Mercato Euro-Mediterraneo, la Commissione Ue spinge l’acceleratore. La voce delle Ong: il sostegno alla crescita economica va fondato sul sostegno alla scelta dei popoli, e avere come priorità la capacità produttiva, l’occupazione e i salari
“Dobbiamo mostrare umiltà rispetto al passato. L’Europa non ha fatto sentire abbastanza la sua voce nella difesa dei diritti umani e delle forze democratiche locali nella regione del Mediterraneo. Molti di noi caddero nell’assunto che i regimi autoritari fossero portatori di stabilità. Non è stato tanto per Realpolitik. E’ stata, nella migliore delle ipotesi, una “sindrome del breve termine”, quel particolare tipo di sindrome che rende difficile costruire qualsiasi cosa a lungo termine”.3 Parola di Stefan Füle, Commissario europeo per l’Allargamento e le politiche di prossimità, che presentando nel 2011 la nuova strategia politica europea nel Mediterraneo, aveva messo l’accento sul potenziale di stabilizzazione che i rapporti economici e commerciali tra i nostri paesi e la sponda sud del Mediterraneo, all’ombra della vecchia Europe’s Neighbourhood Policy – ENP, avevano avuto rispetto ai regimi dittatoriali dell’area. Oggi, alla vigilia di un rinnovo elettorale ormai alle porte, la Commissione europea spinge sull’acceleratore dei rapporti bilaterali e, dopo aver incassato il via libera dal Parlamento sugli accordi di liberalizzazione con Corea, Perù, Colombia e Africa dell’Est e del Sud (Esa), punta dritta verso Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia senza alcuna considerazione delle preoccupazioni sollevate dalla società civile locale sugli impatti sociali, ambientali e politici che un’integrazione a tappe forzate dei mercati delle due sponde avrebbe sulla stessa, faticosa, transizione politica avviata con i movimenti della Primavera araba.
L’idea di integrare progressivamente la sponda Sud del Mediterraneo nel mercato europeo nasce a metà degli anni Novanta quando l’Europa lancia il Processi di Barcellona con l’obiettivo di stabilire un’area di libero scambio nel Mediterraneo finalizzando degli accordi di associazione bilaterali (bilateral Association Agreements – AA). Gli AA sono stati firmati con tutti gli Stati della regione tra il 1995 e il 2002, e sono entrati in vigore tra il 1998 e il 2006. Il tutto mentre le ulteriori liberalizzazioni tentate nel mercato agricolo, dei servizi, degli investimenti, della proprietà intellettuale e delle forniture pubbliche venivano stoppate nel piano multilaterale all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), dove la Doha Development Agenda giace insabbiata, con la sua retorica sviluppista, dal lontano 2001. I Paesi dell’area, tutti membri della Wto, per far parte dell’Organizzazione si sono già sottoposti a onerosi cicli di liberalizzazioni, ma questo all’Europa non sembra bastare.
La regione euro-mediterranea nel suo complesso assorbe attualmente l’8,6% del commercio extra UE dell’Unione europea. Secondo il disegno originale, le tasse sulle esportazioni e importazioni sarebbero dovute diminuire in base alla roadmap degli accordi di Barcellona (1995) per favorire gli scambi tra l’Unione Europea e gli 11 Paesi del Sud e dell’Est Europa. Il processo, assai rallentato, si innesta in una situazione di crisi alimentare abbastanza grave nella sponda Sud ed Est del Mediterraneo. L’Università di Monpellier SupAgro, che ha lavorato su una PAC Euromediterranea, ci dice che questi Paesi sono perennemente in deficit di prodotti alimentari di base (latte, carne, cereali e colture oleaginose) nonostante siano Paesi a forte vocazione agricola. L’Europa importa da questi Paesi prodotti agricoli per circa 8 miliardi di dollari mentre, già ad oggi, ne esporta per più di 17 miliardi. I Paesi del Sud e dell’Est del Mediterraneo nel 2007 avevano comprato all’esterno prodotti agricoli e alimentari per 57 miliardi di dollari, il triplo rispetto al 2000. Nel 2013, con il peso della volatilità crescente dei prezzi, si potrebbero sorpassare i 60 miliardi di dollari di deficit agroalimentare. La stessa università stima, però, che per assicurare un reddito minimo ai contadini piccoli e medi e mettere in campo degli strumenti d’intervento pubblico per assicurare una vera modernizzazione dei sistemi di coltivazione dunque una minima sicurezza alimentare nella regione ci vorrebbero investimenti minimi dell’ordine di 5 miliardi di euro l’anno, un decimo del bilancio complessivo della Politica agricola comune europea. E’ in cerca, almeno, di una parte di questi finanziamenti che l’area guarda con maggiore interesse alla Cina, che mette a disposizione finanziamenti e strumenti con minori condizionalità di tipo politico. Ed è questa la partita che l’Europa non vuole perdere, a nessun costo.
