Democrazia ristretta/Trent’anni fa c’era un migliaio di lobbisti a Bruxelles. Oggi sono circa 15 mila, perché oltre alla Commissione devono influenzare anche l’europarlamento
Il 14 marzo la Ue adotterà una direttiva di lotta al tabagismo, già approvata dal Parlamento europeo lo scorso 26 febbraio. La storia di questa direttiva illustra bene l’attività incrociata delle lobbies, che con il passare degli anni hanno assunto sempre più peso nelle istituzioni europee. Questa battaglia del tabacco, che si conclude con un compromesso tra lobbies contrapposte, era costata il posto nell’ottobre 2012 all’allora commissario alla sanità, il maltese John Dalli, sospettato di corruzione per aver avuto contatti troppo ravvicinati con un produttore di tabacco svedese. Nel corso della battaglia per questa direttiva si è venuti a sapere che la Philip Morris, per esempio, tra gennaio e giugno 2012 avrebbe speso quasi 1,5 milioni di euro per «riunioni» con eurodeputati, con l’obiettivo di fare pressione sul loro voto. Un eurodeputato conservatore tedesco, Klaus Heiner Lehne, presidente della commissione degli affari giuridici, è accusato da una ong anti-tabacco di conflitto di interessi per la sua attività di consulente con uno studio di avvocati che ha come cliente un gigante del tabacco. Gli eurodeputati anti-europei britannici dell’Ukip, invece, sono molto attivi nella difesa della sigaretta elettronica, perché pare abbiano preso una bella bustarella dai fabbricanti. Ci sono poi alcuni ex commissari, come il tedesco Günther Verheugen o l’irlandese Charles McCreevy, che dopo l’incarico hanno aperto a Bruxelles uffici di lobbying o sono stati assunti da grandi banche. José Bové, candidato dei Verdi alla presidenza della Commissione, in un libro appena pubblicato, Hold – up à Bruxelles (La Découverte), racconta molti particolari su alcuni esempi di lobbying, dalla patata Amflora ai negoziati in corso sul Trattato Transatlantico (Ttip) con gli Usa.
Trent’anni fa c’era un migliaio di lobbisti a Bruxelles, che lavoravano ai fianchi la Commissione. Ma con l’Atto unico dell’86 (che istituiva il mercato unico e quindi comportava decisioni sulle norme) e poi con il programma di governance del 2001 c’è stata una crescita notevole. Oggi i lobbisti a Bruxelles sono circa 15 mila, perché oltre alla Commissione devono influenzare anche l’europarlamento, che con la co-decisione ha visto i suoi poteri aumentare. Ci sono circa 3 mila gruppi di interesse che operano a Bruxelles, un terzo sono federazioni commerciali, un quinto uffici di consulenza, mentre imprese, sindacati e ong sono il 10% ognuno, le rappresentazioni regionali e le organizzazioni internazionali il 5%, i think tank l’1%. C’è persino una lobby dei senza tetto (Federazione europea dei senza tetto). La presenza delle lobbies è riconosciuta dalla Ue dall’inizio degli anni ’90. Ma Bruxelles non ha seguito gli Usa, dove questa attività è regolamentata dal Lobbying Disclosure Act, che obbliga alla registrazione chi svolge questa attività. In Europa è stato adottato soltanto un più leggero «codice di condotta volontario», rivisto nel 2004, e dal 2011 esiste un Registro delle lobbies, mentre ogni eurodeputato deve dichiarare il suo settore di attività e il suo settore d’interessi. Ma secondo la piattaforma Alter-Eu non tutti i lobbisti si sono registrati e ci sarebbero almeno un centinaio di free riders che non dichiarano nulla. Alter-Eu ha calcolato che il commissario agli affari monetari Olli Rehn tra gennaio 2011 e febbraio 2012 ha avuto il 62% di appuntamenti con organizzazioni non registrate (tra cui tre con rappresentanti di Goldman Sachs, la banca d’affari che nel 2012 ha speso 3,5 milioni di dollari a Washington per influenzare membri del Congresso). Nei palazzi delle istituzioni europee esiste ora un badge del lobbista e l’Università di Strasburgo propone persino un diploma universitario di lobbying europeo, con corsi che si svolgono a Parigi, all’Isel, l’Istituto superiore europeo di lobbying.