Nascere in un quartiere o in un altro determina la riuscita sociale a Roma. Nella mappa delle diseguaglianze del libro di Lelo, Monni e Tomassi sono sette le città censite. Tutte avrebbero bisogno di politiche attive. E tutte andranno al voto in autunno.
Quando a Roma si parla di Roma è impossibile non cadere nella costernazione per una classe dirigente – politica, amministrativa, imprenditoriale – che non riesce a far funzionare le cose essenziali, a cominciare dal trasporto pubblico e dalla raccolta dei rifiuti. Sebbene sia da comprendere la sollecitazione della sindaca Virginia Raggi a non dimenticare le 459 cose fatte dalla sua amministrazione nei cinque anni 2016-2021 (https://www.cosefatte.it/), sarebbe più corroborante per il cittadino romano disporre, e vedere all’opera, una convincente “idea di città” che lo possa confortare sui suoi futuri standard di vita.
Non si può dire che sia una questione semplice, come non lo è per tutte le grandi metropoli. I retaggi storici, le responsabilità politiche, i processi sociali dai quali proviene il presente di questa città possono spiegare perché le discussioni in merito sono tanto intense quanto discordanti per punti di vista e per prospettive di sviluppo (a titolo indicativo https://sbilanciamoci.info/roma-la-capitale-vuota/). Cosa si potrebbe/dovrebbe fare per affrontare la complessità della questione – tema cruciale per dare senso alle alternative del prossimo confronto elettorale – deve partire dalla constatazione della radicata disomogeneità economica e sociale che si registra all’interno dell’area chiamata Roma.
Già nel 2019 Salvatore Monni, professore di Economia all’Università di Roma Tre, assieme a Federico Tomassi e Keti Lelo, hanno offerto una rappresentazione di tale questione nel libro La Mappa delle Diseguaglianze (con la postfazione Il caleidoscopio romano di Walter Tocci, Donzelli editore) per far toccare con mano la distribuzione sul territorio dei più indicativi fenomeni economici e sociali. Con l’utilizzo di eloquenti mappe vengono rappresentate le condizioni di reddito segnalando come i livelli di disoccupazione e il deterioramento della qualità dell’occupazione si accentuano via via che ci si allontana dal centro verso est e verso il litorale, cioè verso realtà la cui maggiore densità e più rapida crescita della popolazione non è indipendente dai maggiori costi della vita al centro della città.
Tendenze analoghe si ricavano dalle mappe relative al disagio economico e sociale (il mancato completamento del secondo ciclo di istruzione, la presenza di Neet, la densità di famiglie in difficoltà economiche e sociali). Le stesse condizioni del traffico e financo le differenze di genere su istruzione e lavoro, pur con qualche piccola eccezione e comunque con differenze interne, riflettono la tendenza generale. L’importanza dell’indagine, e delle rappresentazioni vivide che offre non risiede solo nel dar conto delle condizioni di vita fortemente differenziate all’interno della città, ma anche nel sottolineare il progressivo peggioramento delle periferie rispetto al centro della città che, sebbene sia comune a tutte le zone metropolitane del paese, risulta molto più accentuato rispetto alle tendenze presenti a Milano e a Torino.
È senso comune che dappertutto situazioni di disuguaglianza di partenza determinano possibilità di vita e di futuro ben diverse. Per la realtà romana lo illustra efficacemente la mappa relativa all’indice ISU (che considera congiuntamente livelli di reddito, condizioni sanitarie e competenze educative) i cui valori per le zone privilegiate sono più del doppio rispetto a quelle più disagiate: «Oggi a Roma nascere in un quartiere piuttosto che un altro significa avere più o meno opportunità di realizzare se stessi» (Monni all’Audizione alla Commissione Affari costituzionali della Camera dell’8 aprile 2021, evento | WebTV (camera.it)). Una considerazione che non sembra provocare reazioni a livello istituzionale, ma i cui riflessi politici, se li si vogliono comprendere, sono attestati mirabilmente dalle mappe sui test elettorali dal 2016 al 2018.
La tendenza delle disuguaglianze a inasprirsi allontanandosi dal centro assumono forme variegate, considerato che i diversi aspetti che le caratterizzano hanno un diverso peso nelle varie zone di Roma. È questa osservazione che ha indotto il gruppo Lelo, Monni e Tommasi a fare un passo ulteriore per fornire una rappresentazione più fine, e una interpretazione più stimolante, della situazione cittadina. La loro proposta è che non si può parlare di “una” Roma, ma che di fatto ne esistono molte di più, e ne individuano almeno “sette”. E ne forniscono le immagini, le mappe, nel loro libro appena apparso in libreria, Le sette Rome. La capitale delle disuguaglianze raccontata in 29 mappe (Donzelli editore, 2021).
Le “sette Rome” (che parafrasano i famosi sette colli su cui è sorta Roma) è il tentativo degli autori di mettere ordine a quel “tessuto urbano fortemente disomogeneo dal punto di vista demografico, sociale ed economico” che è “l’attuale complesso mosaico della città che, nei 150 anni dopo Porta Pia, è cresciuta dieci volte nell’estensione fisica e quindici volte nella dimensione demografica”; a quella “grande area metropolitana che si estende dal mare fino ai primi rilievi appenninici. Sono sette immagini di realtà urbane differenti tra loro – individuate sulla base dei dati demografici e delle effettive dinamiche urbanistiche, sociali ed economiche – che possono essere considerate come “città” distinte, «perché ognuna di esse, pur non essendo delimitata da un punto di vista amministrativo, è perfettamente riconoscibile nelle proprie peculiarità e problematiche, nelle memorie e nei cliché che la riguardano».
