Nell’ultimo numero della rivista Parole-chiave (n°4 del 2020) una analisi delle iniquità presenti nello Stato sociale italiano prima della pandemia che ha accentuato le diseguaglianze di ogni tipo.
Il numero della rivista Parole-chiave (Welfare, “Parole-chiave”, n. 4, 2020) è stato pensato poco prima che scoppiasse la pandemia da Covid-19, la quale se da un lato ha rimesso al centro dell’attenzione pubblica e delle politiche nazionali e internazionali la centralità del welfare al fine di fronteggiare l’emergenza sanitaria e una crisi economica di gravità eccezionale; dall’altro ha evidenziato i problemi, i limiti e le iniquità presenti nello Stato sociale italiano delle condizioni precedenti, accentuando peraltro le diseguaglianze sociali, territoriali e di genere.
Al contempo, il protrarsi della pandemia induce ad una un’analisi ancor più approfondita, in ordine alle difficoltà incontrate nel predisporre misure capaci di intervenire strutturalmente sulle inadeguatezze delle politiche sociali, economiche e sanitarie del paese, mutandone e riorientandone la direzione, oltre che la visione. Misure in grado di operare una cesura con l’ideologia e la natura di un capitalismo neoliberale che da quarant’anni procede sulla strada dei tagli alla spesa sociale e pubblica, della privatizzazione dei sistemi di welfare o di una loro diversa riconfigurazione in funzione di logiche del mercato e del profitto.
Le riflessioni qui ospitate non si fermano dunque all’“emergenza”, posto che oramai si possa più definirla tale, né alla sola valutazione delle politiche attuate in singoli ambiti del welfare, ma tengono insieme proposte concrete e sguardo critico sulle traiettorie di quest’ultimo, sulle carenze che lo hanno segnato nel corso della sua storia, sulle ragioni costitutive del suo affermarsi, sui soggetti che lo hanno animato, sui profondi mutamenti insorti negli ultimi decenni, sulle caratteristiche future del welfare.
Più contributi intrecciano una dimensione temporale che dal passato giunge alle questioni più pressanti del presente, configurandosi anche come ipotesi per un futuro nel quale un ripensamento del welfare, una sua riformulazione e re-immaginazione si dà a partire tanto dai problemi esplosi con la pandemia, quanto soprattutto da una loro disamina di ben più lungo periodo. Una disamina che ha al suo centro il benessere delle persone, i loro bisogni concreti, in termini di salute, previdenza, assistenza, istruzione, abitazione, tutela del reddito, le istanze di uguaglianza “sostanziale” e di libertà, la centralità della riproduzione sociale e della cura, l’espansione delle istituzioni e dei servizi collettivi del welfare (C. Giorgi).
La pandemia ha riproposto l’urgenza di indagare «ruolo e funzionalità del welfare state» configuratosi nei decenni scorsi, segnati da una politica economica e dall’egemonia di una ideologia ben lontane dai suoi principi ispiratori. Le riforme del mercato del lavoro introdotte in tutti i paesi nel segno di compressioni salariali, flessibilizzazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro; le consistenti agevolazioni fiscali al welfare aziendale o individuale; la ricerca sistematica degli equilibri di bilancio; la riduzione costante delle spese sociali; la compressione dell’intervento pubblico; l’«inaridimento del gettito fiscale e contributivo» hanno sostanziato le politiche degli anni passati, riflettendosi anche negli interventi adottati negli ultimi mesi. Affrontare i problemi settoriali evidenziati dalla pandemia, ampiamente frutto di consolidate politiche economiche, significa allora intervenire sugli assetti macroeconomici, sulle istituzioni nazionali e sovranazionali (soprattutto con riferimento al ruolo dell’Unione Europea), sui processi redistributivi, con misure di sostegno del reddito universalistiche, con la revisione dei sistemi fiscali, con un rilancio dei sistemi sanitari pubblici, il tutto in termini strutturali e non puramente emergenziali (R. Artoni).
In questa chiave a essere essenziali sono i principi, le idee-guida alla base di nuove politiche sociali. In particolare, soddisfacimento dei bisogni fondamentali – antichi e nuovi – delle persone, intese come soggetti concreti, nel riconoscimento delle loro differenze e nel segno del rilievo assunto dalla dignità sociale. Diritto al reddito in termini opposti al vigente workfare e costruzione di una robusta infrastruttura di servizi informati da logiche opposte al tradizionale paternalismo e improntati alla prospettiva dei beni comuni, ivi compresa la dimensione del coinvolgimento paritario e della partecipazione attiva degli utenti dei servizi. Predilezione per l’universalismo nella difesa e nel rilancio di una soddisfazione «di bisogni fondamentali quale bene comune». Necessità di un ripensamento dei «doveri “attivi”» nei confronti della collettività (E. Granaglia).
