Sulle tracce reali della grande crisi innescata dalla finanza. Un breve resoconto di due giorni di discussione tra economisti non ortodossi
Si è svolto a Siena il 26 e il 27 gennaio il convegno “The global crisis” (http://www.theglobalcrisis.info/programme.html) che ha ospitato numerosi economisti eterodossi. La critica al pensiero economico dominante, neoliberista o neokeynesiano contaminato dall’ideologia liberista, è stato il filo conduttore.
Gli economisti mainstream, convinti della tenuta del sistema, non sono stati in grado di prevedere la crisi attuale. Eppure negli ultimi anni erano stati numerosi i segni premonitori: basti pensare alla serie di crisi finanziarie che si sono succedute con sempre maggior frequenza a partire dalla fine degli anni ’70, in parallelo con l’affermazione del neoliberismo. Appare evidente anche la fragilità delle interpretazioni prevalenti costruite sulla base del paradigma dominante, incapaci di cogliere le ragioni profonde di questa crisi epocale e, di conseguenza, inadeguati nelle proposte di politica economica necessarie per un suo superamento. La crisi non sta volgendo al termine, come ottimisticamente si afferma da più parti: la disoccupazione continua a crescere e non si intravede un punto di svolta.
È importante analizzare il nesso fra la crisi economica e la crisi della teoria economica, come è stato ben evidenziato nella presentazione di Alessandro Vercelli (della quale alleghiamo qui le slides in pdf) che ha delineato le interazioni fra le due crisi attraverso un confronto con le due grandi recessioni che hanno preceduto quella attuale. Fin dalla nascita del capitalismo, infatti, si registra una sistematica interazione fra la storia degli eventi economici e la storia del pensiero economico; le grandi crisi, col tempo, producono una svolta radicale del pensiero economico dominante.
La situazione economica oggi ha messo a nudo i fallimenti del mercato e le responsabilità degli economisti che, enfatizzando il ruolo della “mano invisibile del mercato”, hanno giustificato deregolamentazioni, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro, aumento della povertà e delle disuguaglianze. Perché, sia chiaro, l’argomento della “mano invisibile” è una pura astrazione che prevede la concorrenza perfetta, ma non è applicabile al mondo reale, che appare caratterizzato da concentrazioni e monopoli, squilibri e instabilità, incertezza e asimmetrie informative. Si noti che peraltro il ciclo neoliberista non è stato affatto caratterizzato da una vera e propria deregulation, bensì da una politica economica volta alla ri-regolazione a vantaggio delle classi dominanti.
Per comprendere la crisi attuale ed elaborare proposte di politiche economiche è necessario interrogarsi sulle sue origini. Semplificando, due punti di vista si contrappongono: da un lato c’è chi guarda alla crisi come un fenomeno unicamente finanziario, dall’altro c’è chi ritiene che le cause profonde della crisi siano radicate nell’economia reale.
Gli economisti mainstream guardano essenzialmente agli aspetti monetari e finanziari e individuano le cause della crisi negli errori della politica monetaria; questa, infatti, mantenendo eccessivamente bassi i tassi di interesse, avrebbe provocato fenomeni speculativi in una situazione di mercati finanziari deregolamentati.
Gli economisti critici presenti al convegno hanno posto invece l’accento sulle cause reali. In questa prospettiva i principali eventi che, in successione, hanno generato la crisi sono: lo smantellamento dello stato sociale, la crescente precarizzazione del lavoro e il ristagno dei salari, che hanno determinato un aumento delle disuguaglianze e una crescita della povertà. Questi fattori hanno favorito un progressivo sganciamento dei consumi dal reddito grazie a un crescente indebitamento delle famiglie.
Anche gli squilibri internazionali, in particolare il deficit commerciale statunitense a cui fa da contraltare il surplus cinese, hanno giocato un ruolo di rilievo. E’ una situazione che si protrae da molto tempo, resa possibile dal sistema monetario internazionale basato sul dollaro, che consente agli Stati Uniti di mantenere nel tempo un disavanzo esterno senza problemi.
In ogni caso, gli intrecci fra crisi reale, aspetti finanziari, squilibri internazionali e crisi del pensiero economico sono talmente stretti che un’interpretazione esaustiva della crisi non può che passare attraverso un’analisi congiunta di tali aspetti.
Come uscire dalla crisi?
Il tema è complesso e non ci sono ricette certe. Si è sottolineata soprattutto l’esigenza di una nuova strategia di politica economica sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale fondata su un approccio teorico più realista. Si è evidenziata anche la necessità di un riequilibrio dei rapporti di forza fra le aree geopolitiche, che dovrebbe passare attraverso una riforma del sistema monetario internazionale, magari sulla falsariga del piano che Keynes aveva proposto nel 1944.
Un convegno interessante e ricco di spunti critici, dunque. ( Per maggiori approfondimenti degli argomenti trattati si vedano gli abstract delle relazioni presentate: http://www.theglobalcrisis.info/abstracts.pdf). Un suo limite, se vogliamo fare un appunto, sta nel fatto che si è trattato di un convegno di soli economisti. La profondità e la pervasività di questa crisi richiederebbero un’analisi interdisciplinare. Oggi ci troviamo nel pieno di una crisi economica, ma anche di una crisi politica e delle istituzioni democratiche e sul mondo incombe una grave crisi ambientale. Queste crisi sono fortemente interdipendenti e andrebbero affrontate congiuntamente. Sarebbe auspicabile che un’analisi della crisi raccogliesse anche le riflessioni di politologi, storici, sociologi, scienziati e ambientalisti.
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