Dalla riforma del mercato del lavoro al contrasto all’evasione fiscale. Un confronto tra le proposte di politica economica di Matteo Renzi e quelle di Stefano Fassina
Nel dibattito interno al Pd sembra prevalere un’attenzione spasmodica intorno a tre temi:
a) le regole in base alle quali dovrà svolgersi il rinnovo degli organi di partito;
b) il rapporto che dovrà stabilirsi tra segretario del partito e candidato premier con ipotesi che oscillano tra l’unificazione e la sovrapposizione dei due ruoli;
c) i diversi posizionamenti, ora definiti, con termine sofisticato, “endorsement” da assumere a favore dei candidati da parte delle correnti, gruppi, leadership locali.
Dietro questo scenario permangono contraddizioni plateali, non tanto sui programmi dei potenziali candidati ai ruoli prima citati, quanto sulle loro ideologie di base. Proviamo ad esemplificare, in base ai materiali di conoscenza disponibili, scegliendo, per comodità di esposizione, due soggetti di riferimento che, pur appartenendo allo stesso partito, il Pd, sembrano rappresentarne, ed è questo che cercheremo di dimostrare, idee-guida diverse o attenzione non univoca a problemi che impongono immediata soluzione.
Una premessa metodologica: nel caso di Renzi ci troviamo di fronte ad una continua evoluzione delle sue proposte 1. Da quelle espresse in occasione della discesa in campo nel 2011 (il Renzi rottamatore), al programma delle primarie del 2012 (il Renzi liberal) ed infine alla Matteonomics del 2013 incarnata da un documento pubblicato dal “Foglio” a fine giugno 2013 2. Per comprendere l’evoluzione tra i testi citati basterà ricordare che sulle 100 proposte del primo Renzi (quelle lanciate nella Leopolda di Firenze) il termine “sinistra” era assente nel documento; nel programma delle primarie del 2012 ricorreva solo due volte; nell’ultima elaborazione del 2013 già dal titolo “il rilancio parte da sinistra” (un’espressione che ricorre ripetutamente in questa bozza, nell’introduzione addirittura quasi ossessivamente) si comprende che gli obiettivi ed il target sono cambiati rispetto alla prima.
Andiamo ora ad un confronto delle posizioni (Fassina vs Renzi) su questioni prioritarie in un progetto della sinistra. Ed iniziamo dall’approccio al lavoro. Fassina lo considera epicentro etico e politico del New Deal globale, da definire nella sua natura economica e sociale. Al quale ridare “dignità” e restituire specificità nel discorso pubblico recuperandolo da componente indifferenziata delle forze produttive e da una mera funzione di accumulazione e di potere di acquisto. Ad una solenne affermazione di principio non sono seguite finora però proposte di riforma del mercato del lavoro.
Nell’ultimo Renzi manca totalmente un accenno al lavoro, oltre che al mercato del lavoro. Se nel 2011 il modello di riferimento era il contratto unico di Boeri e Garibaldi, e nel programma del 2012 si proponeva la flexicurity di stampo scandinavo, nell’ elaborazione del suo pensiero non si individua alcun riferimento alla questione lavoro, con eccezione di una proposta francamente discutibile: creare nuovi posti di lavoro con risorse recuperate dai pensionati “ricchi”. Si legge nel documento: se per i 500 mila pensionati che percepiscono da 2.405 a 3.367 euro (da cinque a sette volte la pensione minima) si interrompe l’adeguamento all’inflazione per due anni si può recuperare un miliardo di euro. Per le pensioni superiori di sette volte il minimo andrebbero infine previsti tagli del 10 per cento e blocco dell’adeguamento all’inflazione per 3 anni: avremmo così un risparmio di tre miliardi il primo anno e di 3,8 miliardi dal terzo anno in poi. Anche per le pensioni che superano di tre o cinque volte il minimo, quelle che vanno da 1.443 fino a 2.405 euro al mese lordi, si potrebbe pensare di dimezzare l’adeguamento all’inflazione per un anno, con un risparmio di 0,7 miliardi l’anno. Questi risparmi potrebbero servire a finanziare 650 mila giovani in servizio civile o apprendistato a cinquecento euro al mese, come accade in Germania. Con una contraddizione, però, tutta da sciogliere: il rischio di perdita di consenso da parte di un’area consistente di voto (quella dei pensionati) a favore della creazione di easy job, destinata ad allargare il pernicioso problema del precariato. Oltre che l’ignoranza di pronunciamenti costituzionali che in passato hanno escluso interventi sulle pensioni fuori da un contesto generale di riforma del sistema fiscale.