In una riconsiderazione del ruolo del welfare state, particolare importanza assume la proposta di articolare il welfare «anche in senso precauzionale», affinchè esso, oltre a svolgere funzioni redistributive e assicurative, sia in grado di prevenire, e non solo indennizzare, i devastanti rischi per la società, limitando anche le conseguenze drammatiche di eventi come la pandemia da Covid-19 (ma non solo, potendo applicarsi la logica precauzionale a rischi come la disoccupazione e la caduta in povertà) e assolvendo esso alla sua centrale «missione di contrasto delle diseguaglianze». Diseguaglianza che infatti la pandemia ha accentuato a più livelli, prolungando quella economica «in una disuguaglianza di esistenza in vita» (M. Franzini).
Nel volume vengono presi in esame, in modo critico e approfondito, singoli settori e materie del welfare, riservando pari attenzione sia alle problematiche accentuatesi con la pandemia, sia alle recenti politiche approntate in Italia, sia alle risalenti storture prodottesi, sia a possibili soluzioni per il presente e il futuro del welfare. Si indagano così le politiche della casa, l’ambito del diritto all’abitare (E. Puccini), quelle di integrazione e accesso ai servizi di welfare della «popolazione immigrata» (M. Vitiello), quelle pensionistiche (M. Raitano) e quelle relative agli ammortizzatori sociali, fornendo anche importanti indicazioni per riformare e potenziare il sistema di protezione sociale (D. Guarascio). L’opzione per un reddito di base incondizionato, ben lontano dai provvedimenti esistenti, viene inquadrata nelle più ampie trasformazioni del welfare, divenuto ambito privilegiato di «nuovi meccanismi di accumulazione e valorizzazione» e nella prospettiva del passaggio dall’attuale workfare al commonfare (A. Fumagalli).
La dimensione storica caratterizza più contributi, in particolare nel ripercorrere le tappe fondamentali del welfare state italiano, i suoi caratteri costitutivi, i crescenti «affanni» e il sopravanzare di «nuovi rischi sociali» che avrebbero richiesto nel tempo nuove e più adeguate politiche pubbliche e sociali, così come una espansione dei servizi rimasta inattuata. Di qui anche la disamina di quei soggetti – cooperative sociali, organizzazioni di volontariato e altri protagonisti del Terzo Settore – trovatisi via via ad avere uno spazio sempre più ampio e strategico in assenza di una riqualificazione e riorganizzazione «dell’edificio welfarista pubblico» (Ascoli). La testimonianza offerta dagli operatori e operatrici del Centro Interculturale Officine Gomitoli di Napoli ne rappresenta un’importante esemplificazione (I. Hassen e F. Ouzri), al pari della valorizzazione di pratiche di solidarietà, esperienze di autorganizzazione e partecipazione dal basso provenienti da un’intensa «azione sociale collettiva» connotante la lunga storia del welfare, di cui esse fanno parte a pieno titolo nel loro perseguire principi di eguaglianza e solidarietà sociale (G. Marcon). D’altronde, il welfare è stato storicamente terreno di conflitti sociali, qui analizzati in una visione d’insieme che va dalla fase di espansione dello Stato sociale all’affermarsi delle politiche neoliberiste. In questa luce, sono individuati i movimenti, spesso attivi su scala transnazionale, contro le politiche di austerità, aventi come oggetto la difesa dei diritti e la giustizia sociale e la resistenza all’estensione della logica di mercato in nuovi ambiti sociali (della Porta, Diani).
Grande rilievo assume la dimensione territoriale rispetto alle politiche sociali, sia da un punto di vista analitico, sia al fine di comprendere le traiettorie di riforma del welfare europeo in questa chiave e, soprattutto, gli effetti che la territorialità ha rispetto al prodursi di diseguaglianze e frammentazione particolarmente caratterizzanti il sistema di protezione italiano (Y. Kazepov, R. Cefalo).
Nelle vicissitudini dello Stato sociale italiano un ruolo basilare è stato ricoperto dalla famiglia, dalle attività di cura svolte dalle donne al suo interno e dalla divisione sessuale del lavoro qui esistente. In questo quadro, fondamentale importanza ricoprono i saggi dedicati alle politiche per le famiglie e alla cura e riproduzione sociale.
