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Per una ricostituente europea

Dal 10 al 12 febbraio, per tre giorni al Teatro Valle occupato di Roma si terrà una “costituente dal basso”, per dar vita a un nuovo spazio pubblico transnazionale

Un nuovo processo costituente dunque sta prendendo forma nello spazio dell’euro e dell’Unione. Una «rivoluzione dall’alto», come ha scritto Balibar, sollecitata dall’iniziativa dei mercati finanziari, che sta riducendo in briciole la democrazia liberale che abbiamo conosciuto a partire dal secondo dopoguerra. In un mondo in cui i rapporti di forza fra Stati e settore privato sono mutati a tutto danno della sovranità non ci si poteva aspettare altrimenti. Il debito pubblico è quanto resta agli spossessati del capitalismo cognitivo, il prodotto congiunto del loro lavoro sfruttato. E’ quindi una legge ferrea dell’ economia politica che questo common venga “recintato”, in una nuova fase di accumulo originario.

Sarebbe ingenuo pensare che questo processo sia lineare. Nonostante gli sforzi di Draghi e Monti non è detto che la moneta unica ce la faccia: l’unificazione delle politiche fiscali è tardiva e i limiti ai quali Draghi deve sottoporre l’immissione di liquidità a sostegno degli Stati in crisi sono troppi. La Bce non è una banca centrale, non può stampare moneta, ed è stato proprio questo limite paradossale, imposto dalla Germania, a stimolare l’iniziativa degli hedge funds. Non è casuale che oggi siano proprio quest’ultimi ‒ pensiamo a Soros – a richiedere a gran voce l’istituzione degli eurobonds. La socializzazione del debito garantirebbe stabilità all’euro, ma anche liquidità in abbondanza per i mercati. La Germania non ci sta e guarda verso est. Altrettanto, non è casuale che proprio al seguito del vertice di Bruxelles la Merkel si sia mossa verso Pechino in compagnia di una ventina di imprese tedesche. Già 200 lavorano nel Guangdong, e il 30% degli scambi commerciali tra l’Europa e la Cina riguardano la Germania. Intanto in Francia è partita la corsa per le presidenziali e Hollande, il candidato socialista, promette, in caso di vittoria, di far saltare il Trattato.

Si tratta insomma di un processo costituente rissoso e incerto, quello avviato dal Fiscal compact. I risultati sul terreno economico sono ancora molto fiacchi, la Grecia e il Portogallo continuano a rischiare il default, altrettanto l’Irlanda. Mentre Spagna e Italia, devastate dalle politiche del rigore di Rajoy (e prima di lui di Zapatero) e Monti, procedono verso la recessione. Dal punto di vista politico, invece, i risultati sono evidenti: i cittadini europei non contano più nulla, già contavano molto poco prima, ora il tasso di democrazia nell’Eurozona si riduce al minimo. La direzione del capitalismo del vecchio continente sembra più che mai quella cinese: compressione smisurata dei salari, peggioramento delle condizioni di vita, azzeramento della “sostanza” democratica, in un quadro in cui anche i diritti negativi cominciano ad essere a rischio.

Possiamo arrenderci a questo destino? Noi pensiamo di no, e pensiamo che siano tanti, in Europa, a pensarla in questo modo. Per questo ci stiamo mobilitando, assieme a tante e tanti, oltre 40 associazioni in tutta Europa, per «invertire la rotta». Dal 10 al 12 febbraio, per tre giorni al Teatro Valle occupato di Roma, si aprirà un confronto a tutto campo sull’Europa che vogliamo*. L’idea è quella di dare vita ad un nuovo spazio pubblico transnazionale, una “costituente dal basso” che sappia federare istanze politiche e conflitti, componendo linguaggi e pratiche tra loro differenti, ma tenuti insieme dal filo di una comune spinta europeista, ostile all’Europa che c’è e al disastro che ci attende, ma capace di delineare un’alternativa chiara e soprattutto di portarla avanti a livello transnazionale.

