La Conferenza sul post-Kyoto è vicina, l’Italia non è pronta. Quel che il nostro paese non ha fatto, quello che si dovrebbe fare. Le richieste delle Organizzazioni non governative in vista di un vertice che dovrebbe essere cruciale per i destini del mondo
Il Protocollo di Kyoto é stato adottato nel 1997, ma é entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica di almeno 55 dei paesi che avevano fatto propria la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, UNFCCC – http://unfccc.int/2860.php – e che allo stesso tempo rappresentassero almeno il 55% dei paesi industrializzati: la condizione capestro concordata in Giappone per evitare il fallimento del vertice di Kyoto.
Il Protocollo fissa obiettivi vincolanti per 37 paesi industralizzati, più l’Unione europea, di riduzione di sei gas climalteranti e tre gas di origine industriale, per comodità tutti convertiti, nell’uso comune, all’equivalenza in CO2. Una riduzione media del 5% rispetto ai livelli del 1990, con la UE che ha sottoscritto l’impegno di ridurre dell’8%, le proprie emissioni.
Il Protocollo di Kyoto é in vigore fino al 2012 e per discutere del post-Kyoto é stata convocata per il prossimo dicembre la Conferenza di Copenhagen.
Se si considera che l’Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo ONU, riferimento scientifico sui cambiamenti climatici, sostiene che per evitare effetti pericolosi ed avere il 50% di probabilità di limitare a 2 gradi centigradi l’aumento delle temperature medie globali, rispetto ai livelli pre-industrali, il mondo industrializzato deve ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti del 25-40% (su base 1990) entro il 2020 e dell’80-95% entro il 2050,. due fatti diventano chiari: 1. quanto minimali siano gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto; 2. quanto seria sia la situazione: già con l’aumento medio di 2° il nostro pianeta si troverà ad affrontare scenari senza precedenti.
Per informazione: 16 nazioni, aderenti al Major Economies Forum on Energy and Climate, sono responsabili per oltre l’80% delle emissioni totali: quelle del G8, i G5 (Cina, India, Brasile, Sudafrica, Messico), più Australia, Corea e Indonesia.
Il paese dove fioriscono i limoni
L’Italia è in ritardo sugli impegni presi. Nel solo 2008 abbiamo accumulato un debito di 1,3 miliardi di euro, 3,6 milioni al giorno, per lo sforamento delle emissioni di CO2 rispetto agli obiettivi sottoscritti in sede internazionale..
Per il quarto anno consecutivo le emissioni italiane si sono ridotte, dopo aver superato nel 2004 dell’11% i livelli del 1990. Nel 2008 sono state 552,8 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, più 6,9% sul 1990. Il recupero degli ultimi anni deriva dall’aumentato prezzo dell’energia, da inverni poco rigidi, dall’arrivo della recessione e per finire dai primi risultati delle politiche di efficienza energetica e di incentivazione delle rinnovabili. Tutto fa pensare che anche il 2009, a seguito della crisi, vedrà un’ulteriore riduzione delle emissioni: ma, in base al Protocollo di Kyoto ed alle decisioni prese in sede UE, l’Italia dovrebbe portarle a 483 milioni di tonnellate CO2 equivalenti entro il 2012, un risultato ancora molto distante – www.kyotoclub.org
Peraltro, il governo, a L’Aquila, ha firmato il documento finale del G8 sui cambiamenti climatici 1, altisonante e tutto da verificare nei fatti, ma che rende bene l’idea di quale sia il dibattito fuori dai nostri confini.
Le richieste delle ONG
160 pagine, con il titolo di “Copenhagen Climate Treaty”, distribuite alle delegazioni dei 192 stati che partecipano ai lavori preparatori della Conferenza di Copenaghen. Analisi con le proposte, in corso di revisione costante, in base agli sviluppi dei negoziati, della coalizione di organizzazioni della società civile, composta, fra gli altri, da WWF e Greenpeace. L’obiettivo principale, a dicembre, deve essere, si sostiene, un accordo che permetta di mantenere l’aumento delle temperature medie globali il più al di sotto possibile dei 2°, rispetto ai livelli pre-industriali e le richieste, ad oggi, quelle elencate di seguito.
