Un recente rapporto dell’Ican dimostra che la proliferazione nucleare si basa sul contributo fondamentale di gruppi assicurativi e bancari. Anche quelli italiani
Nell’immaginario collettivo la proliferazione di armi nucleari che mettono a repentaglio la sopravvivenza dell’umanità è attribuita a un nemico esterno, temibile ma lontano. Il rapporto sui finanziamenti globali ai produttori di armi nucleari pubblicato dalla Campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari (ICAN), invece, ci mostra una realtà diversa, ricordandoci che molti dei principali gruppi bancari e assicurativi internazionali finanziano e favoriscono la proliferazione nucleare. “Don’t Bank on the Bomb”, questo il titolo suggestivo del rapporto (http://www.dontbankonthebomb.com/) dell’Ican. Uno studio di 180 pagine fitte, dettagliate, piene di tabelle e di calcoli precisi che rivelano i dettagli delle transizioni finanziarie realizzate dai maggiori gruppi bancari e assicurativi internazionali in collaborazione con le 20 aziende del nord America e dell’Europa occidentale maggiormente impegnate nella produzione, modernizzazione e manutenzione degli armamenti nucleari di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e India. Il pericolo, dunque, non è così lontano come normalmente si crede.
La metà di questi grandi gruppi d’investimento, che comprendono banche, fondi pensione e compagnie assicurative, ha sede negli Stati Uniti e un terzo invece in Europa. Tra loro ci sono alcune “regine” della finanza internazionale: la Bank of America, BlackRock e JP Morgan Chase per gli Stati Uniti; BNP Paribas per la Francia; le tedesche Allianz e Deutsche Ban, la Mistubishi UJF per il Giappone; BBVA e Banco Santander per la Spagna; Credit Suisse e UBS per la Svizzera e le britanniche Barclays, HSBC, Lloyds e Royal Bank of Scotland. Ma anche molti istituti bancari italiani sono in prima linea: spiccano Intesa Sanpaolo e UniCredit, affiancate da Banca Leonardo, dalla Monte dei Paschi di Siena, da Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio, Banca Popolare Emilia Romagna, Banca Popolare di Vicenza, Credito Emiliano, Banco Popolare, Gruppo Carige, Mediobanca e UBI Banca. Tutte in diversa misura coinvolte nei finanziamenti ai colossi della produzione mondiale di armamenti: BAE Systems e Babcock International nel Regno Unito, Lockheed Martin e Northrop Grumman negli Stati Uniti, Thales e Safran in Francia e Larsen & Toubro in India. Ma c’è anche Finmeccanica, il cui capitale è detenuto per il 30,2% dal nostro Ministero dell’Economia. Il principale gruppo industriale italiano nel settore dell’alta tecnologia e tra i primi dieci player mondiali nel settore dell’Aerospazio, della Difesa e della Sicurezza, detiene infatti il 25% delle azioni di MBDA. Si tratta di una joint venture (impresa in partecipazione) che vanta un fatturato annuale di 2,7 miliardi di euro e un portafoglio commesse di 11,9 miliardi di euro, un’impresa leader nella costruzione di missili e sistemi missilistici, impegnata anche nella costruzione di missili nucleari per l’aeronautica francese. In generale, i grandi gruppi della finanza mondiale sopra citati investono ingenti somme di denaro nelle società che producono armamenti nucleari, fornendo prestiti ma anche attraverso l’acquisto di azioni e obbligazioni. Giocano quindi un ruolo chiave nella proliferazione dell’industria militare nucleare e nello sviluppo di alcune delle più pericolose e distruttive armi che l’uomo abbia mai inventato. Intesa Sanpaolo ad esempio, oltre ad avere azioni e obbligazioni di Finmeccanica e oltre a fornire prestiti alla società nostrana, è impegnata nella stessa attività a beneficio di altri 8 dei 20 gruppi in questione; Unicredit, invece, investe in Finmeccanica e in altri 3 colossi finanziari impegnati nel finanziamento all’industria bellica nucleare. I numeri raccolti nella documentazione rendono efficacemente l’idea delle dimensioni di questo commercio. Sono ben 322 le istituzioni finanziarie identificate nel rapporto, che peraltro non considera le società statali produttrici di armi nucleari di Russia, Pakistan e India, né le piccole imprese private in altri Paesi che partecipano alla costruzione di armamenti atomici. Attualmente, sono 20.000 le testate nucleari: 11.000 in Russia; 8.500 negli Usa; 300 in Francia; 240 in Cina; 225 nel Regno Unito; meno di 100 rispettivamente in India, Israele e Corea del Nord. Ma la cifra più impressionante è quella che definisce gli investimenti spesi ogni anno da queste 9 nazioni per la modernizzazione dei propri arsenali nucleari: 104.9 miliardi di dollari, 61 dei quali solo statunitensi.
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