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Napolitano l’europeo e la democrazia svuotata

La rielezione di Giorgio Napolitano non è solo il segno delle “larghe intese” tra Pd e Pdl. È il risultato di un progetto europeo che cambia la Costituzione e restringe la democrazia

È difficile provare a ragionare sulla recente rielezione di Napolitano: qualsiasi tentativo di spiegare gli eventi finisce schiacciato sotto le immagini profondamente evocative dei personaggi coinvolti, così caricaturalmente marcati da far trionfare gli aspetti contingenti, legati all’improvvisazione degli attori, sulle cause di fondo, con la loro logica ferrea.

Così in questi giorni, tra l’omologazione culturale della stampa nazionale e il manicheismo del web, il lettore cerca di dare un senso al filo logico che lega tra loro figure lontanissime. Come nemmeno nella Commedia dell’Arte, qui si trova una galassia quanto più variegata possibile. Su di tutti c’è il vecchio comunista, che iniziò la carriera benedicendo carri armati, la continuò al Viminale introducendo i campi di concentramento per immigrati e la concluse salvando ripetutamente e inspiegabilmente Berlusconi.

Naturalmente c’è quest’ultimo: il Cavaliere è un personaggio che faticosamente si cerca di spiegare al cittadino di un altro Paese, una scheggia impazzita che mischia le pagine più ridicole e quelle più tragiche della moderna storia italiana. Tuttavia, è lunga la serie di comparsate che a modo loro hanno saputo interpretare con eccellenza il proprio ruolo nel teatro dell’assurdo: da Fassina che spiega con il suo piglio riflessivo e semitriste che Marini avrebbe stretto un legame sentimentale con il Paese (senza nemmeno una risata), all’eroico Bersani, capace di distruggere in pochi mesi – come nemmeno Veltroni – il patrimonio di struttura, organizzazione e consenso dell’ultimo superstite dei partiti di massa.

L’incapacità è innegabile, tuttavia spiega ben poco. Innanzitutto i fatti. Quanto accaduto, dagli eventi che precedono le dimissioni di Berlusconi in poi, è la più potente riforma costituzionale avvenuta in Italia. De facto, senza la benché minima legittimazione politica, si è imposta all’Italia un’agenda politica che nessuno vuole, difesa con una ridicola e sfacciata propaganda politica mascherata da consenso accademico [1]. Successivamente di fronte alla contingente sovrapposizione tra semestre bianco ed elezioni e quindi all’inevitabile necessità di scegliere una figura istituzionale capace di benedire dall’alto il governo futuro – piaccia o no, mai nella storia della Repubblica l’elezione dell’inquilino del Colle è stata così politica – si è andati chiaramente contro le indicazioni del voto recente e contro l’opinione largamente maggioritaria della propria base (nel caso del PD), in nome dell’agenda europea. I commentatori indignati di questi giorni ignorano sostanzialmente quest’ultimo punto, sottolineando l’inciucio, che è strumentale ma non fondante della manovra politica.

Se l’esigenza fondamentale fosse stata l’accordo con Berlusconi non si spiegherebbe la proposta di eleggere al Quirinale Prodi, che aveva fatto saltare i nervi al PDL, ma che invece sarebbe stato perfettamente accettato là dove si prendono le decisioni, visto il pedigree del personaggio (introduzione dell’euro, capo della Commissione). Come si scriveva in tempi precedenti [2], il progetto egemonico del capitale del centro d’Europa è fallito e questo spiega il nervosismo di Berlino e Bruxelles e l’esigenza di passare per meccanismi che non richiedano il sigillo elettorale. La classe dirigente del centro sinistra a quel progetto è legata e ne riflette gli umori, e su quello ha deciso di immolarsi. La versione “Napolitano” (o l’idea iniziale di Marini) di questo progetto riflette semplicemente la necessità di trovare una qualche forma di equilibrio politico. I personaggi in questione sono capaci di garantirlo perché disposti a offrire soluzioni che offrano mediazioni sui vari problemi giudiziari aperti, e perché offrono garanzie alle agenzie di consenso tradizionali, come la Chiesa, contro l’estensione dei diritti civili.

L’agenda politica del nuovo governo sarà ovviamente l’agenda Monti, il cui striminzito risultato elettorale indica il livello massimo del suo effettivo consenso, gonfiato dai pacchetti di voti che i partiti della sua alleanza portavano in grembo.

Chi ancora crede al progetto europeo sa benissimo che il limite al di là del quale questo modello d’integrazione diventerà indifendibile è ormai prossimo a essere raggiunto. Tacere di questo oramai diventa impossibile. Le conseguenze politiche includeranno pagine ben più oscure di qualche eccesso verbale su twitter. [1] http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/03/13/night-of-the-living-alesina/, http://www.nytimes.com/2013/04/19/opinion/krugman-the-excel-depression.html’_r=0 La tesi del vincolo dello spread si è rivelata essere una sciocchezza: i differenziali si sono ridotti quando Draghi ha preso l’iniziativa, a fronte di elezioni in Italia, lo avrebbe fatto prima, con significativi risparmi per i bilanci pubblici.

[2] http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Egemonia-al-centro-declino-in-periferia-16356