Mentre la finanza ha ripreso il suo gioco globale, fa molti passi avanti la proposta di tassare le transazioni finanziarie. Ma il governo italiano non se ne accorge
A tre anni dallo scoppio della peggiore crisi finanziaria della storia recente, a due dal fallimento di Lehman Brothers e dopo il moltiplicarsi di vertici internazionali, dal G20 in poi, cosa è stato fatto per riformare il sistema finanziario?
Nel 2006 il 30% delle operazioni sui mercati finanziari erano eseguite da algoritmi di computer senza alcun intervento umano. Nel 2009 queste operazioni, che si concludono spesso nell’arco di pochi millesimi di secondo e che non hanno alcun rapporto con l’economia reale, erano aumentate al 60% del totale.
L’import-export di beni e servizi nel mondo è stimato intorno ai 15.000 miliardi di dollari l’anno. Il mercato delle valute ha superato i 4.000 miliardi al giorno. In altre parole circolano più soldi in quattro giorni sui mercati finanziari che in un anno nell’economia reale, come dire che oltre il 90% degli scambi valutari è pura speculazione. Lo stesso mercato delle valute era pari a 3.300 miliardi di dollari nel 2007. Una crescita di oltre il 20% dallo scoppio della crisi a oggi.
Con una finanza ripartita come se nulla fosse successo, dovremo attendere lo scoppio di un’altra bolla speculativa per sperare finalmente in qualche intervento serio di regolamentazione? E se dovesse arrivare una nuova crisi, quale governo sarà in grado, in una situazione di grande difficoltà tanto per i conti pubblici quanto per l’economia, di stanziare ulteriori risorse per tappare le falle?
E’ necessario e urgente approvare delle misure concrete. Una di queste è la tassa sulle transazioni finanziarie – Ttf – un’imposta estremamente ridotta – pari allo 0,05% – su ogni acquisto di strumenti finanziari. Il tasso minimo non scoraggerebbe i “normali” investimenti sui mercati, mentre frenerebbe chi opera con orizzonti di secondi o millesimi di secondo e che dovrebbe pagare la tassa per ogni transazione. Il peso della tassa diventa progressivamente più alto tanto più gli obiettivi sono di breve periodo.
In altre parole la Ttf rappresenta uno strumento di straordinaria efficacia per frenare la speculazione senza impattare l’economia reale e per ridare alla sfera politica una possibilità di regolamentazione e controllo su quella finanziaria. La dimensione della finanza è tale per cui anche un’imposta dello 0,05% permetterebbe di generare un gettito di centinaia di miliardi di dollari l’anno su scala internazionale, da destinare al welfare, alla cooperazione allo sviluppo, alla lotta ai cambiamenti climatici.
Al di là del gettito, gli effetti della Ttf sarebbero estremamente positivi per l’insieme dell’economia. Chi esporta vedrebbe ridotto il rischio di speculazioni sulle valute; la quotazione del petrolio e delle materie prime sarebbe più stabile e prevedibile; diminuirebbero le possibilità di attacchi speculativi sui titoli di Stato. Il recente esempio della Grecia ha purtroppo chiarito le possibili conseguenze tanto economiche quanto sociali di tali attacchi. L’Italia, anche in ragione delle dimensioni del debito pubblico, non può certo dirsi al riparo da eventuali analoghe manovre.
Se l’Inghilterra della City di Londra, cuore pulsante della finanza mondiale e delle sue potentissime lobby si oppone alla Ttf, non a caso le nazioni che in Europa ne chiedono con maggiore forza l’introduzione sono Francia e Germania, Paesi dove l’economia si basa ancora sui settori industriali. Si potrebbe affermare che i cosiddetti “poteri forti” si sono resi conto che la finanza ha superato qualunque limite. Se la grande industria ha beneficiato per decenni di un sistema economico e finanziario deregolamentato, oggi i consumi ristagnano, è più difficile ottenere credito in banca, gli stessi titoli azionari e obbligazionari delle principali imprese sono in balia delle tempeste speculative. In queste condizioni anche due governi conservatori hanno sottoscritto una proposta che le reti della società civile internazionale sostengono da tempo.
E’ allora davvero difficile spiegarsi le reticenze del governo italiano, un paese in cui le piccole e medie imprese costituiscono l’ossatura del sistema economico e che beneficerebbe anche più dei vicini europei dall’introduzione di una Ttf.
La campagna zerozerocinque, che vede la partecipazione di oltre trenta organizzazioni e reti della società civile italiana lavora da tempo in questa direzione. La Cisl è tra i promotori della campagna. La Cgil ha recentemente firmato un appello internazionale che chiede la sua introduzione al G20 di Seoul che si terrà nei prossimi giorni. Economisti di diversa estrazione e orientamento hanno pubblicato un appello per l’introduzione della tassa. Negli scorsi giorni un disegno di legge per una Ttf con primo firmatario un deputato del Pd e co-presentato da parlamentari di quasi tutti i gruppi politici di maggioranza e di opposizione è stato depositato in parlamento. Lo stesso Pd sembra essersi attivato, seguendo l’esempio dei socialisti europei.
Su un tema per certi versi analogo, nei giorni scorsi il presidente della camera Fini ha proposto la tassazione delle rendite finanziarie al 24-25%, in linea con la media europea. Una proposta lanciata da diversi anni dalla rete Sbilanciamoci!. