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L’Asia al centro del cambiamento

Riflette su leve e nodi del cambiamento che sta attraversando l’Asia a partire dal ruolo della Cina, ma rifiutando qualsiasi lettura da “nuova guerra fredda”, il libro curato dal Giuseppe Gabusi edito da Treccani che raccoglie contributi di accademici asiatici e non dell’area del Pacifico.

Non è retorica affermare il che nostro tempo sia uno di quei momenti in cui “il mondo sembra cambiare ad una velocità accelerata. I processi trasformativi alla base di questa accelerazione sono molteplici, sistemici e apparentemente irreversibili. Dalla crisi climatica a quella pandemica, dalla deflagrazione delle relazioni internazionali alla guerra tecno-commerciale tra Washington e Pechino, la storia accelera la sua dinamica. Eppure, raramente quanto oggi, la stasi dell’interregno gramsciano nel quale “il vecchio muore e il nuovo non può nascere” è metafora appropriata per descrivere come questi nevralgici cambiamenti si muovano all’interno di una più generale impasse

“L’Asia al centro del cambiamento”, volume collettaneo curato da Giuseppe Gabusi, edito per Treccani, ha l’ambizione di affrontare la complessità delle trasformazioni in corso e lo fa scegliendo un luogo-soggetto che più di tutti incarna il cambiamento e le sfide che ne conseguono. Il titolo stesso merita un approfondimento, infatti l’Asia è posta al centro del cambiamento come risultato dell’ascesa economica della Cina, vero filo rosso che lega le 7 sezioni e gli 11 capitoli del libro. 

Usare l’Asia per raccontare la Cina non è un camouflage stilistico, ma la comprensione che l’origine della sua ascesa, e le conseguenze, sarebbero inafferrabili senza tener conto di ciò che la circonda. 

Infatti il libro rifiuta l’immagine di una “nuova guerra fredda”, con la sua retorica di uno scontro ineluttabile tra l’ordine Occidentale declinante eun non meglio identificato Oriente in ascesa, piuttosto si concentra sulle leve di un agitato quanto improbabile disaccoppiamento (decoupling) in un mondo asiatico che è ben lontano dal percepirsi unicamente in relazione alla coppia Usa-Cina.   

Questo sguardo organico, scevro da retoriche orientaliste e dei presunti scontri tra civiltà, è la naturale sintesi dell’eterogenea selezione degli autori, accademici di rilievo provenienti da università malaysiane, statunitensi, cinesi, britanniche, canadesi, australiane e singaporiane. 

Tanta ricchezza nasce da anni di studi sull’Asia orientale del Torino World Affairs Institute (T.Wai) che per primo aveva pubblicato la versione originale del testo in lingua inglese dal titolo “Drivers of Global Change”, qui rivisto e ampliato. 

Il viaggio attraverso le sette leve del cambiamento inizia dalla “classica” relazione tra Stato e mercato, con i contributi di S. Breslin e G. Chin. Il primo autore argomenta come il cortocircuito scaturito dalla crescente diffidenza occidentale verso ogni forma di business cinese stia creando un ambiente economico internazionale paradossalmente più illiberale. Il secondo descrive la dimensione finanziaria della guerra tecno-commerciale affermando che le sanzioni statunitensi, almeno nel breve periodo, stiano danneggiando più Wall Street che Hong Kong. 

Ben meno tradizionale è il capitolo di McNally sullo Yuan digitale, individuato come strumento in grado di combinare gli aspetti della finanza liberale con il pervasivo controllo statale dei movimenti di moneta nel tentativo prospettico di scardinare l’esorbitante privilegio del dollaro a livello internazionale. 

Il cuore del libro si concentra su tre leve: il nuovo ruolo della Cina nel finanziamento allo sviluppo (X. Gong), le catene globali del valore in relazione ai nuovi standard socio-ambientali (H. Nesadurai) e le nuove istituzioni regionali osservate sia in relazione alla loro critica dell’ordine esistente (T.J. Pempel) sia dal punto di vista degli Stati Uniti con il loro rinnovato multilateralismo tattico per perimetrare Pechino (C. Freeman). 

Il libro si chiude con due nodi emergenti: in primo luogo, la relazione tra Cina e impatto del cambiamento climatico declinato sia attraverso la rivisitazione delle sue ambizioni di leadership globale sul tema (K. Morton), sia tramite la decarbonizzazione del paese e le sue conseguenze commerciali (K. Costa Vazquez).

In secondo luogo si solleva il tema della sicurezza non tradizionale, incarnata sia dalle necessità emergenti di una governance sanitaria internazionale (D. Zha) sia dai limiti e dai i punti di forza dell’ASEAN nella gestione di scenari critici quali pandemia e golpe in Myanmar (N. Farrelly). 

In conclusione, “l’Asia al centro del cambiamento” con le sue 184 pagine composte da agili capitoli si presta sia ad una lettura per specialisti e a un pubblico interessato al futuro della political economy e delle relazioni internazionali, sia a testo di approfondimento per studenti magistrali che in questo volume troveranno analisi empiriche e metodi di ricerca che vanno oltre le necessarie nozioni manualistiche.