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Meccanici, cosa succede nell’isola

L’importanza del contratto nazionale, i dati della crisi generale e il suo impatto sul settore metalmeccanico in Sardegna. Un intervento del segretario della Fiom sarda

In occasione dello sciopero generale dei lavoratori metalmeccanici del 28 gennaio 2011 indetto dalla Fiom Cgil, Mariano Carboni, segretario regionale della Fiom, ha inviato un intervento e una scheda al giornale online manifestosardo.org, diretto da Marco Ligas. Si tratta di un materiale che illustra le ragioni dello sciopero e la situazione del lavoro. Abbiamo chiesto a Ligas di riprendere gli scritti di Carboni del tutto attuali anche se a distanza di due mesi. La Sardegna, quest’isola paradisiaca, mostra chiaramente come spesso sia difficile vivere in paradiso. (red)

Per capire l’importanza del contratto nazionale, e della sua inderogabilità, è assolutamente necessario partire dai dati della crisi generale. L’incremento della cassa straordinaria significa che la crisi ha assunto un carattere strutturale.

I lavoratori sanno bene che dopo la cassa integrazione straordinaria si arriva alla mobilità e al licenziamento. È stato detto e ripetuto che in Sardegna uno dei problemi più gravi riguarda la scarsa dotazione di servizi al cittadino e alle imprese. Basta pensare alla condizione in cui si trova la rete viaria, la rete ferroviaria, il sistema portuale: un’assenza di nodi di collegamento tra le varie infrastrutture. Si aggiunga il condizionamento dovuto al costo dell’energia che mantiene un differenziale tra la Sardegna e il resto della penisola di almeno dieci punti percentuali come mettono in evidenza le ultime stime dell’Autority per l’Energia.

Il differenziale di costo influisce sul sistema delle aziende metalmeccaniche, in modo particolare su quelle energivore, ubicate nel Sulcis Iglesiente: si pensi alla filiera dell’alluminio. Ancora! Le aziende metalmeccaniche sarde non sono certamente avvantaggiate dal fattore geografico. Tutti sanno che la Sardegna è un’isola molto vasta e con un mercato interno ristrettissimo. Per produrre si deve acquistare una parte della materia prima dalla penisola e commercializzare il prodotto finito oltre Tirreno. Questo significa sostenere costi aggiuntivi. Per questa ragione si parla da anni dell’approvazione di una norma che garantisca la continuità territoriale anche per le merci; ma su questo terreno non si fa alcun passo in avanti. Infine, nonostante le opportunità, non si riesce a sfruttare il fattore mare: i diversi porti naturali soffrono di una perenne insufficienza infrastrutturale. Sono pochissime le aree attrezzate in grado di favorire l’insediamento industriale (caso emblematico è il porto canale di Cagliari) e nonostante la miriade di imbarcazioni che solcano i mari della Sardegna, nel sud dell’isola, non abbiamo un solo bacino di carenaggio dedito alla manutenzione delle barche e dei natanti. Anche in questo caso stiamo parlando di opportunità mancate per il settore metalmeccanico.

Tale arretratezza produce un differenziale di competitività tra la Sardegna e la Penisola di oltre il 20%. Questo divario spiega la ragione delle difficoltà delle aziende metalmeccaniche sarde e giustifica la scomparsa del tessuto produttivo manifatturiero. Paghiamo dunque i ritardi e le incongruenze della classe politica regionale. Eppure siamo stati per anni una regione a obiettivo uno, nel quadro comunitario di sostegno, potevamo perciò disporre di ingenti risorse per migliorare la condizione di arretratezza infrastrutturale, ma non siamo riusciti ad elaborare progetti e realizzare opere pubbliche degne di una regione sviluppata. Per questa ragione serve una reazione risoluta. Non ci possiamo arrendere, neppure rassegnare all’inevitabilità del declino.

Per reagire alla crisi abbiamo assoluto bisogno di programmazione e di risorse. Abbiamo bisogno di codificare un grande piano di sviluppo che tenga conto della condizione dei giovani (il 44,7% è disoccupato). Abbiamo bisogno di un piano di sviluppo che presti la massima attenzione al gravissimo problema occupazionale. Abbiamo assoluto bisogno di un piano di politica industriale pluriennale, capace di difendere l’industria isolana, dare impulso alle attività produttive e rilanciare le aziende manifatturiere. Quando parliamo di manifatturiero, ci riferiamo ad attività prevalentemente metalmeccaniche. Per ottenere questo risultato abbiamo bisogno di recuperare tutte le risorse che ci devono essere date. Dobbiamo recuperare i due miliardi e 500 milioni di euro di Ire e di Ires. Dobbiamo recuperare i due miliardi e 200 milioni di euro di fondi Fas. Tutte risorse indispensabili per rilanciare l’industria, promuovere lo sviluppo ed evitare il tracollo economico e sociale della nostra isola. Su tutti questi temi serve una grande mobilitazione regionale.

