Il governo Draghi ha varato la nuova NADEF (Nota di aggiornamento al DEF, il documento di economia e finanza che il principale strumento di programmazione del bilancio dello Stato) e le notizie non sono buone. Dopo aver glorificato i risultati raggiunti da Draghi, al nuovo governo consegna una situazione difficile che non dà spazi per […]
Il governo Draghi ha varato la nuova NADEF (Nota di aggiornamento al DEF, il documento di economia e finanza che il principale strumento di programmazione del bilancio dello Stato) e le notizie non sono buone. Prevalentemente dedicata alle componenti negative della congiuntura economica (aumento dei costi dell’energia e inflazione) il governo rivede al ribasso le stime della crescita per il 2023: invece del previsto aumento del 2,4% del PIL avremo un misero +0,6% con un segno meno nel primo trimestre. Ma si tratta di prospettive dalle basi fragili, nella previsione – tutta da verificare – di un calo del prezzo del gas nel secondo semestre del 2023. Anche la bilancia commerciale peggiora marcatamente a causa dell’emergenza energetica. E altro segno negativo: non va bene la realizzazione delle prime iniziative previste dal PNRR, a causa dell’inceppamento dei tempi per le procedure per le opere individuate. E anche la produzione industriale subisce negli ultimi mesi una battuta d’arresto.
L’inflazione prevista è vicina al 10%, ma non ci sono informazioni sui possibili effetti sulla caduta del potere d’acquisto dei salari e quindi sulla crescita di condizioni di povertà e delle diseguaglianze. Il rapporto deficit-PIL rimane sopra il 5% e il debito pubblico nel 2025 sarà ancora intorno al 140%. Però si ricorda che nel 2024 ritornano in vigore i vincoli del Patto di Stabilità e di Crescita, che dovrà essere revisionato (speriamo radicalmente e nella direzione di politiche non restrittive) nel corso del prossimo anno.
La NADEF, glorificando i risultati raggiunti dal governo Draghi, consegna al nuovo governo una situazione complicata e difficile da affrontare. Non ci sono spazi per politiche di spesa allegre, facendo ulteriore indebitamento, ad esempio con una flat tax al 15% a favore dei ricchi e dei privilegviati. Mentre ci sarebbe tutta la necessità di politiche di giustizia fiscale (come proposto anche dal capo economista della BCE) nella direzione di una tassazione dei patrimoni e dei redditi più alti, a favore di un alleggerimento della pressione fiscale dei redditi dei ceti medio-bassi e soprattutto per politiche pubbliche volte a rafforzare i sistemi di welfare e di lotta alla povertà. Non avendo fatto questa politica il governo Draghi, dubitiamo che lo faccia un governo di centro-destra. Eppure, questa è la strada obbligata per evitare l’impoverimento di una parte ancora più grande del paese e un’emergenza sociale che può essere gravissima.