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L’altra politica che l’Italia non ha voluto ascoltare

Si consiglia al movimento delle sardine la lettura delle venti controfinanziarie della campagna Sbilanciamoci, per vedere l’Italia come avrebbe potuto e potrebbe essere, più giusta e solidale. Da Huffingtonpost.

Se volete conoscere l’Italia che poteva essere e che invece non è, leggetevi, a partire dal 1999, i venti rapporti che annualmente la Campagna “Sbilanciamoci!” ha presentato, inascoltata, al Parlamento. Venti controfinanziarie che le 49 associazioni aderenti alla Campagna hanno nel tempo proposto alla politica e che avrebbero, se accolte almeno parzialmente, reso il nostro Paese meno ingiusto, più solidale, più coeso socialmente e meno indebitato. 

Ancora prima era la Campagna “Venti di pace” a mettere insieme un primo arcipelago di associazioni eco-pacifiste. Si chiedeva di sforbiciare del 20% le spese militari, per liberare risorse da destinare alla riconversione ecologica dell’economia, all’istruzione e alla salute (e anche alle forme alternative e nonviolente di difesa). Due decenni fa quella campagna pacifista decise di fare un salto di qualità estendendo il proprio raggio d’azione e di analisi all’insieme della Legge finanziaria (poi nel tempo divenuta Legge di Stabilità e da qualche anno, Legge di Bilancio). D’altronde proprio vent’anni fa, a Seattle, prendeva forma il Movimento altermondialista che faceva della critica radicale al pensiero unico del mercato il propellente di un altro mondo e un’altra economia possibile. 

L’esercizio della lettura delle venti controfinanziarie porta, desolatamente, a tratteggiare le innumerevoli occasioni perdute dall’Italia per stare al passo con i tempi. Contrariamente alla vulgata dominante che vede attribuire il segno della modernità ai grandi processi di privatizzazione dei beni comuni, di flessibilizzazione del mercato del lavoro e nella realizzazione di grandi opere infrastrutturali, quelle scelte hanno comportato una profonda involuzione del nostro Paese, non lo hanno protetto dalla crisi economica al punto tale da aver subito un processo di deindustrializzazione senza precedenti.

Per non parlare della fragilità del nostro sistema idrogeologico, con le frane, le alluvioni, i disastri ambientali che ormai quotidianamente vedono un Paese soccombere tra emergenze e coazione a ripetere il consumo del territorio e la distruzione della biodiversità. Per non parlare dell’aggressione ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, il macabro gioco del potere di mettere contro le nuove generazioni precarie con le vecchie generazioni costrette a rimanere a lavoro per le varie controriforme sulle pensioni. 

Nella crisi economica cominciata nel 2008, mentre una larga parte del ceto medio si è impoverito e ha visto peggiorare il proprio potere di acquisto e di accesso al welfare state, una piccola parte d’italiani si è invece arricchita in percentuali senza precedenti.

Secondo i dati del Rapporto Oxfam “Bene pubblico o ricchezza privata?”, nei 19 anni intercorsi tra l’inizio del nuovo millennio e il primo semestre del 2018, le quote di ricchezza nazionale netta detenute dal 10% più ricco dei nostri connazionali e dalla metà più povera della popolazione italiana hanno mostrato un andamento divergente. La quota di ricchezza detenuta dal 10% più ricco, in risalita dal 2009, si è attestata a fine giugno 2018 al 56,13%, il record dal 2000 (quando era il 50,57%) ad oggi, mentre la quota della metà più povera degli italiani è lentamente e costantemente scesa, passando dal 13,1% di inizio millennio ad appena il 7,85% a metà 2018. 

Un metro di ghiaccio non si forma in una notte sola e se tale ingiustizia ha assunto queste dimensioni è anche perché, invece di seguire le proposte di “Sbilanciamoci!”, in questi due decenni la politica ha deliberatamente fatto l’opposto. La critica alla globalizzazione neoliberista sorta appunto nelle manifestazioni di Seattle è stata inascoltata tanto che, la punta di diamante delle politiche più antipopolari, ha visto in prima fila proprio i governi di centrosinistra. Sui grandi temi d’altronde, per esempio Tav, Tap e, buon ultimi, i cacciabombardieri F-35, si continua ad assistere a posizioni favorevoli bipartisan.

Il “pilota automatico” di Bruxelles d’altronde sembra aver ragione di ogni aspirazione altra a politiche economiche diverse. Lo stesso dibattito su una nuova Iri – di cui ci sarebbe un grande bisogno in assenza di una politica industriale nazionale degna di questo nome – rischia di essere derubricata in una boutade destinata a sparire dal dibattito pubblico in pochi giorni. Intanto gli unici investimenti industriali pubblici continuano, anche in questa Legge di Bilancio, a essere quelli per l’acquisizione di nuovi sistemi d’arma. 

Così succede che, in omaggio al Fiscal Compact, chi ha voluto il pareggio di bilancio in Costituzione (la Lega di Salvini, il relatore alla Camera era il suo fido Giorgetti), o chi ha votato la Legge Fornero sulle pensioni (Giorgia Meloni) possa ergersi a difensore della sovranità nazionale e a difesa delle masse popolari.

Di questa mancata trasmissione della memoria e delle responsabilità storiche, in assenza di una sinistra degna di questo nome, si avvantaggiano i populismi di destra sfondando in termini di consenso nelle ex periferie e regioni rosse. Ai tanti ragazzi e ragazze che oggi animano le piazze sia con la mobilitazione ambientalista che con quella del “movimento delle sardine” consiglio di cuore la lettura dell’ultimo rapporto di “Sbilanciamoci!”, perché almeno loro facciano seguire alla sacrosanta protesta anche la proposta di un Paese più giusto e diverso.

Tratto dal blog dell’Huffingtonpost per gentile concessione dell’autore