A questo punto mi chiedo se, in un simile contesto, possiamo rinunciare ad uno strumento come il Contratto nazionale? Si può accettare la logica delle deroghe? Siamo in grado, nel caso delle aziende sarde, le cui condizioni sono state appena descritte, di affidarci ai rapporti di forza propri della contrattazione aziendale e recuperare il salario perso in fase di rinnovo del contratto nazionale? Mi chiedo se Cisl e Uil – Fim e Uilm – sanno che nella stragrande maggioranza delle aziende abbiamo difficoltà a sviluppare la contrattazione aziendale? Mi chiedo se Cisl e Uil – Fim e Uilm – sanno che nella stragrande maggioranza delle aziende metalmeccaniche sarde non sanno neppure che cos’è la contrattazione di 2° livello? Mi chiedo se Cisl e Uil – Fim e Uilm – sanno che il tessuto industriale isolano è costituito da piccolissime imprese, con un dato medio di occupati inferiore alle tre unità, dove non è presente il sindacato, dove non si eleggono le Rsu, dove abbiamo un potere contrattuale prossimo allo zero? Io credo che per fare bene il lavoro di rappresentanza non si possa prescindere da questi elementi di conoscenza. Una cosa è certa, la Confindustria e la Federmeccanica lo sanno, ecco perché si sono buttate a capofitto e hanno deciso di sferrare un attacco frontale all’unico strumento che periodicamente consente ai metalmeccanici l’incremento dei salari e l’adeguamento dei diritti. Poi è arrivato Marchionne che ha completato l’attacco! Quest’attacco frontale non lo possiamo accettare! Per il rispetto che si deve ai nostri iscritti e ai lavoratori metalmeccanici sardi; dobbiamo difendere, con grande determinazione, il contratto nazionale. Va difeso nella sua integrità, nel suo ruolo e nella sua funzione.

Oggi più che mai, abbiamo bisogno di un contratto nazionale in grado di salvaguardare il potere d’acquisto delle retribuzioni. Che senso ha avere un contratto nazionale incapace di contrastare le dinamiche inflattive? Bisogna garantire diritti universali uguali per tutti, ai lavoratori del nord e a quelli del sud. Non ci possono essere differenze contrattuali dovute alla collocazione geografica ed alle condizioni di ricchezza del territorio. Questo non significa che la contrattazione aziendale non debba essere sviluppata, praticata e rilanciata. Ma la contrattazione aziendale dev’essere complementare, integrativa e non sostitutiva del contratto nazionale. Non esistono scorciatoie! Il primo obiettivo, in questa fase, è la riconquista del contratto nazionale. Il secondo deve sconfiggere l’accordo sulle deroghe e gli attacchi di Pomigliano e Mirafiori. Sancire il principio secondo cui il contratto nazionale può essere derogato in peius significa che il contratto non esiste più, soprattutto in Sardegna, a causa delle difficoltà appena descritte. Nei prossimi mesi tutte le aziende in difficoltà diranno che, per ragioni di sopravvivenza, servono le deroghe. I primi segnali stanno già arrivando. Gli accordi di Pomigliano e di Mirafiori, le deroghe sui diritti individuali, sullo sciopero, sulla malattia, sull’orario, sul lavoro straordinario, sulle pause fisiologiche, stanno generando le prime richieste d’incontro, aventi come oggetto le deroghe contrattuali di 1° e 2° livello. Molti imprenditori stanno dicendo, a gran voce, che vorrebbero capire qual è la ragione per la quale le deroghe possono essere concesse alla Fiat e non alle altre aziende in difficoltà, che subiscono, al pari della Fiat, gli effetti della concorrenza internazionale. Queste valutazioni dell’universo imprenditoriale, e della stessa Federmeccanica, dovrebbero indurre Cisl e Uil – Fim e Uilm – a rivedere la loro strategia, nella consapevolezza che la divisione sindacale rischia di produrre un gravissimo arretramento del movimento operaio del nostro paese.