Sulla base dei dati provenienti da fonti diverse (l’anagrafe di Roma Capitale, i censimenti Istat, i risultati elettorali per sezione, i valori immobiliari dell’Agenzia delle entrate, i dati comunali sulle fermate del trasporto pubblico e sugli incidenti stradali, un’indagine della Provincia di Roma sulla dotazione di servizi pubblici e privati, gli indirizzi delle case popolari, dati riportati nel loro blog www.mapparoma.info/open-data) gli autori hanno individuato le caratteristiche sociali ed economiche (composizione dei nuclei familiari, livelli di istruzione, tipologie occupazionali, dotazioni urbane, preferenze politiche) che contrassegnano in maniera significativamente diversa i differenti quartieri, spesso anche limitrofi.
Più precisamente, sono state identificate sei città su base territoriale: la città storica, colma di testimonianze artistiche, architettoniche e archeologiche; la città ricca, dei quartieri benestanti di Roma nord, dei villini dell’Eur, delle grandi ville dell’Appia Antica e della gated community di Olgiata; la città compatta, dei quartieri residenziali intensivi costruiti negli anni dell’espansione post-bellica; la città del disagio, la gran parte delle case popolari e delle borgate nate in maniera abusiva; la città dell’automobile, disposta lungo i principali assi di viabilità di scorrimento veloce (Gra, via del Mare, autostrada Roma-Fiumicino); la città-campagna, che comprende tutto ciò che resta dell’Agro romano. La settima è invece una città diffusa, la città degli invisibili, di quelle «migliaia di persone che sopravvivono, ai margini della società, su marciapiedi e angoli di strada, in centri per migranti, campi rom, carceri sovraffollate, abitazioni occupate o sgretolanti case popolari».
Gli aggettivi utilizzati per qualificare le sette città parlano da soli e suggeriscono realtà radicalmente diverse la cui storia e collocazione di classe condizionano la vita e il futuro degli abitanti di ciascuna area. Particolarmente significativa, e meritoria, è la rappresentazione della «vera e propria geografia del disagio socio-economico della città» (per inciso, da essa Andrea Mancori, Giorgia Amato, Cécile Berranger e Sara Vicari del collettivo aroundtheworld.coop, hanno tratto spunto per il loro documentario La città del disagio, che ha vinto il primo premio come “miglior documentario per la categoria giustizia sociale” al Just Film Festival di Birmingham ( Le sette Rome Miglior documentario al Just Film Festival di Birmingham. – #mapparoma). Una rappresentazione del disagio sociale che, in tempi di Covid, ha raggiunto livelli di vera emergenza, anche se in maniera disomogenea, nelle sette città. La rendono evidente le mappe relative alle provvidenze distribuite a sostegno del reddito dove, alla generale tendenza a intensificarsi procedendo dal centro verso la periferia, si accompagna un accentuarsi della “specializzazione” delle diverse zone nel beneficiare della specifica forma di sussidio (reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, Naspi, cassa integrazione guadagni, bonus e indennità Covid). Una conferma della validità del contributo dei nostri tre autori nell’individuazione delle peculiarità distintive delle città di Roma.
Al riguardo merita soffermarsi sull’analisi, nella terza parte del libro, dell’impatto che la pandemia ha avuto sulle “sette Rome” appunto perché questo shock ne ha accentuato le specifiche disuguaglianze socio-economiche e culturali: le mappe di Lelo, Monni e Tommasi sono un formidabile sostegno alla tesi (di Richard Horton, di «The Lancet») che l’emergenza sanitaria dovuta al Covid debba essere considerata come una “sindemia” poiché i suoi effetti non si distribuiscono su tutti con la stessa intensità, ma colpiscono «soprattutto i più vulnerabili – precari, giovani, donne, stranieri – nonché il ceto medio».
Ma il contributo del libro va al di là della pur encomiabile conoscenza più approfondita delle realtà di Roma, e del piacere di “vederle” attraverso l’eloquenza delle mappe. La sua maggiore importanza risiede nel porre in tutta la sua complessità la questione di quali politiche possono essere implementate per migliorare la qualità della vita dei romani. In presenza di “sette Rome” – diverse per condizioni di ricchezza, salute, istruzione, occupazione, attività economiche e qualità della vita – non è pensabile che il governo della città si possa esercitare attraverso “una”, unica e accentrata, politica produttiva, finanziaria, amministrativa con il rischio che privilegiare gli interessi di una “città” imponga, nel contempo, intralciare le aspettative di sviluppo di un’altra o più “città”.
Un’altra difficoltà emerge quando si consideri la non stretta corrispondenza tra il territorio delle sette città di Roma e quello delle circoscrizioni dell’attuale struttura amministrativa. Una discrepanza che rende inefficace qualsiasi forma di decentramento volto a semplificare l’azione di governo della città poiché, come al centro, anche ogni zona amministrativa rischia di dover fronteggiare realtà disomogenee, dal punto di vista economico e sociale, delle diverse sette città di Roma che si intersecano sul suo territorio. Tuttavia l’obiettivo dichiarato di Keti, Monni e Tommasi è quello di fornire gli strumenti per stimolare la riflessione su come affrontare le disuguaglianze che caratterizzano e penalizzano la crescita di Roma al fine di «definire politiche che consentano di migliorare la qualità della vita dei romani». Ebbene, si deve dire che l’obiettivo è raggiunto, ora si tratta di vedere quale discussione ne seguirà. Ma questo non dipende più dagli autori.
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Keti Lelo, Salvatore Monni, Federico Tomassi, La Mappa delle Diseguaglianze, con la postfazione Il caleidoscopio romano di Walter Tocci, Donzelli editore, Roma 2019.
Keti Lelo, Salvatore Monni, Federico Tomassi, Le sette Rome. La capitale delle disuguaglianze raccontata in 29 mappe (Donzelli editore, 2021), Donzelli, Roma 2021.