Il metodo è induttivo. Si parte da due questioni programmatiche decisive: i beni comuni il primo giorno, il reddito garantito il secondo, sullo sfondo la connessione fra i due temi iniziando proprio il giorno in cui la FIOM porta nuovamente in piazza il tema del “lavoro bene comune”. In entrambi i casi si tratta di questioni che, se conquistate sul terreno normativo, sarebbero in grado di rovesciare il delirio monetarista di Francoforte e di ridefinire la costituzione materiale europea. Ma si tratta soprattutto di grandi rivoluzioni culturali capaci di trasformare il senso comune e dunque lo spazio politico in cui viviamo. Dire reddito significa ripensare la distribuzione sociale della ricchezza: in un contesto produttivo dove la precarietà diventa regola e la vita viene messa continuamente al lavoro, la conquista politica di una base reddituale sicura e incondizionata significa uscire dall’incubo del ricatto ripensando al rapporto fra lavoro e tempo libero per lo svago e la cittadinanza attiva, in una dialettica che può essere interamente ripensata in chiave di beni comuni. La sfida dei beni comuni – come abbiamo imparato in Italia con il referendum del 12-13 giugno – è la sfida della democrazia contro il saccheggio, l’autoritarismo e lo sfruttamento sociale ed ambientale: è il mondo della qualità è della bellezza che si contrappone a quello dell’accumulo e dell’abbrutimento produttivo. Di qui l’importanza del Teatro Valle Occupato, luogo simbolo da questo punto di vista. Né pubblico né privato, il comune allude ad una sfera sociale e politica dove il potere si diffonde e con esso la partecipazione nella gestione “imprudente” ma creativa e di qualità delle risorse e dei servizi.

Come sappiamo cittadinanza ed inclusione (le cifre della giuridicità benecomunista) non cadono dal cielo ma devono essere strappati da un’iniziativa politica ampia e radicale. Per questo immaginiamo la costruzione di due grandi campagne europee, in grado di coinvolgere movimenti e associazioni, amministratori locali (non a caso la proposta di una Carta europea dei beni comuni è stata lanciata dal Comune di Napoli) e forze sindacali. In questo senso, l’utilizzazione dello strumento dell’Ice (Iniziativa dei cittadini europei), prevista dall’ art. 11 dell’ odioso trattato di Lisbona, deve essere usata in modo contro-egemonico, divenendo uno stimolo a connettere soggetti eterogenei, a far crescere l’attenzione e l’emozione pubblica, ad arricchire lo sfondo all’interno del quale far emergere in primo piano le lotte concrete. Dobbiamo sommergere la Commissione (ed indirettamente il Consiglio) con decine di milioni di firme che chiedano l’apertura di un processo costituente politico vero. I temi che affronteremo al Valle devono diventare i temi di un grande dibattito politico, indispensabile ingrediente della costituente di un demos europeo.

La prima stesura della Carta Europea dei Beni Comuni, redatta nell’ ambito di una due giorni torinese di dicembre che ha visto coinvolti molti giuristi internazionali oltre ad esponenti dei movimenti è già online, in molte lingue (www.iuctorino.it). L’appuntamento del Valle occupato sarà un passaggio cruciale per rendere ulteriormente vivo questo documento “costituente” nell’ambito di un grande sforzo partecipato di produzione di giuridicità dal basso, proprio come è stato per lo Statuto della Fondazione Teatro Valle Bene Comune.

Seppure si tratta di partire dalla singolarità delle vertenze, non possiamo non pensare ad un luogo di composizione delle lotte e del discorso. L’indebolimento del percorso dei fori sociali non deve farci demordere. Nel mezzo dell’emergenza e della crisi, sta crescendo una nuova “coscienza europea”; siamo sicuri che l’appuntamento del Valle occupato sarà solo l’inizio, e che questa coscienza debba riuscire a darsi una soggettività politica capace di agire efficacemente, collegando i piani del locale e del transnazionale e di farsi vero contro-potere. Non sarà facile né breve, ma per dirla con uno slogan dei movimenti studenteschi, «la gente come noi non molla mai» o, con il movimento NO TAV, “a sarà dura”.

Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione dell’8 febbraio del manifesto.

Il programma della tre-giorni è disponibile su www.euroalter.it, www.commonssense.it, www.alternativacomune.eu/