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L’uguaglianza come obiettivo

Un certo numero di studi, da Piketty all’ultimo rapporto Oxfam, parlano delle diseguaglianze. Ma i ricchi non sono tutti uguali e neanche i poveri. E di questi studi bisogna analizzare gli assunti teorici, l’impostazione e alla fin fine l’approdo. Per noi, la sinistra, le diseguaglianze non si ridurranno nel tempo in maniera automatica, anzi.

L’interminabile storia delle disuguaglianze prende naturalmente l’avvio dalla “Breve storia dell’uguaglianza” di Thomas Piketty, pubblicato in italiano dalla Nave di Teseo alla fine del 2021. Lo studio di Piketty è notevole e dispiace che non prenda mai interesse per l’Italia, paese marginale, insegnando anche a noi come sia possibile indagare, guardare indietro. Qui, senza la pretesa di scrivere il capitolo mancante all’opera dello studioso francese, abbiamo solo l’intento di sollecitare gli autori nostrani a correggere un po’ di più a tale dimenticanza, e a riflettere, almeno un po’, sul disinteresse per il nostro passato (e per la nostra uguaglianza che forse c’era o forse no). L’abitudine a trascurare il passato, dando corpo alla leggenda del “sappiamo tutto dei nostri padri, tutto dei loro padrini” ci avvolge abitualmente, come un ingombrante bavaglio che ci obbliga a stare con gli occhi chiusi, senza guardare dietro di noi, davanti a noi. Chiediamo, insomma, che oltre ai pochi lodevoli esempi, qualcun altro, allo stesso modo capace, impegnato, autorevole, si dedichi a colmare questo vuoto, questo disinteresse nei confronti dell’italica ricchezza, dell’italica povertà. 

Lo scritto di Piketty ha anche una tesi, molto seducente: la disuguaglianza si sta riducendo; non di molto, non sempre, non dovunque, ma occorre insistere. Anche il titolo del saggio ha quel suono; l’uguaglianza come obiettivo, come invito. C’è una meta da raggiungere. 

Questa che appare come una presa di posizione politica – si potrebbe dire socialdemocratica – contrasta con letture, conosciute e apprezzate nel mondo, come quelle di Oxfam, pubblicata in questi giorni, e come quella di Giulio Marcon che, in un testo bello e insolito, esamina e intervista anche un certo numero di “ricchi” italiani per farsi dire da essi cosa pensino della propria sorte, se sia merito o fortuna. Il suo rapporto di ricerca “La ricchezza in Italia” è disponibile qui

Per inciso, possiamo notare un errore nostro. Noi, la sinistra, non prendiamo mai sul serio la destra. Quel che pensa, non ci riguarda: è balordaggine, quando non truffa. Marcon invece si comporta in altro modo: prende la destra economica sul serio è attento ai rapporti sociali e anzi intervista una trentina di esponenti della primissima fascia per farci capire con chi abbiamo a che fare e cosa essi pensino di sé e del loro ruolo. Il nostro atteggiamento diffuso è però diverso: quando essa, la destra, vince, dichiariamo con sarcasmo che la partita era truccata; non erano loro a essere più forti. Con arbitri migliori avremmo vinto noi; e così sarà la prossima volta. Avviene dunque che ci dedichiamo alla tattica di accattivarci gli arbitri, anziché pensare ai fatti e migliorare sul serio il nostro impegno, il progetto, le alleanze, la squadra. Ma perché perdere tempo e pensare strano quando è la volta di eleggere il nuovo presidente della Repubblica? 

Marcon segue un’altra strada: fa attenzione all’altro campo e ne fa parlare taluni protagonisti: “Emergono informazioni rilevanti sulla ricchezza in Italia, sia attraverso i dati raccolti sia attraverso le interviste effettuate”. Dati e interviste: “Sembra che si tratti di due mondi diversi e non comunicanti; da un lato i dati che non riescono a documentare con precisione le traiettorie e caratteristiche dei ricchi in Italia; dall’altro le interviste fanno pensare a un paese ben lontano da quello che emerge dai dati”. Certo, “c’è l’ampia disponibilità degli intervistati a discutere in modo diretto della questione della ricchezza”, ma quasi sempre ci si ferma “all’esperienza personale e valutazioni generali, a volte frettolose”.

Torniamo ai dati. Lo studio di Oxfam Italia Disuguitalia La pandemia della disuguaglianza (disponibile qui), riprende i dati di vari Global Wealth Report del Credit Suisse – la potente banca svizzera che ama spiegare come va il mondo, in particolare quello dei ricchi. La fotografia riassume, anno dopo anno, il modello di come si ripartisce, nel nostro paese, la ricchezza comune e come si evolva nel corso del secolo – questo secolo attuale, quello sul quale si può ancora operare – in un rapporto, sempre più sconfortante, tra ricchi e poveri. Nel 2020 il 20% più ricco degli italiani aveva il 67,6% della ricchezza, il 20% più povero lo 0,4%.

