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No pay, no parts! Lo sciopero dell’auto Usa si espande

La protesta lanciata dal sindacato Uaw dei metalmeccanici Usa si estende, Ford inizia i negoziati e la partita si fa anche politica. Il presidente Biden si schiera con gli scioperanti, Trump li vuole incontrare. Convitato di pietra: il passaggio al motore elettrico e i diritti dei lavoratori.

Siamo entrati nella seconda settimana dello storico sciopero proclamato dal sindacato United Automobile Workers (UAW) contro le “big 3” del settore automobilistico statunitense – Ford, General Motors e Chrysler (parte di Stellantis) – nell’ambito della trattativa per il rinnovo del contratto collettivo. Una volta scaduto il contratto, alla mezzanotte del 14 settembre, UAW ha proclamato lo sciopero in tre stabilimenti, uno per ciascuna azienda, coinvolgendo circa 13.000 dei suoi iscritti.

Shawn Fain, leader del sindacato fresco di nomina, aveva però avvertito le tre aziende che la protesta si sarebbe estesa se non ci fossero stati progressi nei negoziati. Così è stato, e venerdì 23 settembre Fain ha annunciato l’estensione dello sciopero a 38 negozi di rivendita di componenti, 20 di Stellantis e 18 di General Motors. Il numero di lavoratori in sciopero sale così a 18.000, supportati dal sindacato che garantirà loro un salario di circa 500 dollari a settimana. Quello della rivendita di parti è un segmento profittevole della catena del valore delle aziende automobilistiche, e al contempo il numero di lavoratori supportati dallo “strike fund” del sindacato rimane limitato. 

L’esclusione di Ford dai nuovi scioperi non è casuale. Fain ha annunciato progressi significativi nelle negoziazioni con lo storico produttore che avrebbe acconsentito a molte delle richieste del sindacato, fra cui la reintroduzione dell’indicizzazione salariale, la progressiva eliminazione delle discriminazioni salariali fra lavoratori assunti pre e post crisi del 2008 e la possibilità di scioperare sulla chiusura di un impianto.

La piattaforma rivendicativa del sindacato include anche aumenti del 40% per i prossimi 4 anni (gli stessi ottenuti in media dai CEO delle ‘big 3’ negli ultimi anni), una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e il miglioramento dei benefici pensionistici. Se UAW dovesse raggiungere un accordo con Ford, la pressione su General Motors e Stellantis per firmare un accordo analogo salirebbe. Intanto Ford ha firmato un accordo sui suoi stabilimenti in Canada con il sindacato Unifor, che prevede aumenti salariali del 25% per i prossimi 3 anni, e garanzie occupazionali nell’ambito della transizione verso i veicoli elettrici.

Proprio la transizione verso i veicoli elettrici è il convitato di pietra nelle negoziazioni fra UAW e ‘big 3’. Il sindacato è infatti preoccupato delle possibili ricadute in termini occupazionali e salariali. Per la costruzione di componenti per le auto elettriche (come le batterie) le ‘big 3’ stanno creando ‘joint ventures’ con altre aziende, aprendo fabbriche non sindacalizzate e con salari più bassi. E, dopo il passaggio parlamentare nelle due Camere, gli ingenti investimenti per la transizione all’elettrico previsti dall’Inflation Reduction Act dell’amministrazione Biden non sono vincolati al rispetto di standard minimi salariali e sindacali da parte delle aziende. Non è un caso che lo UAW non abbia ancora ufficialmente annunciato il suo sostegno a Joe Biden per la sua rielezione nel 2024, a differenza di altri sindacati. In questo modo, UAW è in grado di esercitare maggiore pressione sull’amministrazione Biden. 

Lo sciopero ha dunque una grande valenza politica. In una mossa senza precedenti storici, martedì 26 settembre il presidente USA Biden ha visitato i lavoratori in sciopero ai picchetti della fabbrica Ford a Wayne, nel Michigan. Una decisione che ha provocato malumori nelle frange più moderate del Partito Democratico. Come riportato dalla NBC, Steven Rattner – l’ex capo della task force sull’automotive di Barack Obama – ha definito la mossa di Biden ‘scandalosa’ e ‘sbagliata’, poiché ‘la tradizione del presidente è rimanere neutrali in questi casi’. Ma con le elezioni presidenziali che si avvicinano, e la necessità di vincere gli Stati della cosiddetta ‘rust belt’, che negli ultimi decenni hanno sofferto per la deindustrializzazione, Biden ha abbandonato la posizione più cauta tenuta nelle settimane precedenti, schierandosi a favore degli scioperanti. La scelta di Biden del Michigan non è casuale: nel 2020, fu fra gli Stati chiave per la sua elezione, e sarà un campo di battaglia per quelle del 2024. Non è casuale nemmeno il tempismo: Biden ha anticipato l’arrivo del suo probabile avversario alle prossime presidenziali, Donald Trump, che ha programmato per mercoledì 27 un incontro con alcuni lavoratori in sciopero a Detroit. Trump – che vinse in Michigan nel 2016 contro Hillary Clinton ma poi perse nel 2020 con Biden – userà l’occasione per presentarsi come difensore dei lavoratori (senza però appoggiare il loro sindacato) e per attaccare il progetto di transizione ecologica dei dem.