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La traiettoria del precariato in Italia

Aumenta il numero di occupati, assai meno le ore lavorate e si complica la frammentazione del mercato del lavoro. Per fare il punto della situazione e in vista dei referendum di giugno, alla Scuola Normale a Firenze il 16 aprile si confrontano Tiziano Treu e Pasquale Tridico.

I problemi del lavoro in Italia hanno caratteristiche strutturali, come i bassi tassi di attività, soprattutto femminile, e le forti disparità territoriali. Negli ultimi decenni le politiche si sono concentrate sull’aumento della “flessibilità” del lavoro, con molteplici “riforme” che hanno portato a una quota elevata di contratti a tempo determinato e part-time e a una preoccupante caduta dei salari reali. Negli ultimi anni è aumentato il numero di occupati – ma con un numero di ore lavorate che cresceva assai meno – e si è complicata la frammentazione del mercato del lavoro.

Ma quali sono i dati del precariato in Italia? Degli oltre 18 milioni di lavoratori dipendenti un terzo, circa sei milioni, sono a tempo determinato o part-time (in prevalenza involontario). Giovani e donne sono i più penalizzati: tra i lavoratori sotto i 34 anni, il 35% ha un contratto a tempo determinanto, contro il 12% di quelli tra i 35 e i 49 anni, e il 7% di questi oltre i 50 anni. Il numero di donne con lavori part time è salito da 1,6 milioni nel 2004 a 2,7 milioni nel 2019, per poi stabilizzarsi, per gli uomini è salito dai circa 400 mila nel 2004 ai circa 900 mila nel 2019, con lievi oscillazioni negli anni successivi.

Il precariato, inoltre, non è un problema di chi è meno qualificato: fatto 100 il valore del 2004, il numero dei lavoratori a tempo determinato che hanno una laurea è balzato a 240 nel 2023, mentre è a 170 per i diplomati e a 110 per chi ha solo la licenza media.

L’altra faccia di questo processo è stata l’aumento dell’emigrazione, soprattutto di giovani istruiti: nel periodo 2011-23 550mila giovani italiani (tra i 18 e i 34 anni) hanno lasciato l’Italia, con un saldo negativo per quella fascia d’età di 377mila persone. La quota delle persone laureate tra chi lascia il Paese è aumentata costantemente e ha raggiunto oggi il 43%. Ai laureati italiani il sistema produttivo offre soprattutto lavori precari, a bassi salari e con scarse opportunità di carriera – come documentato dalle richerche della Fondazione Nord Est; l’emigrazione è la scelta obbligata per numeri crescenti di giovani laureati italiani.

Questi dati vanno inseriti nelle trasformazioni più generali dell’economia del Paese. In questi anni si sono persi molti posti di lavoro nell’industria manifatturiera e non crescono i settori a alta tecnologia.

Gran parte della nuova occupazione è nei servizi a bassa qualificazione (commercio, ristorazione, pulizie) saliti da poco più di 5 milioni di addetti nel 2014, a 6 milioni nel 2019. I servizi ad alta qualificazione occupavano allora circa 1 milione e 600 mila persone nel 2014 e ne impiegano appena centomila in più nel 2019. 

L’economia ha così visto perdersi posti di lavoro ad alta produttività, in attività che usano tecnologie avanzate, con maggiori salari, tutele sindacali e possibilità di carriera. Si è ridimensionata la parte dell’economia del Paese più capace di sostenere crescita, produttività, alti redditi. Il Paese si è indirizzato lungo una traiettoria di crescita lenta e di ristagno dell’economia, aggravata dalle politiche economiche di austerità. Il peggioramento delle condizioni di lavoro, insomma, è andato di pari passo con l’impoverimento del sistema produttivo del Paese.

Infine, in termini di distribuzione del reddito, l’indebolimento del lavoro ha portato a una quota dei salari sul reddito nazionale pari al 51% nel 2023, rispetto al 53% del 2020, valori molto più bassi del 57% registrato in Germania nel 2023, anche quel dato in discesa tuttavia rispetto al 60% del 2020.

Per fare il punto delle esperienze passate e delle prospettive future, ne dibatteranno, il 16 aprile alle 11, due protagonisti delle politiche del lavoro: da un lato Tiziano Treu, già ministro del Lavoro e presidente del CNEL oltre che professore di diritto del lavoro, uno dei primi a introdurre misure di “flessibilizzazione” del lavoro; dall’altro lato Pasquale Tridico, già presidente dell’INPS, oggi europarlamentare oltre che professore di Politica economica, ispiratore del “Decreto dignità” che aveva limitato il precariato e dell’introduzione del Reddito di cittadinanza, due misure cancellate dall’attuale governo Meloni.

Il dibattito si terrà nella facoltà di Scienze Politiche e Sociali della Scuola Normale Superiore a Palazzo Strozzi a Firenze. A guidare la discussione ci sarà il Preside Guglielmo Meardi, professore di sociologia dei processi economici e del lavoro, direttore dell’European Journal of Industrial Relations e membro dell’advisory committee di Eurofound, l’agenzia UE per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Tra le ricerche in corso nell’ateneo ci sono studi di giovani dottorandi sulle condizioni di lavoro nelle catene globali del valore – dalla Cina al Marocco, dal Vietnam a Stellantis –, analisi delle relazioni e dei conflitti sindacali, fino all’esame dei problemi di sfruttamento nei distretti produttivi toscani. Temi che sono oggetto anche dell’insegnamento nel corso di Master “Politics, economics and sustainability”.

La riflessione sulle politiche del lavoro va collocata in questo quadro di peggioramento delle condizioni economiche dell’Italia. Una discussione che è resa di particolare attualità dai referendum – 4 sui temi del lavoro, uno sulla cittadinanza – che si terranno in Italia l’8 e il 9 giugno 2025.