Possiamo anche vederla come un’Italia a tre bande. Sopra, il dieci per cento dei cittadini più ricchi, con una ricchezza che nel corso del primo ventennio del secolo oscilla intorno a una linea del 50%, sfiorando talvolta il 60%; poi una seconda fascia che comprende il quaranta per cento dei cittadini con posizione economica medio-alta, con una ricchezza che oscilla intorno a un valore simile: quaranta per cento gli abitanti e quaranta per cento la loro ricchezza. Infine, sotto, c’è un 50 per cento della popolazione con ricchezza pari al 10 per cento; anch’essa con oscillazioni che però, al passare degli anni, avvicinano sempre più la ricchezza dei poveri (metà degli italiani) all’otto per cento. Superfluo notare che i ricchi non sono tutti ricchi allo stesso livello, i medi (il medio ceto?) non sono tutti uguali tra loro e lo stesso avviene per i poveri – metà della popolazione! – che non hanno beni di egual misura tra loro: c’è chi sopravvive a stento, ma qualche altro manda, pur con sacrifici, i figli all’università.  

Le proporzioni sono cambiate e c’è molto di nuovo sotto il sole, ma siamo sempre al giochetto tra Nobili, Clero e Terzo stato, come un quarto di millennio fa, come nella Francia di Maria Antonietta, come prima della Rivoluzione. La tripartizione di oggi è un po’ cambiata. Il clero ha ceduto il proprio stato agli emergenti, assai cresciuti, molto ansiosi, che vorrebbero salire ancora, e per garantirsi un futuro hanno espulso da sé i lavoratori manuali, cui via via si sono aggiunti gli immigrati e tutti gli altri senza mestieri, senza fortuna, senza istruzione: senza speranza. Terzo e quarto stato, sono ormai insieme. Il ceto borghese e quelli di Babeuf (o di Pelizza da Volpedo) insieme, contano per metà popolazione. 

E del Quarto stato, per la parte che è riconoscibile, si occupano i Centri d’inclusione vicini alle Diaconie valdesi, coinvolti nel precedente rapporto di Oxfam, del 2021 (disponibile qui). In quel testo si legge che “con lo scoppio della pandemia in tutti i centri si è riscontrato un serio aggravamento delle vulnerabilità della propria utenza (fasce basse o medio-basse della popolazione) e dell’acuirsi delle condizioni di disagio in molte dimensioni della vita.” Un altro passo del testo rileva che “a Prato, con l’arrivo della pandemia, un contributo volontario di 20 euro per il sostegno delle attività del centro è diventato per alcuni utenti una somma troppo alta che le famiglie non hanno potuto  pagare per far fronte alla propria spesa di base”. E ancora: “A Napoli il covid-19 ha messo il centro di fronte a una vera e propria emergenza alimentare con situazioni più critiche nei ghetti abitativi: il 70% degli utenti del centro sopravviveva grazie ai lavori informali venuti meno nel periodo del lockdown e si è trovato di fronte al rischio di fame. Gli operatori del centro hanno contribuito come volontari alla distribuzione di pasti nella provincia di Napoli, organizzata da altre realtà territoriali, supportando più di 1000 persone”. 

I banchieri svizzeri e i loro esperti calcolano che la ricchezza italiana assommi a 11,9 trilioni di dollari quanto a scrivere undici virgola nove seguito da undici zeri (i conteggi sono in dollari americani). Questa ricchezza nazionale è divisa a spanne: una divisione in tre strati (o stati se si preferisce). I divari sono abissali non solo tra i ‘nobili’ e tutti gli altri, ma anche all’interno dell’attuale terzo stato, dove sono presenti, insieme a giovani professionisti, a tecnici, a lavoratori manuali, a pubblici dipendenti anche – a migliaia, a milioni – persone senza casa, senza lavoro, senza istruzione e che vivono di espedienti o di assistenza-elemosina. Si pensi al popolo dei dimenticati – immigrati, nomadi, profughi – ai licenziati senza lavoro, ai vecchi senza pensione, a tutti coloro che vengono censiti dall’Istat come persone in povertà assoluta e nello stesso terzo stato a capi di famiglie dotate di casa, lavoro, cure mediche, istruzione, perfino risparmi.

