Fondo cassa/Sofferenze bancarie al 9%, crediti bloccati per famiglie e imprese, economia in panne. E il premier Renzi punta agli investimenti esteri Le sofferenze bancarie in Italia viaggiano intorno al 9 per cento. Questo significa che su 100 euro prestati dalle banche a famiglie e imprese, ben 9 non vengono rimborsati da chi ha chiesto […]
Fondo cassa/Sofferenze bancarie al 9%, crediti bloccati per famiglie e imprese, economia in panne. E il premier Renzi punta agli investimenti esteri
Le sofferenze bancarie in Italia viaggiano intorno al 9 per cento. Questo significa che su 100 euro prestati dalle banche a famiglie e imprese, ben 9 non vengono rimborsati da chi ha chiesto un prestito. Se sommiamo anche le partite incagliate, ovvero i prestiti non ancora in sofferenza ma su cui ci sono comunque gravi problemi di rientro, la situazione peggiora, e non di poco.
Di fronte all’aumento delle sofferenze e alle difficoltà dell’economia, la reazione delle banche è quella di prestare sempre di meno. Se in tutta Europa assistiamo a una contrazione del credito, credit crunch nell’espressione inglese, il fenomeno è particolarmente pesante in Italia. La mancanza di credito peggiora la situazione delle imprese, che investono meno, così come i problemi per cittadini e famiglie portano a una riduzione dei consumi. Fattori che acuiscono difficoltà e recessione, il che spinge le banche a chiudere ulteriormente i rubinetti del credito. Recessione, credit crunch , problemi delle imprese, sofferenze bancarie formano una spirale che si autoalimenta.
A fronte del calo dei prestiti erogati, salgono però i depositi bancari, con un aumento del 2,4% su base annua. Come dire che, stante il perdurare di crisi, recessione e sfiducia, gli italiani risparmiano sempre di più e non consumano né investono. Nello stesso momento, la fuga di capitali dall’Italia ha ripreso ad accelerare, e viaggia ormai oltre i 30 miliardi di euro al mese. Tra agosto e settembre 2014 sarebbero stati 67 i miliardi di euro che hanno lasciato l’Italia. Una situazione di per sé preoccupante e ancora peggiore se leghiamo questi dati alla Legge di stabilità. Le misure principali, al di là della conferma degli 80 euro in busta paga che non sembra però avere avuto alcun effetto sui consumi o sulla crescita, è nella riduzione dell’Irap, finanziata essenzialmente tramite tagli alla spesa pubblica, anche se sarà necessario capire quali modifiche subiranno i diversi provvedimenti prima dell’approvazione definitiva. Al momento si può affermare che una manovra fondata su tagli delle tasse mediante tagli alla spesa rischia di avere effetti recessivi. A dirlo è in particolare il Fmi, che ha analizzato i moltiplicatori, ovvero per semplificare l’effetto sul Pil dei diversi interventi. Secondo tale studio, un taglio delle tasse avrebbe un moltiplicatore intorno a 0,17, mentre un taglio alla spesa pubblica avrebbe un moltiplicatore di 1,6. Come dire che un euro di taglio alle tasse ne produce 0,17 di Pil aggiuntivo, ma un euro di tagli alla spesa pubblica fa crollare il Pil di 1,6 euro. Dati che lo stesso governo cita nell’elaborazione dei documenti di contabilità, ma che incredibilmente portano poi a scelte di segno diametralmente opposto.
Al di là dell’effetto recessivo, l’idea del governo è quella di affidare la presunta ripresa quasi integralmente al privato. L’unico compito dello Stato è farsi da parte riducendo l’imposizione fiscale. Quello che rimane di pubblico è diretto verso le grandi opere (Tav e Mose), o nello “sblocca-Italia” che prevede ulteriore consumo di suolo. Si va invece a tagliare sui trasferimenti agli enti locali, ovvero nell’erogazione dei servizi ai cittadini e in settori con maggiore potenziale occupazione.
Tralasciamo quanto si possa definire di sinistra un tale approccio. Fatto sta che Renzi e Padoan dichiarano esplicitamente che «adesso gli imprenditori non hanno più scuse». Qui sta però il vero problema della Legge di stabilità. Le banche prestano sempre di meno; i cittadini non consumano e non investono, chi può porta i propri capitali all’estero, gli altri li depositano in banca; le imprese si trovano in enormi difficoltà a causa della lunga recessione e del calo dei consumi; lo Stato riduce la spesa pubblica: non si capisce bene chi debba trainare questa tanto sbandierata ripresa e con quali capitali.
Se i soldi non arrivano né dallo Stato, né dai cittadini, né dalle imprese, né dalle banche, rimane una sola voce in cui sperare: gli investimenti esteri. Il caso Alitalia – Etihad potrebbe in questo senso essere l’esempio da seguire. Ed è allora logico che il governo assuma come priorità il favorire il più possibile l’ingresso dei capitali stranieri. Una priorità che si traduce in una vera e propria corsa verso il fondo in materia ambientale (sblocca-Italia e silenzio-assenso sulle autorizzazioni ambientali proposto nell’ambito della riforma della Pubblica Amministrazione); sociale (Articolo18 e ulteriore flessibilità sul lavoro); economico (si preme l’acceleratore sulle privatizzazioni); fiscale (tagli all’Irap e decontribuzione per i neoassunti). Ecco la visione proposta dalla Legge di stabilità: una corsa verso il fondo per accaparrarsi a condizioni di favore pezzi del nostro Paese. Una gara tra Paesi arabi, cinesi, tedeschi e chiunque altro voglia partecipare. Benvenuti in Italia.