I dati della crisi (scheda)

I dati sull’occupazione in Sardegna al 31/12/2010 sono a dir poco sconcertanti. Gli occupati totali sono diminuiti, nel corso dell’ultimo anno, di circa 50.000 unità lavorative. Nel primo trimestre del 2009 avevamo 627.000 occupati, su un totale di 1.600.000 abitanti. Nel primo trimestre del 2010 ne avevamo circa 580.000, il 7,5% in meno dell’intera forza lavoro complessiva. Un’enormità! Il trend del 2° semestre 2010 ha confermato l’andamento negativo. La disoccupazione è aumentata di tre punti percentuali attestandosi su valori superiori al 16%. Il tasso di occupazione è diminuito, nel solo 2009, ultimo dato disponibile, di quattro punti percentuali, passando dal 52% al 48,4%. La contrazione maggiore si è avuta nel settore industriale, soprattutto nel metalmeccanico. Si passa dal 21,7% del 2009 al 19,9% del 2010. Questo vuol dire aver perso 9.000 posti di lavoro, molti dei quali metalmeccanici; lo ripeto, solo nell’anno 2010!

Negli ultimi sei anni, dal 2003 al 2009, gli occupati del settore industriale sono diminuiti di sei punti percentuali, passando dal 25,8% del 2003 al 19,9% del 2009. Tutte le provincie sarde, nessuna esclusa, risentono della crisi.

Nella provincia di Cagliari tantissime aziende dell’impiantistica e della manutenzione hanno attivato procedure di cassa integrazione. Emblematica è la situazione nelle zone industriali di Sarroch e Macchiareddu, dove quasi tutte le aziende d’appalto occupano complessivamente oltre 1.200 persone (la stragrande maggioranza metalmeccanici – in Polimeri, in Saras e in Syndial). Se non migliorano le condizioni economico finanziarie della Saras, se non si definisce il nuovo accordo di partnership e riprende a crescere il margine di raffinazione si corre il pericolo di subire il licenziamento di centinaia di lavoratori metalmeccanici. Se questo dovesse accadere, si avrebbe l’effetto domino su tante altre aziende dell’indotto, ubicate nella Provincia di Cagliari.

La situazione del settore degli appalti elettro-telefonici è drammatica. Le aziende storiche più importanti a Cagliari e Provincia (Sirti-Mazzoni e Sielte) hanno richiesto la cassa integrazione e aperto procedure di mobilità. Si corre il pericolo di subire il licenziamento di un centinaio di lavoratori metalmeccanici.

Più in generale, la crisi del tessuto produttivo cagliaritano non ha risparmiato nessuno. In questi ultimi due anni abbiamo assistito all’estinzione di buona parte delle attività manifatturiere metalmeccaniche; abbiamo subìto una vera e propria desertificazione industriale. A Sassari e provincia, il Gruppo Samer occupa 82 dipendenti totali, di cui 32 in cassa integrazione in deroga. La Sices ha aperto la procedura di cassa integrazione straordinaria che coinvolgerà 40 dei 60 dipendenti occupati. La Sun Car occupa 18 dipendenti totali, di cui 15 in cassa integrazione ordinaria. La Team ha aperto una cassa integrazione ordinaria per il 50% del personale occupato. L’Auto In occupa 11 dipendenti di cui 4 in cassa integrazione ordinaria. L’Auto Più occupa 9 dipendenti di cui 2 in cassa integrazione ordinaria. La Torres Auto ne occupa 9 di cui 4 in cassa integrazione in deroga. La Sacar occupa 12 dipendenti di cui 9 in cassa integrazione in deroga. L’Alpes occupa 17 dipendenti di cui 13 in cassa integrazione in deroga. L’Auto A occupa 40 dipendenti di cui 9 in cassa integrazione in deroga.

Tutte le aziende metalmeccaniche, dell’impiantistica e della manutenzione, subiscono i riflessi negativi dell’incertezza presente nelle grandi committenze chimiche. A Nuoro e provincia, il fallimento di Ideamotore rischia di produrre la collocazione definitiva in mobilità dei 77 dipendenti occupati. La Comater ha messo in cassa integrazione straordinaria tutti i 25 dipendenti occupati. In Ommeipa dei 20 dipendenti occupati, 5 sono al lavoro, 15 sono in cassa integrazione. I 35 dipendenti della Cfm Sardegna beneficiano della cassa integrazione straordinaria. La Mazzoni di Nuoro occupa 19 dipendenti totali, tutti collocati in cassa integrazione straordinaria. Situazioni analoghe si hanno nell’Ildocat, nella Sirti, nella Fial, nella Mec che ha collocato tutti i dipendenti in cassa integrazione straordinaria. A Oristano e provincia continua la crisi della Compau: dei 136 dipendenti, storicamente occupati, prevalentemente donne, 112 sono state collocate in mobilità, mentre la parte restante è interessata da una cassa integrazione a rotazione. L’azienda garantisce attività produttiva per circa 10 dipendenti, il resto è in Cigs (Cassa integrazione guadagni straordinaria). Sono state chiuse per fallimento la Rubinetteria Sarda, azienda prevalentemente femminile, che occupava 44 dipendenti e la MD, altra azienda prevalentemente femminile, che occupava circa 28 dipendenti. La Cvf ed Energy Cool, due aziende riconducibili al Gruppo Clivati, occupavano 60 dipendenti totali. Di questi 60 dipendenti, 46 sono stati licenziati, tutti gli iscritti alla Cgil, mentre la parte restante è stata trasferita ad Ottana. La Cgil ha richiesto l’intervento della magistratura per verificare la correttezza del comportamento del management aziendale, sia nella fase di produzione, sia nella fase di dismissione e di bonifica. La Cavi Service, azienda nata sulle ceneri della ex Cavi, ha richiesto la cassa integrazione in deroga, per evitare il licenziamento di circa 22 dipendenti.

