Sfuggire al ricatto dei mercati è possibile, e non necessariamente doloroso. L’Italia potrebbe farlo congelando il debito, prima che l’attivo primario venga eroso. Ecco come
Riassunto
Per uscire dalla crisi bisogna espandere la spesa pubblica. Ciò non può essere fatto ricorrendo al debito, che è già troppo elevato, e quindi è necessario trasferire reddito dai soggetti più ricchi allo stato. Ma ciò troverebbe probabilmente l’ostilità del mercato finanziario, il che farebbe crescere i tassi di interesse a livelli probabilmente insostenibili. Se ne deduce che per uscire dalla crisi sarà forse necessario fare in modo che il mercato finanziario non abbia influenza sulle politiche economiche. Si suggerisce che il modo più indolore per ottenere questo risultato è congelare il debito.
1. Per uscire dalla crisi 1 Se si vuole uscire dalla crisi economica attuale, o almeno impedire che assuma proporzioni ancora più catastrofiche, occorre un massiccio intervento pubblico nell’economia. A mio avviso questo dovrebbe soprattutto consistere nell’assunzione di nuovi addetti nella pubblica amministrazione, dell’ordine di 800.000 unità (si veda un precedente intervento di Mattei, Ortona e Scacciati su www.sbilanciamoci.info, citato più sotto; Luciano Gallino sul Manifesto del 29 aprile 2012 suggerisce 1 milione). Questi addetti dovrebbero essere impiegati in lavori non tanto utili quanto necessari (tutela del paesaggio, aumento dell’efficienza della pubblica amministrazione, assistenza, eccetera). Ciò rilancerebbe l’occupazione, migliorerebbe l’efficienza complessiva del sistema, e creerebbe domanda aggiuntiva. Vale la pena ricordare che i dipendenti pubblici in Italia erano nel 2008 (ultimo dato confrontabile disponibile, fonte BIT) 3.600.000, da paragonarsi con i 5.800.000 del Regno Unito e i 6.000.000 della Francia. Se non si modifica questo dato ogni discorso sull’aumento dell’efficienza della pubblica amministrazione italiana è probabilmente velleitario. A questo scopo è sufficiente una limitata tassazione dei redditi e della ricchezza elevati: altrove si è argomentato che l’assunzione di 800.000 addetti nella pubblica amministrazione potrebbe essere finanziata con una tassazione annua pari al 3.8 per mille della ricchezza mobiliare, oppure all’1% della ricchezza mobiliare dell’1% più ricco della popolazione italiana (si veda a questo proposito il sito https://sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Con-una-tassa-sui-patrimoni-finanziari-800.000-posti-di-lavoro-12637 ).
Ora, questo trasferimento di reddito è reso impossibile dal livello del debito pubblico. Una politica così di sinistra spaventerebbe i mercati, e questo porterebbe all’esplosione dei tassi di interesse, che divorerebbero le nuove entrate fiscali. L’unico effetto sarebbe di trasferire reddito dai soggetti tassati a quelli creditori. Quindi non si può fare.
Ma non si può neanche non fare: la storia ci insegna che non si esce da una crisi della gravità di quella attuale con soluzioni di destra, cioè puntando sul rilancio del mercato e sulla compressione dei salari e basta. L’uscita da destra richiede tipicamente componenti fasciste o militari, che oggi per fortuna sono impraticabili. Quindi non esistono due soluzioni, una migliore (quella di sinistra) e una peggiore (quella di destra). L’alternativa è fra la soluzione di sinistra e la catastrofe. Il destino dell’Italia, se non esce dalla crisi da sinistra, è probabilmente di diventare prima come la Grecia, e poi come l’Argentina, e poi chissà; e nel migliore dei casi, un ristagno lunghissimo, con tutti i costi sociali che ciò comporta.