La disuguaglianza che esiste nella popolazione si coglie forse meglio mettendo a confronto la ricchezza media (ricchezza totale divisa per l’insieme delle persone conteggiate che sono sempre gli adulti) con la ricchezza mediana, (per mediana s’intende la riga che divide in due parti uguali un insieme; nel nostro caso è la ricchezza di chi ha di qua un certo numero di persone più ricche, di là un numero uguale di altre persone più povere). La ricchezza media in Italia è di 239 mila dollari, mentre quella mediana è di 119 mila dollari, giusto la metà. Si rifletta un attimo: la ricchezza totale dell’Italia, divisa per il numero degli adulti (capifamiglia) offre un risultato individuale che è doppio di quello dell’individuo al centro di una fila che conta tot capifamiglia più ricchi e altrettanti più poveri. Da due a uno: sembra tantissimo, è tantissimo, ma ci si rende presto conto che nei paesi confrontabili con l’Italia le differenze sono ancora maggiori. In Francia (popolazione 66,5 milioni, adulti 50) le cifre sono 299 mila dollari il valore medio e 133 quello mediano; per il Regno Unito (popolazione 68 milioni adulti 53) sono 291 il valore medio e 131 quello mediano; anche la ricchezza complessiva dei due paesi si equivale: 15 trilioni di dollari i francesi, 15,3 quelli di UK. In Germania (abitanti 84 milioni, adulti 68), i valori di ricchezza sono 269 mila in media, mentre è 65 mila la mediana. Per completare il quadro (nella speranza di non averlo appesantito troppo), indicheremo i valori medi e mediani di Usa, Cina e India. I primi sono 505 e 179; quelli della Cina sono 68 e 24; infine quelli indiani sono 14 e 3. Usa e Cina sono i paesi economicamente più forti agli albori del terzo millennio, ma la differenza di ricchezza media e mediana è molto forte; forte è anche la differenza degli stessi valori tra Cina e India che all’inizio del secolo non differivano così tanto.

La banca svizzera dalla quale sembra partire tutto è convinta che il futuro, bello o brutto che sia, è agito dai ricchissimi: non quelli del 10%, ricchi sì, ma tutto considerato fragili, appesi alle Borse nazionali e in generale a Wall Street. Quando il gioco si fa duro, sono i duri a entrare in campo. La Banca svizzera li conosce uno per uno: sono, nel 2020, 56 milioni i milionari in dollari nel mondo di cui 22 milioni in Usa e un milione e mezzo circa in Italia. Nel ventennio trascorso gli americani milionari sono aumentati dal 2,3% della popolazione nazionale fino all’8,8% del 2020; gli italiani che contavano nel duemila lo 0,9% di milionari concittadini sono saliti al 3%; molto meno, molto peggio della Francia, passata dallo 0,9 al 4,9% o della Germania, salita dall’1 al 4,3%. Arricchitevi, italiani! Già sentito quest’invito, rivolto ad altri, in condizioni diverse.  

Ma non è finita; la famosa banca conosce anche il prossimo capitolo e lo racconta. Nel quinquennio in corso, 2020-2025, l’aumento di numero dei milionari non si placherà. Nel globo essi saliranno da 56 milioni a 84 milioni. Capofila gli Usa in salita da 22 a 28 milioni, con una crescita di oltre 6 milioni di milionari, pari al 27,8%. Sembra una crescita eccessiva, ma è assai minore di quella prevista negli altri paesi. Perfino la povera Italia, derelitta tra le nazioni, salirà del 39%, da un milione e mezzo a due milioni di milionari. Ben di più salirà la Francia, del 70%, passando da due milioni e mezzo nel 2020 a oltre quattro milioni nel 2025. La Germania, più austera, farà crescere i suoi milionari portacolori da quasi tre milioni a quattro milioni e rotti, con un aumento del 43,6% e rimanendo davanti alla Francia, in rimonta, di quello che in gergo ippico si dice una corta testa. Ma la rimonta fantastica è quella della Cina che andrà a raddoppiare i suoi milionari dai quasi cinque milioni e mezzo dell’anno 2020 ai 10 milioni del 2025, con un aumento del 92,7%. La Cina sferra anche in questo campo di gara un formidabile attacco agli Usa. Neanche i milionari americani sono più tanto sicuri di sé.

Come si è detto tanti numeri fa, il professor Piketty, dal quale eravamo partiti, ci assicura che la storia cammina su rotaie sicure, non può svolgersi altrimenti: la disuguaglianza si ridurrà; ci vorrà tempo, buon senso, alleanze, ma nei paesi ammodo il futuro sarà quello. La transizione dei milionari in giro per il mondo lascia qualche dubbio in proposito. Da noi, in Italia, nelle cittadelle della sinistra, trascurando la delusione di destra per il debole segnale di un aumento di milionari solo del 39,2%, (quasi il peggiore del mondo!) abbiamo un’opinione diversa, meno ottimistica: nel corso del prossimo futuro i rapporti politici e sociali saranno quasi fermi: l’eguaglianza non crescerà, anzi. Più in là, nel futuro successivo, le cose saranno diverse, forse. Ma chi ci sarà a sventolare le nostre bandiere?