Il duopolio Rai-Mediaset, che ha caratterizzato il mercato italiano, sta giungendo al capolinea.Ma rischia di essere sostituito dal monopolio del Renzismo
Il duopolio televisivo Rai-Mediaset, che ha caratterizzato per alcuni decenni il mercato italiano, sta giungendo al capolinea. Secondo l’ultimo bilancio dell’emittente pubblica, nel 2013 la quota di mercato detenuta dalle 78 televisioni private operanti nel nostro paese ha raggiunto il 29%, una quota ormai prossima a quella di Mediaset (32,4%). La quota delle altre televisioni, tra le quali spiccano i gruppi Sky, Cairo-La7 e Discovery che insieme detengono il 16% del mercato, cresce ininterrotta da almeno 12 anni (si veda il grafico 1). Seppur in misura meno pronunciato, lo stesso andamento ha caratterizzato gli ascolti nelle ore di punta (grafico 2).
Il declino dei due principali gruppi si è riflesso nell’andamento della raccolta pubblicitaria, pure pesantemente influenzato dalla crisi economica. Per la Rai, l’introito per pubblicità è diminuito del 45% dal 2007, attestandosi nell’ultimo esercizio a soli 682 milioni di euro (grafico 3); nell’ultimo anno la quota di incassi proveniente dalla pubblicità è stata inferiore al 30% dei ricavi totali (era circa il 50% nel 2000). Per Mediaset il calo della raccolta pubblicitaria si è attestato al 25% nell’ultimo biennio; nel 2013 la riduzione è stata persino superiore a quella della Rai (negli anni precedenti Mediaset aveva sempre acquisito crescenti quote di mercato a scapito del concorrente pubblico).
Contemporaneamente al calo della raccolta pubblicitaria, la redditività e la situazione patrimoniale dei due gruppi è progressivamente peggiorata. Il conto economico della Rai ha chiuso in perdita in sei degli ultimi otto bilanci e nel 2012 il deficit ha quasi raggiunto i 250 milioni di euro; nel 2011 e 2013 l’emittente pubblica ha registrato un sostanziale pareggio, sebbene la situazione patrimoniale e finanziaria abbia continuato a peggiorare; alla fine dello scorso anno i debiti finanziari sopravanzavano di quasi il 50% il patrimonio netto (grafico 4).
Per la prima volta nella sua storia Mediaset ha chiuso con una perdita 287 milioni di euro l’esercizio 2012; nell’ultimo anno il bilancio ha registrato un sostanziale pareggio grazie ad un forte contenimento dei costi operativi; il peggioramento della situazione patrimoniale prosegue da alcuni anni anche per gli esiti di alcune improvvide operazioni di espansione (in primo luogo Endemol, ma anche Digital+ e digitale terrestre).
In una situazione in cui gli introiti pubblicitari tendono a calare sia per la cattiva situazione economica del paese sia per il declino dello share, le attese reddituali e finanziarie di entrambi i gruppi sono strettamente legate al controllo dei costi. Sulle prospettive della Rai incide anche il prelievo di 150 milioni dal canone televisivo introdotto dal governo Renzi per finanziare parzialmente gli 80 euro in busta paga.
Nell’attuale debolezza, entrambi i gruppi hanno avuto un forte interesse alla riforma del canone per le frequenze televisive approvata il 30 settembre dall’Autority per le comunicazioni (Agcom) con la concessione di un consistente sconto nei versamenti all’erario. Secondo il Presidente della commissione di vigilanza Rai, Roberto Fico (Cinque stelle) “nel 2014 lo Stato andrebbe a raccogliere quasi 40 milioni di euro in meno rispetto al 2013. Questo perché le emittenti non verserebbero più l’1% del fatturato, ma le società controllate che gestiscono gli impianti di trasmissione pagherebbero un canone di meno di 10 milioni”.
La decisione dell’Agcom di rimodulare il canone per le frequenze appare da un lato schizofrenica nel confronti della Rai (lo Stato ha prima prelevato 150 milioni, ma poi ne ha restituiti una parte), dall’altro potenzialmente distorsiva della concorrenza, come anche sottolineato nel giudizio negativo della Commissione europea. La riforma sostituisce infatti l’attuale meccanismo proporzionale di calcolo del canone con uno regressivo che avvantaggia gli operatori di maggiore dimensione in crisi di audience a scapito di quelli più dinamici.
Anche gli effetti sulla finanza pubblica non sono del tutto trascurabili; il risparmio concesso agli azionisti di Mediaset corrisponde al versamento mensile di 80 euro ad una platea di circa 10.000 persone. Anche questa vicenda mette in evidenza come nel settore televisivo gli interessi particolari continuino a prevalere su quelli generali che dovrebbero essere assicurati dallo stato.
Per evitare distorsioni di mercato e tutelare l’interesse generale il governo avrebbe dovuto avere una strategia di sviluppo del settore, che tenesse anche conto di come l’innovazione tecnologica cambia le caratteristiche del mercato sia dal lato della domanda che dell’offerta (ad esempio il web sta sovrapponendosi e parzialmente sostituendosi all’offerta televisiva classica). L’obiettivo dovrebbe essere quello di garantire ai cittadini servizi di qualità e la possibilità di ricevere un’informazione completa e veritiera in cui i giudizi siano chiaramente distinti dai fatti. Quello che vediamo ora sui canali Rai-Mediaset è invece un duopolio che assomiglia a un monopolio del Renzismo.