Quindi non si esce dalla crisi se non si neutralizza il pericolo connesso al debito pubblico, cioè se non si sfugge al ricatto dei saggi di interesse. Il modo più ovvio è il default, ma secondo molti questo avrebbe conseguenze catastrofiche (sono d’accordo con loro, e quindi su questo non mi soffermo). Esiste però una politica più praticabile.
2. Per uscire dalla crisi 2 La politica è la seguente: il debito pubblico viene congelato. Congelato vuol dire che alla scadenza viene rimborsato solo in parte, come ora vedremo; e quanta parte viene stabilito dalla disponibilità di risorse. In pratica:
a) lo stato non rimborsa i crediti alla scadenza, fatto salvo quanto più sotto al paragrafo 3, e al contempo fissa i tassi di interesse come al punto b) qui sotto, indipendentemente dalla durata del titolo di credito e dall’interesse nominale;
b) il debito viene indicizzato all’inflazione, e su di esso si paga l’1% di interesse, oppure il tasso di mercato se esso è inferiore (che possa esserlo è del tutto plausibile: non solo i titoli tedeschi, ma anche quelli italiani hanno oggi un rendimento inferiore al tasso di inflazione). La componente indicizzazione non comporta un aggravio del rapporto debito/PIL, in quanto il PIL nominale cresce dello stesso ammontare dell’inflazione. L’1% deve essere pagato con un attivo primario (se il debito è il 120% del PIL, si dovrà sostenere un attivo primario pari all’1.2% del PIL);
c) il congelamento è a tempo indeterminato, ma non eterno: cesserà quando le manovre correttive avranno riportato l’economia reale in condizioni soddisfacenti.
3. Il rimborso del debito congelato. Contrariamente a quanto può sembrare a prima vista, quanto sopra non implica che il debito in scadenza non venga rimborsato. Viene rimborsato in parte: e precisamente nella parte per la quale vi sono nuovi soggetti disposti a sottoscriverlo a quelle condizioni. Ma perché qualcuno dovrebbe sottoscrivere un debito congelato? Per due motivi. Il primo è che il debito diventa sicurissimo, dato che viene definitivamente escluso il rischio di default; il secondo è che quelle condizioni non sono in realtà molto diverse da quelle attuali, e sono semmai migliori di esse, come abbiamo visto più sopra. Nell’ipotesi che la domanda di nuova sottoscrizione alla scadenza sia inferiore a quella di rimborso, il rimborso stesso potrebbe essere razionato in funzione dello sconto che i creditori sono disposti a concedere, il che consentirebbe tra l’altro una graduale riduzione del debito. Inoltre il mercato secondario continuerebbe ad operare, consentendo di liquidare il debito a chi lo desidera, al prezzo di una perdita presumibilmente piccola.
C’è un’altra considerazione importante. Come è noto, i mercati finanziari sono isterici. Se il congelamento e il piano di sviluppo (più sopra abbiamo suggerito che si basi su tassazione dei patrimoni elevati e aumento massiccio del numero di pubblici dipendenti) vengono presentati in un pacchetto unico, i mercati stessi saranno favorevoli al successo del piano di sviluppo, in quanto esso è l’unica garanzia di un ritorno alla “normalità” (chiamiamola così) dei mercati finanziari stessi: un eventuale fallimento del piano di sviluppo porterebbe a quel punto inevitabilmente al default. In altri termini, una politica keynesiana di rilancio dell’economia non è necessariamente in contrasto con i fondamenti del mercato finanziario internazionale, sopratutto se l’alternativa è il default, come sembra molto probabile.
4. Una precondizione: l’attivo primario. La politica qui suggerita implica che il paese che l’adotta sia in grado di mantenere stabilmente un attivo primario (cioè che il bilancio sia in attivo se si escludono i pagamenti per interessi), dato che non sarebbe in grado di finanziarsi con nuovo debito (in quanto gli interessi richiesti sarebbero presumibilmente altissimi). A prima vista si tratta di una condizione molto forte. In realtà per l’Italia non lo è affatto, per due motivi.