1. Per i paesi industrializzati: A. riduzione vincolante, e perciò sottoposta a verifica ed a sanzioni, delle emissioni di almeno il 40%, sui livelli 1990, entro il 2020 e di almeno il 95% entro il 2050; B. impegni di contributi annuali per il Fondo da istituire per le iniziative dei e nei paesi in via di sviluppo: costo stimato: 115 miliardi di euro all’anno, per gli anni dal 2013 al 2017, da finanziare con la vendita del 10% dei cosiddetti diritti di emissione sulle quanità di emissione attuali e la tassazione dei settori del trasporto aereo e marittimo; C. Piani d’azione nazionali a carbonio zero.
2. Per i paesi in via di sviluppo: A. Piani d’azione nazionale a basso contenuto di carbonio; B. Raggiungimento degli Obiettivi del Millennio; C. accesso al Fondo già dal 2010.
3. Copenhagen Climate Facility (CCF): l’organismo che dovrebbe coordinare gli interventi globali e monitorare i trasferimenti di denaro e tecnologie. Composto da rappresentanti del Nord e del Sud del mondo e delle organizzazioni della società civile. Dovrebbe anche garantire: l’aumento dei fondi destinati alla ricerca sul clima: raddoppiandoli al 2012 e quadruplicandoli al 2020; la produzione di due terzi di energia primaria globale prodotta da fonti rinnovabili entro il 2050, il 20% al 2020; la verifica dell’aumento medio del 2,5% dell’efficienza energetica globale, per ogni anno fino al 2050; l’accesso all’energia a tutti gli abitanti del pianeta entro il 2025.
4. Drastica riduzione della deforestazione, causa di circa il 20% delle emissioni globali, con misure a tutela della biodiversità e dei diritti dei popoli indigeni.
5. Un accordo quadro per l’adattamento ai cambiamenti climatici (Adaptation Action Framework): per far fronte ai danni causati nei paesi in via di sviluppo dai fenomeni atmosferici estremi ed istituire meccanismi assicurativi contro i rischi impliciti nei cambiamenti climatici.
Cosa aspettarsi
Un accordo, perché il fallimento rischierebbe di innescare ritorsioni a catena sui mercati e converebbe a troppo pochi e perché i cambiamenti climatici sono la nuova occasione di profitto, con il peso delle economie verde e pseudoverde in generale aumento. Ma difficilmente si tratterà di un accordo all’altezza della gravità della situazione: implicherebbe troppi cambiamenti da fare in troppo poco tempo in un mondo spaccato e con istituzioni di governo globale debolissime. E non é un caso che la discussione si sposti sempre di più dalla rimozione delle cause dei cambiamenti climatici agli interventi di adattamento e mitigazione.
Ma con quali conseguenze ?
Nota 1. Il G8 ha dimostrato coesione e grande leadership nella lotta contro i cambiamenti climatici. Le posizioni dei paesi G8 si sono ravvicinate notevolmente rispetto alle divisioni del passato, consentendo al G8 di dare un impulso importante al raggiungimento di un accordo a livello globale.
– In primo luogo, alla luce delle indicazioni della comunità scientifica internazionale, è stata riconosciuta l’importanza del limite di 2°C al riscaldamento climatico (rispetto ai livelli pre-industriali), per evitare il rischio di ingenti danni economici ed effetti irreversibili sull’ambiente e sul sistema climatico.
– In questo contesto, i paesi G8 hanno assunto l’impegno di ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra dell’80% o più entro il 2050 facendo riferimento al 1990 o ad anni più recenti.
– E’ stato inoltre reiterato con forza l’impegno globale di lungo termine, assunto a Tokyo, di condividere con gli altri grandi emettitori l’obiettivo di ridurre le emissioni globali del 50% entro il 2050.
– Inoltre, i paesi G8 si sono impegnati ad intraprendere riduzioni di medio termine significative, coerenti con gli obiettivi di lungo termine e comparabili fra loro.
– Il G8 ha affermato la necessità che le emissioni a effetto serra raggiungano il loro picco globale il più presto possibile, per poi declinare rapidamente.
– E’ stata affermata la disponibilità del G8 a contribuire finanziariamente in modo equo ed adeguato, al fine di garantire le azioni necessarie per combattere i cambiamenti climatici anche nei paesi in via di sviluppo, nel quadro di un accordo globale ambizioso ed efficace in ambito Nazioni Unite.
– Tali impegni costituiscono una base solida e concreta per coinvolgere attivamente i paesi del Major Economies Forum on Energy and Climate (MEF) nell’impegno contro i cambiamenti climatici e raggiungere un accordo globale per il post-2012 alla Conferenza di Copenaghen.http://www.g8italia2009.it/static/G8_Allegato/Fact%20Sheet%20%20Climate%20Change%20(IT).pdf