L’aumento del numero degli immigrati non produce un aumento della criminalità. Due studi sfatano luoghi comuni su vita, salari e carriere dei lavoratori stranieri
Due studi della Banca d’Italia pubblicati nel dicembre scorso (Le retribuzioni degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, di Antonio Accetturo e Luigi Infante e Immigrazione e crimine. Un’analisi empirica di Milo Bianchi, Paolo Buonanno e Paolo Pinotto) danno qualche informazione utile e inducono a qualche speranza sulla funzione degli immigrati nella società e nel sistema produttivo italiano.
Detto in sintesi le retribuzioni degli immigrati crescono di meno di quelle degli italiani al crescere del livello di istruzione e degli anni di lavoro nel paese di origine ma crescono di più al crescere degli anni di lavoro in Italia. L’aumento del numero degli immigrati non produce un aumento della criminalità. E’ invece possibile che la maggiore ricchezza di una certa provincia produca insieme un aumento della immigrazione e della criminalità rispetto ad altre province meno ricche.
I dati sulle retribuzioni sono sostanzialmente convergenti con quelli di Nadia Venturini pubblicati anni fa dal Bit, da cui risultava una correlazione positiva tra livello delle retribuzioni e percentuale di immigrati; i dati sulla criminalità sono invece più ottimistici di quelli dell’ultima edizione, sostanzialmente non rivista, di Stranieri e reati di Marzio Barbagli, che, del resto non compare in bibliografia. Sociologi ed economisti non si leggono reciprocamente.
Il fatto importante è che la carriera in Italia sia possibile, che la qualità del lavoro prestato sia riconosciuta, che la stabilizzazione, anche se ritardata avvenga; che non ci sia una aumento di criminalità statisticamente significativo al crescere dei numeri. Le indagini locali sul lavoro qualificato degli stranieri in Piemonte e nel nord, in particolare in ambito sanitario, ma anche nell’industria, vanno nella stessa direzione dello studio di Bankitalia. Crescono le assunzione dirette di infermiere rumene e bulgare nel Ssn dopo l’ingresso nell’Unione. Crescevano le assunzioni di laureati in ruoli da laureato, almeno fino all’autunno scorso.
Si è invece sgonfiato il clamore sulla sicurezza, probabilmente elettorale. Mentre un eventuale crescita di reati per leggi specifiche contro l’immigrazione dimostrerebbero solo che anche Foucault, che in generale esagerava, qualche volta aveva ragione ed è la legge che crea il criminale.
Qualche osservazione sulla natura dei due studi, sulla loro attendibilità e utilità, a confronto con le convinzioni dei ricercatori a piedi scalzi e degli operatori sociali.
Quando si ha a che fare con dati poco attendibili, con forti differenze tra dato formale e realtà sociale, come nel caso di tutti i dati sugli immigrati, si può essere tentati di liberarsi dei numeri con una scrollata di spalle. Ma si sbaglierebbe a farlo. Alla fine gli stranieri stabilizzati emergono, si regolarizzano, compaiono nelle anagrafi e nelle statistiche, si sposano, fanno figli, non necessariamente in quest’ordine. Alla fine, con decenni di ritardo, diventano pure cittadini. Perciò gli studi quantitativi sono importanti. Prima si comincia a costruire serie continue, meglio è. Naturalmente non bisogna badare alle piccole variazioni, minori dell’errore di rilevazione, e bisogna ricordarsi che ci sono artefatti dovuti alle regolarizzazioni, ritardi strutturali, sottovalutazioni.
Naturalmente bisogna scegliere fonti utili al tipo di rilevazione. La scelta dei dati Ismu per i redditi sembra ottima perché copre l’universo, inclusi gli irregolari. Bisogna ricordare però che, nel tempo, una parte degli immigrati sparisce dalle sedi di accoglienza e ricompare nelle sedi associative per provenienza o si dissolve nella società in generale. E che, siccome il Pil è calcolato sulla base della rilevazione trimestrale delle forze di lavoro e perciò include, o dovrebbe includere, il lavoro nero, ma non il lavoro dei non censiti, che presumibilmente nessuno riesce a trovare per fargli riempire le schede di rilevazione, c’è sempre il rischio di usare due metri diversi per misurare la ricchezza e quelli che la producono.