In primo luogo perché l’Italia è stabilmente in attivo primario da molti anni: questo dimostra che esso è sostenibile. Nel 2011 l’Italia ha avuto un attivo primario pari all’1% del PIL; e ha sempre avuto un attivo primario a partire almeno dal 1993, anno in cui comincia la serie da me utilizzata (di fonte Banca d’Italia), tranne che nel 2009 e nel 2010, quando il suo passivo primario è stato pari rispettivamente allo 0.7% e allo 0.1% del PIL. nel 2008 l’attivo primario è stato del 2.5%, un valore abbastanza rappresentativo della serie. L’1.2% ipotizzato più sopra è quindi assolutamente realistico.
Ma il motivo principale per cui la necessità di un attivo primario non limita lo schema qui proposto è che questa condizione deve essere comunque rispettata. L’assenza di attivo primario implica che si deve contrarre nuovo debito per pagare gli interessi di quello vecchio: e con un debito attorno al 120% del PIL ciò vuol dire che il debito esploderebbe pressoché immediatamente.
5. Conclusioni. Il congelamento del debito è naturalmente una misura di emergenza, da assumersi quando il debito non può essere espanso ulteriormente, e ciononostante è necessario espandere la spesa pubblica; il che deve allora necessariamente avvenire mediante un trasferimento di reddito che ancorché limitato non sarebbe apprezzato dai mercati. L’Italia forse non è ancora in queste condizioni, ma certamente non è da escludere che ci si trovi presto. I provvedimenti di Monti non sono sufficienti a evitarlo, semmai il contrario. La monetizzazione del debito travestita da prestiti alle banche da parte della Bce e il rilancio delle esportazioni mediante l’indebolimento dei sindacati sono più che bilanciati da provvedimenti recessivi come l’aumento delle tasse, la riduzione delle spesa pubblica e la perdita di efficienza della pubblica amministrazione dovuta alla riduzione del personale; e forse ancora di più dal clima di incertezza e ansia che la politica del governo sta diffondendo, che certamente riduce di molto la propensione al rischio degli imprenditori.
Può darsi che ciononostante si riesca a tenere bassi i tassi di interesse fino alla fine della crisi; io penso di no, anche perché ci sono troppi fattori esogeni che possono farli esplodere. Per esempio: una guerra da qualche parte; le tensioni sociali; un governo banditesco o incapace (o banditesco e incapace); la speculazione; o anche semplicemente la recessione che il governo ha scelto di assecondare. Comunque, se il debito non esploderà, tanto meglio – purché si riesca a contenere la macelleria sociale in termini accettabili, e forse questo livello è già stato superato. Ma se invece lo farà il default è certamente peggiore del congelamento. Se la Grecia avesse congelato il suo debito quando era in attivo primario (lo è stata dal 1994 al 2002) le cose per lei adesso andrebbero probabilmente molto meglio. E’ interessante notare che anche l’Economist (18 febbraio 2012) riconosce che un paese in attivo primario è in grado di sfuggire al ricatto dei mercati, anche se nel caso della Grecia prevede un parziale default piuttosto che un congelamento: “What’s more, from 2013 Greece is supposed to sustain a series of “primary” budget surpluses (i.e., excluding interest payments) so as to cut its debt burden. But once the state has eliminated its primary deficit, it will not need external finance to fund its day-to-day operations. If Greece then refuses to run big surpluses, a second round of debt restructuring would beckon. That would hurt official creditors, as well as the remaining private bondholders”.
Quindi sfuggire al ricatto dei mercati è possibile, e non è necessariamente troppo doloroso. Ma se si decide in questo senso bisognerà farlo prima che sia troppo tardi, cioè prima che l’attivo primario venga mangiato dal tentativo di contrastare l’esplosione dei tassi di interesse mediante la recessione. Poi sarà molto più difficile, perché l’espansione del debito sarà necessaria per pagare la spesa corrente.