Il primo rapporto di associazione fu approvato tra Europa e Marocco nel 2000, dando inizio a una serie di scadenze di eliminazione di quote e tariffe sulle esportazioni in base alla quale, nel febbraio 2012, il Parlamento europeo gli ha consentito di partecipare a tre programmi del mercato unico (sulla competitività e innovazione, sulle dogane e sui trasporti) a fronte della riduzione di restrizioni sulle esportazioni dal Marocco di prodotti agricoli e della pesca. Il processo si è completato nel marzo scorso ed oggi è in piedi anche un’area di libero scambio sui prodotti industriali. E’ del 14 dicembre 2011 il mandato attribuito alla Commissione da parte del Consiglio degli Affari Esteri dell’Unione di studiare e lanciare negoziati per stringere Deep and Comprehensive Free Trade Agreements (DCFTA) con Marocco, Giordania, Tunisia ed Egitto, che estenderebbero le correnti parziali aree di libero scambio sui prodotti includendo servizi, appalti pubblici e un’armonizzazione regolatoria più ampia a partire dalla proprietà intellettuale e dai requisiti per i servizi. Chiaramente questo serve innanzitutto all’Europa per reggere la competizione statunitense in ripresa aprendo nuovi mercati emergenti alle proprie imprese.
I benefici per le imprese ed i paesi partners sono tutti da dimostrare, a partire dai costi per l’adattamento ai meccanismi regolatori europei che ricadono tutti sulle loro spalle e li mettono in svantaggio rispetto alla concorrenza Ue, per finire con gli stretti legami tra appalti pubblici e modelli di sviluppo, ossia temi decisamente sensibili per la governance interna. Arab ngo network e altre organizzazioni attive nell’area sono state esplicite: “Il sostegno alla crescita economica – hanno scritto alla Commissione – dovrebbe essere fondato sul sostegno alla scelta dei popoli di rivedere il modello economico, e dovrebbe avere come priorità la capacità produttiva, l’occupazione e i salari. A questo scopo, le politiche commerciali e di investimento create dai vecchi regimi devono essere riviste per essere messe al servizio di una visione di sviluppo, e non della concentrazione di potere nelle mani di pochi”, secondo le Ong dell’area. Negoziati per qualunque nuovo accordo su commercio e investimenti, secondo le ong, “non devono essere intrapresi prima dell’entrata in vigore delle nuove Costituzioni che nei paesi arabi testimoniano la transizione, e prima che siano definiti i modelli di sviluppo per questi paesi, con priorità ai diritti economici e sociali dei popoli”. Eppure, a quanto si apprende dal documento strategico riservato, indirizzato dalla Commissione al Trade Policy Committee del Consiglio d’Europa (DG Trade – Trade Activities – First Half 2013/10 gennaio 2013), la commissione colloca i negoziati all’interno della Strategia di Accesso al Mercato (non certo di cooperazione) il cui “focus principale – si afferma senza scrupoli nel documento – sarà quello di smantellare le principali barriere incontrate dalle imprese europee nei mercati dei Paesi terzi e nel monitoraggio dell’effettiva implementazione degli accordi di libero scambio” (p. 7). Nella prima metà del 2013 la Commissione vorrebbe lanciare i negoziati su un DCFTA specifico con la Tunisia nonostante ammetta, nello stesso documento “che il processo complessivamente sta durando più di quanto previsto” (p. 18).
Sarà dunque più che opportuno fare del prossimo Forum Sociale Mondiale, che per la prima volta avrà luogo in un paese arabo – a Tunisi dal 26 al 30 marzo prossimi -, uno spazio di riflessione congiunta della società civile delle due sponde del Mediterraneo su quale tipo di modello di cooperazione e di partenariato, sociale ed economico, vogliamo che connoti questa nuova stagione di relazioni euro-mediterranee post-Primavera araba. Dobbiamo lanciare, prima possibile, una forte iniziativa nei confronti del Parlamento Europeo, che ha approvato con ampie maggioranze tutti gli accordi bilaterali finora sottoposti dalla Commissione, ignorando le richieste di cautela e di revisione avanzate da sindacati e associazioni su ciascuno di essi, oltre che dei Parlamenti nazionali chiamati a ratificarli. C’è bisogno di un’ampia consultazione con i Paesi partner, inclusi tutti gli attori sociali rilevanti, a priori e prima di qualsiasi passo, per una valutazione delle reali necessità e dei potenziali risultati di liberalizzazioni così profonde e fuori controllo. Una richiesta di buona politica e di buona economia, non più rinviabile.