Sono giorni decisivi per l’Unione Europea, chiamata a rispondere alla grave crisi economica scatenata dalla pandemia. Servono politiche fiscali espansive e un sostegno della BCE, rifiutando qualsiasi forma di condizionalità che richieda l’adozione di politiche di austerità. Da “Economia e Politica”.
Nelle ultime settimane in Italia e in Europa si è affacciata con prepotenza la questione economica legata alla pandemia in corso, e si sono moltiplicate le prese di posizione relative a come questa dovrebbe essere affrontata.[1]
Pur in una situazione in continua evoluzione, provo qui a mettere in ordine i problemi e gli strumenti disponibili, sia in via di principio che in concreto, con l’auspicio che questo possa aiutare a chiarire i termini delle questioni in discussione.
1. Il contesto
E’ sempre più evidente che la pandemia e le misure di contenimento del contagio adottate in tutto il mondo provocheranno una profonda recessione in conseguenza del blocco di una parte importante dell’attività produttiva e la scomparsa dei redditi generati da quelle attività. Molte previsioni sono concordi nell’affermare che si avranno riduzioni del PIL maggiori di quelle causate dalla crisi finanziaria globale del 2008, e che esse non saranno transitorie.
In tutti i paesi la combinazione della caduta significativa del PIL e degli aumenti di spesa pubblica e riduzione delle tasse per fronteggiare l’emergenza faranno lievitare il rapporto tra deficit e PIL e tra debito pubblico e PIL.
Si deve notare tuttavia un elemento di estrema importanza fino ad oggi spesso sottovalutato o addirittura ignorato – in modo totalmente anti-scientifico – nel dibattito politico su questi temi: il denominatore (il PIL) non è indipendente dalla politica di bilancio pubblico, cioè dalle variazioni della spesa pubblica o delle tasse. In altri termini, più spesa pubblica implica minore caduta del PIL. Inoltre, gli effetti delle variazioni di spesa pubblica sul PIL in fasi di recessione o stagnazione economica sono particolarmente forti. Questo fa sì che in una economia già in difficoltà, le politiche di austerità (riduzione della spesa) fanno aumentare il rapporto debito-Pil. Questa non è (solo) la conclusione speculativa di una particolare teoria o modello economico che potrebbe essere non condiviso, ma è un fenomeno ormai ben documentato[2] e oggi – a differenza di quanto poteva essere 10 anni fa – sotto gli occhi di tutti.
Questo è particolarmente vero per alcuni paesi dell’eurozona, dove le politiche di austerità hanno determinato incrementi del rapporto debito-PIL. In Italia, per esempio, quel rapporto è aumentato di oltre 10 punti percentuali tra il 2011 e il 2013, cioè proprio nel pieno della attuazione delle politiche di austerità e riforme suggerite dalla Commissione Europea (Paternesi Meloni e Stirati, 2018). Questo aumento del rapporto debito-PIL, causato dalle politiche di austerità, ha reso l’Italia e altri paesi europei più esposti a difficoltà nel collocare i propri titoli del debito pubblico sui mercati finanziari, con il conseguente aumento nei relativi tassi di interesse.
Quanto appena detto significa, in primo luogo, che politiche fiscali espansive (più spesa pubblica, meno tasse), avranno nel presente contesto l’effetto di ridurre la caduta del PIL. Di conseguenza, politiche fiscali decisamente espansive, se ben disegnate ed efficaci, potrebbero anche ridurre l’incremento del rapporto deficit-PIL e debito-PIL rispetto a uno scenario di politiche di spesa più prudenti, determinato proprio dal timore di far crescere di quei rapporti. Purtroppo l’Italia sta appunto seguendo una linea di estrema prudenza, che potrebbe in realtà avere effetti controproducenti.[3]
Politiche fiscali espansive sono essenziali:
a) per sostenere la spesa sanitaria, i redditi e la domanda aggregata, per assicurare la lotta al virus, gli standard di vita e la produzione nei settori ancora attivi;
b) per alleggerire il carico fiscale alle imprese e assicurare loro, anche attraverso il sistema bancario, la liquidità sufficiente per sopravvivere alla tempesta, sperando che cessi.[4] Il rischio è che sennò quando ci sarà una ripresa globale le imprese non saranno più lì a rispondere.