamo, una finestra per guardare il mondo.
Poco più di cinquant’anni fa, l’11 settembre 1973, in Cile il governo di Unidad Popular di Salvador Allende veniva rovesciato dal colpo di stato militare di Augusto Pinochet, e il presidente moriva, un mitra tra le mani, nel palazzo della Moneda assediato dai carri armati. Due giorni dopo Rossana Rossanda scrive di Allende su Il Manifesto: “Il suo tentativo era di arrivare al socialismo attraverso un uso di meccanismi democratici, vecchi e nuovi, che permettessero di sfuggire alla fase autoritaria vissuta altrove”. Ne critica il riformismo che privilegiava gli accordi e gli scontri al vertice della politica, lo vede come un “un uomo della Seconda Internazionale, una figura inchiodata fra la certezza, a lungo termine, delle magnifiche sorti e progressive del popolo e la certezza, a breve termine, della sua immaturità”. Ricorda il loro incontro di due anni prima, ne riassume la traiettoria personale e politica: “Una figura tragica come tragico è il segno di molte rivoluzioni, o tentativi di rivoluzione, del tempo nostro”.
Inizia con Salvador Allende, dopo Gyorgy Lukacs e Pablo Picasso, e si chiude con Christa Wolf, il volume “Volti di un secolo. Il novecento in 52 ritratti”, curato da Franco Moretti (Einaudi, 2023), che raccoglie gli articoli di Rossana Rossanda in morte di personaggi e amici. Una raccolta ispirata dalla dedizione di Doriana Ricci, fedele custode dell’opera di Rossana. Un libro da riprendere in mano nei giorni del centenario di Rossana Rossanda – ricordato il 22 e 23 aprile a Roma nell’incontro “Rossana per noi” (https://www.rossanarossanda.it/gli-eventi/).
Nelle figure che vengono tratteggiate per noi, possiamo riconoscere molto del profilo di Rossana Rossanda. Sono ritratti che combinano vivacità dei ricordi e sguardo lungo, cronache e storia, il dolore che traspira tra le righe, tutto scritto nell’immediatezza e nel poco spazio di un quotidiano tutto politico.
Da grande critico letterario qual è, Franco Moretti sottolinea, nella sua introduzione, l’invenzione della scrittura di Rossana, “la possibilità di scrivere in modo diverso dal solito” facendo i conti con le vite degli altri. Ne ricorda la vena esistenziale, l’interrogativo su “come si deve vivere” che traspare in molte storie, in cui, quasi sempre, “l’esistenza individuale si saldava in un destino collettivo”.
E di quali esistenze parliamo. Di Jean Paul Sartre, appunto, Rossana scrive che “è stato il nostro amico e maestro, forse il più vicino di questi anni”.
Folgoranti molti ritratti. Pablo Picasso “è morto solo, dipingendo, esiliato, miliardario, comunista”. C’è Herbert Marcuse che guarda “le onde lunghe della storia”. Di Simone de Beauvoir scrive: “Aveva la certezza di sé come di una coscienza di relazione, nella quale era inimmaginabile una ricerca tutta o prevalentemente interiore. Aveva vissuto sempre in un flusso, quello della storia che ci trascina”, “le vite in parallelo di quella che era stata la generazione degli ‘impegnati’ ”.
Veniamo agli italiani. “Il lavoro è il terreno bruciante sul quale si è misurata tutta l’esistenza di Bruno Trentin”, responsabile dell’accordo sindacale del 1993: “Non credo che avesse ragione. Non ci perdonò l’attacco che gli muovemmo”. Enrico Berlinguer è stato un comunista “nell’aver dato risposte, giuste o errate che siano state, a una sola domanda: che fare per il popolo, per quella classe operaia così duramente battuta dal muoversi del capitale, per chi vuole cambiare, e come, e che cosa”.
Grande è l’emozione per i compagni del Manifesto. Di Aldo Natoli scrive: “Compagni e amici. Nella stupidità attuale neppure si immagina che cosa è stato il legame tra comunisti allora, un rapporto totale e riservato, un vedersi camminare assieme, inciampare e raddrizzarsi assieme, sorridersi da lontano”. E ricorda che al momento della radiazione del gruppo del Manifesto del Pci Natoli replicò: “Non occorre una tessera per essere comunisti”.
Luigi Pintor è “fucilato dalle perdite” delle persone care. E poi, “Luigi era stupefatto della stupidità con la quale il mondo consuma e uccide. Non era di coloro che riescono ad avere pace senza che la ragione glielo consenta. Si è spento irriconciliato”.
La vicenda, lo stile dei comunisti rieccheggiano spesso, ma a guardare bene prevalgono le persone che dai partiti comunisti sono usciti o sono stati messi ai margini. E c’è vicinanza con i socialisti migliori – Lelio Basso, Riccardo Lombardi, Cesare Musatti, lo stesso Allende.
Di Primo Levi, Rossana ricorda un brano da “I sommersi e i salvati”, il dovere della testimonianza dopo Auschwitz: “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo il nocciolo di quanto abbiamo da dire”, e lo sgomento perché “si affaccia all’età adulta una generazione scettica, priva non di ideali ma di certezze, disposta invece ad accettare le verità piccole, mutevoli di mese in mese, sull’onda convulsa delle mode culturali, pilotate o selvagge. Per noi parlare con i giovani è sempre più difficile”. Come capire il suo suicidio? “Uccidersi a 68 anni, quando basta poca pazienza perché la fine arrivi, significa che è diventato intollerabile non quel restringersi dell’oggi e azzerarsi del domani che sono propri della vecchiaia, ma l’improvvisa perdita di senso di quel che è stato”.
E a proposito di un altro suicidio, di Maurizio Flores, un giovane compagno, Rossana scrive: “Per vivere non occorre vincere, ma sapere per cosa si lotta e che non si lotta da soli”. Quando “il realismo separa la politica dal suo impatto morale, non è che una prospettiva sia caduta, è che si è incrinata la realtà presente di un nuovo modo di essere”.
Sono storie in cui la dimensione umana – essenziale nel riflettere su vite che hanno una fine – non è isolabile dalla politica, dalle relazioni con gli altri, da quel che si è fatto. E’ una visione della politica a cui si domanda molto: una pratica quotidiana che guardi al futuro, e che allo stesso tempo faccia spazio alla complessità delle vite concrete. E’ lo stesso registro che abbiamo trovato nella sua autobiografia, “La ragazza del secolo scorso” (Einaudi, 2005) e questi “Volti di un secolo” appaiono come uno specchio dove riconosciamo il profilo di Rossana.
Ma sono anche una finestra attraverso cui guardare – e provare a capire – il mondo. Come ci ricorda Franco Moretti, questi testi “sono un invito a non perdere l’orientamento, a non dimenticare dove volevi andare, e dove sei finito. Senza angosce, senza melodrammi – ‘senza tante storie’ – ma con serietà”. In tempi di narcisismo asfissiante, di un ‘io’ irrimediabile che occupa comportamenti e politica, questo è un libro di puro ossigeno.