Soffermiamoci su un secondo tema, l’evasione fiscale. Renzi suggerisce un’unica Agenzia (Agenzia delle entrate, Guardia di finanza ed Equitalia) per combattere l’evasione, con un recupero annuale del 25-30% da distribuire alle fasce meno abbienti con incitamenti al contrasto alla corruzione ed alla criminalità organizzata. Per contrastare l’evasione fiscale, l’ultimo documento di Renzi prevede appunto di centralizzare le informazioni sui redditi e sui patrimoni dei cittadini, limitare il pagamento in contante a 500€, obbligare i professionisti ad utilizzare strumenti di pagamento elettronici, introdurre la fattura elettronica per i pagamenti tra le aziende ed infine, ridurre le tasse per “incentivare” la fedeltà fiscale. L’idea sarebbe quella di una riduzione immediata dell’Irpef (50 euro) per i redditi netti inferiori a 2000€. Finanziando questo intervento, il primo anno, con i soliti tagli alla spesa pubblica (mantra di ogni discorso sul reperimento delle risorse) e soprattutto vendendo le case popolari agli inquilini, oltre che con l’aiuto della Cassa Depositi e Prestiti. Negli anni successivi si dovrebbe ricorrere (ulteriore mantra) al gettito atteso dall’azione di contrasto all’evasione.
Ma, come da più parti è stato osservato, la vendita del patrimonio pubblico per finanziare spesa corrente equivale a sottrarre risorse future per consumi presenti: una misura iniqua dal punto di vista intergenerazionale. Prevedere un ricavato dal contrasto all’evasione che permetta una riduzione della pressione fiscale sa oggi di ulteriore capitolo di un libro dei sogni.
Fassina, sul punto, sembra orientato ad un’impostazione del problema più politica che strettamente economica: “la pressione fiscale in Italia è insostenibile, c’è una relazione stretta tra pressione fiscale, spesa e sommerso, e c’è un’evasione fiscale di sopravvivenza” – dice Fassina intervenendo ad un convegno organizzato da Confcommercio. “Senza voler strizzare l’occhio a nessuno, senza ambiguità nel contrasto all’evasione – precisa – ci sono ragioni profonde strutturali che spingono tanti soggetti economici a comportamenti di cui farebbero volentieri a meno”. Un contrasto all’evasione che tenga conto di peculiarità, disagi, opportunità di rinvii?
Resta da illustrare un ultimo punto di discussione di particolare attualità: come affrontare, tutte insieme, e senza selezione, il rinvio dell’aumento dell’Iva, l’intervento sull’Imu, il reperimento delle risorse aggiuntive per finanziare la cassa in deroga, i fondi necessari alle missioni internazionali ed il vincolo dell’indebitamento sotto il 3% del Pil. Renzi sul problema, per usare un termine di gergo, non si è “speso” probabilmente per ragioni di consenso. Fassina, partendo da una stima di un fabbisogno di 5 miliardi per gli obiettivi elencati, ipotizza l’eliminazione dell’Imu solo per il 90% delle prime abitazioni, recuperando due miliardi dalla tassazione delle abitazioni di maggior valore così da evitare l’aumento dell’aliquota massima dell’Iva prevista per il primo ottobre e poter concedere agevolazioni fiscali sui beni strumentali delle imprese.
Quali conclusioni trarre da questo confronto delle idee-guida riportabili a Fassina ed a Renzi, condotto peraltro su fronti non omogenei? Fassina ha alle spalle un’ideologia (quella dello stato che interviene nell’economia stimolando la domanda 3), ma sembra volerla conciliare con una sua esperienza di governo. Renzi vuole invece dimostrare il suo totale distacco da ogni “manifesto”, però stranamente si cimenta in modelli di policy ad effetto annuncio che sembrano in qualche caso costruiti apposta non per acquisire consensi pluralisti ma piuttosto per perderli ignorando bisogni di intere classi sociali 4. Impressiona il fatto che i suoi documenti programmatici siano rimasti finora sostanzialmente ignorati dal dibattito pre-congressuale del Pd. Quasi a dimostrazione che nel Pd, nonostante la fine del cosiddetto ventennio del cavaliere, si considera come elemento fondamentale di confronto e di successo solo il marketing del candidato. Quello di Renzi, lo diciamo con rispetto, alla luce dei suoi progetti, sembra più attento alla creazione di un personaggio che attiri consenso (una versione 2.0 del berlusconismo) che ad un programma composto per convincere elettori su un piano che concili ideologia e riformismo. Se i pensionati sapessero …
1 Sul tema non esiste ancora letteratura di riferimento con eccezione di un volume d’occasione: Renzi M., Oltre la rottamazione, Mondadori 2013. 2 Cerasa C., Matteonomics – Renzi punta a scalare il Pd con una piattaforma economica “Laburista”, Il Foglio, 27 giugno 2013. Si veda, altresì, Panara M., Gutgeld, da Israele a Montecitorio “Ecco le ricette della Renzinomics”, La Repubblica – Affari e Finanza, 23 settembre 2013. In questa intervista si chiarisce che le idee esposte, tra cui l’ormai famosa 1 + (4×30) (dove la 1 è la priorità delle priorità, rimettere i soldi in tasca a chi ne guadagna troppo pochi e 4×30 è la formula da adottare per raggiungere questa priorità, nel senso che ogni anno bisogna ridurre la spesa pubblica di 30 miliardi) sono esclusivamente, almeno finora, dell’on. Gutgeld (eletto in Parlamento in quota Renzi). 3 Si veda Fassina S., Il lavoro prima di tutto. L’economia, la sinistra, i diritti. Donzelli 2012. 4 È bene sottolineare che sia Fassina che Renzi non sembrano porre alcuna attenzione nelle loro elaborazioni al problema dei divari territoriali e della coesione sociale del Paese.