Tante aziende metalmeccaniche artigiane, ubicate nell’oristanese, hanno richiesto la cigs in deroga, prova ne è il fatto che, nell’ultimo trimestre, sono stati sottoscritti 15 accordi che hanno scongiurato il licenziamento di circa 80 lavoratori metalmeccanici.

Nel Medio Campidano continua ad essere molto preoccupante la situazione della Keller Elettromeccanica, azienda metalmeccanica che occupa 310 dipendenti, di cui il 90% in cassa integrazione straordinaria per crisi. Ai 310 dipendenti diretti vanno sommati i 60 dipendenti delle aziende d’appalto, anch’essi collocati in cassa integrazione. La Portovesme Srl occupa 54 dipendenti, di cui 27 in cassa integrazione e la probabile collocazione in mobilità di 10 lavoratori, a partire dal gennaio 2011. Ai 54 dipendenti diretti vanno sommati 56 lavoratori delle aziende d’appalto, quasi tutti in regime di cassa integrazione straordinaria. La Unicosmo occupa 36 dipendenti totali, di cui 15 collocati in mobilità, a partire dal gennaio 2011. Eurocarrozzeria occupa 21 dipendenti totali, tutti collocati in cassa integrazione in deroga. La Mcm occupa 15 dipendenti totali, tutti collocati in cassa integrazione in deroga. La Gipiemme occupa 16 dipendenti totali di cui 12 in cassa integrazione straordinaria. Nel Sulcis, persiste il grave problema dell’Eurallumina, dove lavorano 320 lavoratori metalmeccanici indiretti, di cui 310 in cassa integrazione straordinaria. Nella Portovesme Srl lavorano 500 metalmeccanici indiretti, di cui 200 in cassa integrazione straordinaria. L’ex Ila occupava 166 lavoratori diretti e 34 lavoratori indiretti, tutti beneficiari della cassa integrazione straordinaria, post fallimento. Nella ex Sardal lavoravano 43 dipendenti totali, di cui 28 diretti collocati in cassa integrazione straordinaria e 15 indiretti collocati in mobilità. Nella Rockwool lavoravano circa 70 dipendenti metalmeccanici in iretti che, a causa della dismissione delle attività, sono stati tutti licenziati.

La situazione di difficoltà delle varie committenti sulcitane produce ripercussioni negative sulle officine dell’indotto. In queste officine lavorano circa 300 dipendenti metalmeccanici, di cui 150 beneficiari delle varie forme di cassa integrazione. In Ogliastra l’indotto dell’Intermare Sarda, ha subìto una notevolissima contrazione. Nel 2007-2008 vi lavoravano circa 950 persone, buona parte metalmeccanici, nel 2010 hanno operato, mediamente, circa 500 dipendenti. Intere aziende metalmeccaniche hanno perso il loro unico appalto e licenziato i dipendenti, mentre altre aziende storiche hanno subìto la contrazione dell’attività nella misura del 50%. La Soltecna, azienda che opera nel settore del fotovoltaico, ha deciso di chiudere e collocare in mobilità i 15 dipendenti occupati.

Quest’elenco, solo parziale, dimostra la difficoltà di migliaia di lavoratori metalmeccanici. Ovunque registriamo disoccupati e cassintegrati. Negli ultimi due anni la Fiom ha sottoscritto decine di accordi di cassa ordinaria, di cassa straordinaria per crisi, di cassa straordinaria per ristrutturazione e di cassa straordinaria in deroga. Oltre 700 aziende sarde hanno chiesto di poter utilizzare la Cassa straordinaria in deroga. In queste aziende, circa 13.000 dipendenti stanno beneficiando della Cassa in deroga. Molti di essi sono metalmeccanici.

(Tratto da www.manifestosardo.org)