Mentre negli altri paesi aumentano i lavori con più contenuto tecnologico, in Italia e in Lombardia, la struttura produttiva è sempre uguale a se stessa.
Il 2011 è un anno strano: molti opinion maker indicano il 2011 come l’anno da cui i paesi dell’area euro e Ocse dovrebbero affrancarsi dall’acuta crisi di questi ultimi tre anni. Il recupero delle esportazioni a livello internazionale e la parziale tenuta dei consumi interni sarebbero la base di questo parziale recupero.
Se la domanda internazionale così come i consumi interni sono indicatori importanti per osservare i primi segnali di controtendenza, questi stessi indicatori possono assumere una rilevanza economica e sociale diversa da paese a paese.
Legge di Engel e progresso tecnico
Da un lato la crescita (contenuta) dell’export sottende un’intrinseca capacità dei sistemi produttivi nazionali di soddisfare la domanda estera, che nel frattempo si è modificata proprio nelle sue caratteristiche tecniche-innovative, dall’altro lato la tenuta dei consumi deve anch’essa fare i conti con un mutamento tecnico-innovativo al pari della domanda estera.
Questo mutamento di struttura della domanda è stato analizzato nel modello interpretativo di P. Leon. Secondo P. Leon, i settori crescono sempre in maniera differenziata, mentre i prodotti non sono sempre gli stessi al crescere del Pil. Vuoi per la legge di Engel, vuoi per il progresso tecnico (Pt). Il Pt potrebbe anche essere neutrale (lasciando invariato il rapporto tra il settore dei beni capitali e quello dei beni di consumo); oppure potrebbe ridurre sia la manodopera per l’investimento e sia la manodopera per la gestione. In ogni caso, le proporzioni dei consumi (macro) non cambiano, ma a livello di sistema qualcosa si modifica. Infatti, la legge di Engel nulla dice sul Pt dei diversi settori che, pur avendo un Pt macro neutrale, può non esserlo per settore, cioè ci possono essere saggi di profitto o di crescita diversi da settore a settore.
Tanto più un sistema produttivo è capace di 1) intercettare il mutato contenuto tecnico dei consumi e sono capaci di 2) spostarsi da un settore produttivo a un altro, tanto più gli investimenti e i consumi interni permettono una costante crescita del reddito e del Pil, evitando la polarizzazione del reddito.
La produzione lombarda
Adottando il modello d’analisi di P. Leon alla regione Lombardia comparata all’area euro è possibile “sintetizzare” la diversa capacità del sistema produttivo di soddisfare la domanda estera e di consumo.
Se la produzione industriale aggregata della Lombardia e dell’area euro sono sostanzialmente in linea dal 2000 a oggi, non si può dire la stessa cosa dal lato della sua composizione, cioè beni strumentali, intermedi e di consumo. Infatti, è proprio la composizione della produzione che permette di “competere” sui mercati internazionali.
L’andamento del Pil della Lombardia è lo specchio fedele della specializzazione produttiva. Non a caso la crescita del Pil della Lombardia dal 1996 è non solo più bassa della media nazionale, ma significativamente più contenuta dell’area euro, cioè l’area economica di riferimento del tessuto produttivo lombardo.
Se l’Ue negli ultimi 15 anni ha visto ridurre il proprio tasso di crescita, da una media del 2,74% (’96-’00) a un più modesto 0,8% (’01-’10), segno che anche in Europa ci sono dei seri problemi, l’Italia e la Lombardia continuano a maturare un ritardo nella crescita economica che può fare felice solo i “fautori” della decrescita “felice”.
Ma il modello di P. Leon suggerisce, anche, di osservare con attenzione non solo il reddito disponibile e il suo utilizzo, ma aiuta a capire la dinamica degli investimenti fissi lordi.
Distanza dall’area euro
L’Italia e la Lombardia fino al 2005 hanno registrato tassi di crescita degli investimenti fissi lordi pari o superiori all’area euro, mentre dal 2006 si osserva un certo contenimento. Il contenimento non è negativo in senso assoluto. Infatti, il sistema produttivo nazionale e lombardo nel corso degli ultimi anni soffre di un eccesso di capitalizzazione rispetto alla media europea. Più precisamente, la composizione tecnica degli investimenti dell’Italia e della Lombardia non è coerente con la crescita della produzione e del Pil. Per avere un quadro completo ed esaustivo del gap dell’Italia e della Lombardia occorre indagare il tasso di elasticità (produttività) degli investimenti di Europa, Italia e Lombardia. Il tasso di elasticità degli investimenti fissi della Lombardia è più basso di ¾ della media dell’area euro, mentre per l’Italia i valori sono ancor più clamorosi.
In qualche misura si può sostenere che la Lombardia è distante dall’area euro per ¾ della propria struttura produttiva. Diversamente sarebbe difficile spiegare il peggioramento dei salari se comparati con Germania, Francia ed altri paesi di pari livello, per non parlare dei giovani (ben formati) che non trovano nessuna occupazione coerente con la propria formazione.
Come ha efficacemente sostenuto F.R. Pizzuti nel suo Rapporto annuale sullo stato sociale in Italia (Roma, 7 giugno ’11), è ben strano che la più bassa quota di giovani dell’Italia rispetto alla media europea, rispettivamente 16% e 19%, non trovi un posto di lavoro. In ragione della loro scarsità dovrebbero essere facilitati rispetto ai concorrenti europei. Ma questo non accade.
Conflitto generazionale? No. Il problema è di struttura. Mentre negli altri paesi si allargano i lavori a maggiore contenuto tecnologico con salari medi più alti, in Italia e soprattutto in Lombardia, la struttura produttiva è sempre uguale a se stessa, cioè non è stata capace di modificare la composizione della propria produzione. In qualche misura la struttura produttiva della Lombardia è contro i giovani. Un gap che dovrebbe far riflettere l’attuale possibilità o capacità di intercettare da parte della Lombardia l’ambizioso progetto europeo di Europa 2020.