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Le tasse di Palermo e il voto dell’evasione

La rotta d’Italia. Quattro palermitani su dieci sono sconosciuti al fisco. Solo in 4mila hanno un reddito di oltre 100mila euro, ma in provincia circolano 35mila auto di grossa cilindrata. Come vota l’evasione?

Nei programmi elettorali dei partiti, la lotta all’evasione fiscale è sempre in bella evidenza. Citata ritualmente come obiettivo che, raggiunto sia pure parzialmente (stiamo parlando di cifre che si aggirano sui 120 miliardi), permetterebbe di abolire misure anti-popolari: dall’Imu alla sterilizzazione delle pensioni rispetto al tasso di inflazione. In questo momento, si parla di lotta all’evasione soprattutto per mettere in evidenza nuovi metodi di contrasto, blitz che dovrebbero creare un effetto dissuasivo, creazioni di conflitti di interessi tra chi paga le imposte e chi invece evade.

Una politica di comunicazione, correttamente, mette in luce il vasto armamentario utilizzato dagli organi di controllo provando ad assicurare evidenza mediatica alla repressione, sia essa concentrata in micro-interventi (il controllo degli scontrini), che su macro-interventi come l’individuazione di evasori totali. Poco si dice sulla concreta efficacia di questa azione e sulla proporzione tra risultati raggiunti ed obiettivi prefissati.

Onde contribuire ad una migliore comprensione del fenomeno e della difficoltà di azione che implica per ridimensionarlo vogliamo descrivere, per larghi cenni, il contesto fiscale di una grande città meridionale, Palermo. Ci riferiamo ai dati diffusi dal Ministero dell’Economia e rielaborati dall’Ufficio Statistica del Comune [1].

Quattro palermitani su dieci sono sconosciuti al fisco: il 40% dei cittadini tra i 15 e i 64 anni non paga le tasse, un parametro inferiore a quello relativo a Napoli (55%), ma stridente rispetto a quello di Milano (8%). In sostanza, a Palermo solo 270.000 persone circa su 439 mila residenti in età lavorativa danno il loro contributo fiscale. Viene subito da chiedersi se ci troviamo di fronte a una disoccupazione ben più alta rispetto a quella denunziata dalle statistiche ufficiali (16%, secondo i dati Istat al 2011) oppure di fronte ad un’evasione di massa. Solo l’1,4% della popolazione dichiara un reddito superiore ai 100 mila euro: 4.000 “ricchi” rispetto a 263 mila contribuenti. La percentuale si impenna nelle fasce più basse di contribuzione: il 14,7 per cento dei paganti dichiara meno di 10 mila euro, il 6,3% meno di cinquemila.

Come è logico attendersi, in una città come Palermo la cui economia si fonda principalmente sul terziario burocratico, la maggior parte dei contribuenti (86.500 persone) dichiara tra i 20 mila e i 33 mila euro all’anno. Si tratta, come anticipavamo, della fascia media dei dipendenti colpita dal fisco, con nessuna possibilità di evadere e con scarsa probabilità di elusione, direttamente sulla busta paga. Entriamo più nel dettaglio.

Nella fascia più bassa – da 5 a 15 mila euro – ci sono 60 mila contribuenti (con uno stipendio lordo quindi che in media dovrebbe superare di poco i 1.200 euro). Il doppio di quelli che dichiarano da 33 a 55 mila euro. Tra 50 e 70 mila euro (quindi, con uno stipendio lordo che dovrebbe aggirarsi a poco più di 5.500 euro) ci sono solo 10 mila contribuenti. Solo 7 mila, per specificare meglio un dato già citato, quelli con un reddito lordo tra 70 e 100 mila euro.

Un’osservazione prima di proseguire: se a pagare le tasse è la classe media, con uno stipendio lordo medio di circa 2.000 euro, come si possono giustificare le 35 mila automobili di grossa cilindrata che circolano tra Palermo e provincia (forte Aci)?

Gli interrogativi che pone questa sommaria lettura dei dati trovano una risposta, sia pur parziale, in altre evidenze: l’86% dei commercianti palermitani non rilascia né scontrini né ricevuta fiscale. Una sorta di economia invisibile, in larga parte informale, costituita dal commercio agro-alimentare, degli ambulanti, dai gestori di ristoranti e pizzerie. Sono i risultati, quelli ora esposti, che scaturiscono da un’indagine della Guardia di Finanza su un campione di circa mille controlli, effettuata nei mesi scorsi.

L’indagine si è estesa anche alla provincia di Palermo. La percentuale di evasori nel commercio tra città e provincia si attenua (il 47%) ma, inspiegabilmente se si tiene conto dell’intensificarsi dell’attenzione, raddoppia rispetto al 2011, quasi esistesse una correlazione positiva tra crisi ed evasione.

Qualcuno ha provato a tracciare un identikit dell’evasore palermitano [2]. Accanto ai soggetti del sommerso (20-22% del Pil palermitano) e ai disoccupati, si segnalano i cosiddetti evasori per sopravvivenza, micro-imprese individuali che non riescono a rispettare norme e regolamenti. Fuori da ogni sospetto organizzazioni mafiose (che paradossalmente vogliono pagare le tasse anche più del dovuto, sia per evitare sospetti che per riciclare, attraverso, ad esempio, il trucco della sovrafatturazione), compaiono sulla scena nuovi attori, i commercialisti abusivi, professionisti della elusione “canaglia”. I commercialisti dell’albo tendono a ridimensionare il fenomeno con il tradizionale argomento: l’evasione non si misura in base al numero dei “furbetti” (il caso di Palermo) ma rispetto alla somma non pagata che a Palermo è poca cosa, rispetto ad altre realtà territoriali, visto la debolezza del suo tessuto produttivo.

Resta un tema tutto da approfondire: l’evasione di massa come si intreccia con l’espressione del consenso politico, con l’adesione a un sistema complessivo di legalità, con la libertà di impresa? Pensiamo soltanto, in un quadro come quello descritto, all’attenzione che può suscitare una proposta di condono tombale o, viceversa, un’ipotesi di riduzione di imposte (non pagate) grazie ai proventi accresciuti dalla lotta all’evasione.

[1] Per un commento a questi dati si veda S.Scarafia, Non pagano tasse quattro palermitani su dieci, La Repubblica Palermo, 5.1.2013

[2] S.Palazzolo, I commercialisti abusivi favoriscono il nero. La Repubblica Palermo, 6.1.2013