Nel primo caso e in relazione ad una attenzione crescente verso le politiche della famiglia, dovuta sia alle trasformazioni incorse in essa, sia all’uso frequente di questa categoria analitica, si prendono in esame i trasferimenti monetari diretti e indiretti legati alla presenza di familiari dipendenti, i servizi per i bambini in età pre-scolare e le misure rivolte alle persone non autosufficienti in età anziana. In una analisi che lega contesto italiano ed europeo si mettono in evidenza luci e ombre di questi strumenti propri delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro, i quali nella «diseguale distribuzione delle famiglie monoreddito tra i ceti sociali» rischiano di trascurare la necessità di un intervento più consistente volto ad allargare opportunità e «gradi di libertà» delle donne in primis (C. Saraceno). Nel secondo caso a essere al centro della riflessione proposta è tanto un riesame dell’apporto del pensiero femminista ai concetti di lavoro domestico, di cura e di riproduzione, quanto la necessità del riconoscimento del «diritto al tempo per la cura», del bisogno di cura e del lavoro di cura quali presupposti per ripensare la cittadinanza (C. Soleri).
Infine, la sanità, l’ambito più coinvolto dagli effetti del Covid-19, merita un’attenzione speciale, a partire dalla disamina delle “umiliazioni” subite dalle politiche per la tutela della salute e dal SSN, facenti capo a indifferenza, incultura e debolezza. La pandemia ha infatti colpito l’Italia in un momento in cui il Servizio sanitario nazionale aveva raggiunto il suo punto di massima debolezza, dovuta a riduzione massiccia del personale, mancato ricambio generazionale di medici e infermieri, aumento del precariato, servizi territoriali impoveriti, scarsa cultura della prevenzione, diseguaglianze socio-economiche e geografiche, «disimpegno dei vertici decisionali a tutti i livelli». Al contempo tuttavia proprio la pandemia ha mostrato come la sanità pubblica sia essenziale al fine di garantire una tutela universale, «a tutti, indistintamente», della salute, tornando ai principi fondativi del SSN e della Costituzione, ma anche provando a immaginare «un mondo nuovo», di cambiamento complessivo. Ridare valore alla prevenzione collettiva nei luoghi di vita e di lavoro delle persone, potenziare l’assistenza territoriale e la rete dei servizi di base rappresentano allora alcune delle sfide fondamentali per un rinnovamento generale del welfare socio-sanitario (N. Dirindin). Un rinnovamento capace di contrastare sia il progressivo rafforzamento della sanità privata attuatosi negli ultimi anni tramite l’espansione del welfare aziendale in molti settori produttivi, sia il rischio di una maggiore «“sudditanza”» a Big Pharma; rispetto alla quale sarebbe, al contrario, necessario rafforzare la presenza pubblica «attraverso investimenti in ricerca e produzione di farmaci e vaccini» e sviluppare, da parte dello Stato, una politica industriale nel campo delle tecnologie e dei farmaci (M. Geddes da Filicaia).
Accanto alla salvaguardia e al potenziamento dei sistemi pubblici a base universalistica, la pandemia ha messo in luce la necessità di risposte che vadano oltre gli orizzonti nazionali, inserite, cioè, in un piano «coordinato a livello transnazionale e a base multilaterale». Passando in rassegna le politiche intraprese dai principali attori istituzionali in relazione alle dinamiche della pandemia, alla risposta preventiva e assistenziale, alla ricerca scientifica si evidenziano i pericoli di tendenze nazionalistiche e protezionistiche, le quali rischiano di travolgere «le fragili istituzioni sovranazionali inventate a tutela della salute globale», rispetto a una dimensione «cooperativa ed internazionalista» (F. Taroni). In questa luce e a fronte di un «nazionalismo di mercato» generatore di diseguaglianze e privo di margini di sostenibilità, l’occasione sarebbe oggi più che mai propizia per i governi di «riprendere in mano le politiche della sanità» aggiornando principi e valori che hanno fondato l’OMS «nell’ottica del diritto alla salute e della responsabilità pubblica», salvando così «l’unica istituzione sanitaria globale e democratica del pianeta», nel segno di un «nuovo welfare sanitario internazionale« (N. Dentico).
I contributi nella rivista sono di: Chiara Giorgi, Elena Granaglia, Roberto Artoni, Nerina Dirindin, Marco Geddes da Filicaia, Chiara Saraceno, Yuri Kazepov e Ruggero Cefalo, Donatella della Porta e Mario Diani, Ugo Ascoli, Giulio Marcon, Enrico Puccini, Mattia Vitiello, Ismahan Hassen e Fatima Ouzri, Maurizio Franzini, Francesco Taroni, Nicoletta Dentico, Cristina Solera, Michele Raitano, Dario Guarascio, Andrea Fumagalli.