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Pandemie e condizioni del Pianeta

La pandemia può essere un utile avvertimento: il Covid-19 è una reazione allo stato di stress causato al pianeta. Dobbiamo ridurre alterazioni dell’ambiente, perdita di biodiversità, cambiamenti climatici, favorendo processi produttivi circolari, sostenibili, con fonti rinnovabili. Da volerelaluna.it.

Il Pianeta, le forme viventi, gli uomini

L’obiettivo evolutivo di tutte le forme viventi è la propria riproduzione, per colonizzare l’ambiente di vita, obiettivo che entra in relazione, talora conflittuale, con lo stesso obiettivo riproduttivo di tutti gli altri organismi: da queste relazioni si sviluppano gli equilibri che caratterizzano gli ecosistemi e che pongono limiti alla crescita delle popolazioni e dei consumi di ciascuna specie. In ecologia si parla di carrying capacity (o capacità di carico) per spiegare che, sulla base delle caratteristiche di un ecosistema, gli individui di una popolazione non possono superare i limiti imposti dalle risorse disponibili. Un classico esempio per spiegare questo fenomeno è quello della relazione tra preda e predatore: alla crescita del numero di predatori corrisponde una diminuzione significativa del numero delle prede, che innesca – per scarsità di cibo – un conseguente calo anche dei predatori.

Nel caso della popolazione umana si utilizzano concetti simili a quelli di carrying capacity ma con terminologie e metodi di valutazione un po’ diversi. Si parla di “impronta ecologica”, cioè la misura del territorio bioproduttivo espresso in ettari necessario per produrre ciò che un uomo o una popolazione consumano. Questa analisi facilita il confronto tra nazioni, rivelando l’impatto ecologico delle diverse strutture sociali e tecnologiche e dei diversi livelli di reddito. Così l’impronta media di ogni residente delle città ricche degli USA o dell’Europa è enormemente superiore a quella di un agricoltore di un Paese non industrializzato, per cui sul pianeta un solo statunitense “pesa” mediamente più di 10 afgani.

L’Overshoot Day è, invece, il giorno in cui il consumo di risorse naturali da parte dell’umanità inizia a superare la produzione che la Terra è in grado di mettere a disposizione per quell’anno: nel 2019 questo giorno è stato il 29 luglio. Dunque in circa sette mesi, abbiamo usato una quantità di prodotti naturali pari a quella che il pianeta rigenera in un anno. Il nostro deficit ecologico, pari a cinque mesi, provoca, da una parte, l’esaurimento delle risorse biologiche (pesci, alberi ecc.) e, dall’altra, l’accumulo di rifiuti e l’inquinamento, responsabile anche dell’effetto serra. Le attività umane stanno, dunque, cambiando l’ambiente del nostro pianeta in modo profondo e in alcuni casi irreversibile. Stiamo dunque superando, anzi abbiamo già superato i limiti delle capacità del pianeta di sostenere la popolazione umana e mettiamo a rischio la sopravvivenza di molte altre specie. L’attuale sistema produttivo industriale e agricolo sta gravemente compromettendo anche la biodiversità del pianeta. Molte specie di animali e di piante sono ridotte a pochissimi esemplari e, quindi sono in pericolo o, addirittura, in via di estinzione.

Le dimensioni e i consumi delle popolazioni umane sono variati moltissimo nel corso dei millenni, ma ogni volta che le risorse disponibili diventavano insufficienti, le popolazioni venivano ridimensionate, attraverso sistemi di autoregolazione.

Fino a 12 mila anni fa la popolazione umana di raccoglitori e cacciatori, già presente in tutto il pianeta, per motivi di sostenibilità, cioè disponibilità di cibo, non superava probabilmente 1-2 milioni di abitanti, dato che ogni tribù doveva avere un ampio territorio di raccolta e di caccia e quel cibo costituiva il limite alla crescita. Si trattava di un sistema ben autoregolato e in equilibrio con il proprio ambiente; in qualche modo le società di allora potevano essere felici, perché utilizzavano quanto la natura offriva loro, senza un lavoro che occupava tutto il tempo di vita e quindi con tempi adeguati per le relazioni e per il riposo, come il mitico periodo dell’Eden.

In seguito, in varie zone del pianeta, come nella Mezzaluna fertile, in Medio oriente, un importante cambiamento climatico, con riscaldamento globale, diffusione di animali e piante nelle regioni in cui il clima divenne più caldo e umido, favorì la cosiddetta rivoluzione neolitica, cioè l’agricoltura e l’allevamento. In tal modo i limiti della crescita demografica cambiarono perché, seminando piante e allevando animali, sullo stesso territorio si potevano sfamare fino a 1000 persone anziché 40-50, portando la popolazione ben oltre la dimensione di un paio di milioni. Tuttavia quando l’annata dava raccolti scarsi o quando la popolazione cresceva troppo, non restava altra via che la migrazione verso nuove terre da coltivare. Così pian piano questa nuova cultura si estese, a partire dall’Anatolia, a tutta l’Europa e, partendo da altre zone, a gran parte dell’Asia e parte dell’Africa. In tal modo la popolazione mondiale arrivò prima a decine, poi a centinaia di milioni di abitanti, già alcuni secoli avanti Cristo. Si stima che nell’Impero Romano, tra il 300 e il 400 d.C., vivessero tra 60 e 120 milioni di abitanti; ma tale popolazione fu duramente colpita dalla cosiddetta Peste di Giustiniano, che portò a decine di milioni di decessi.

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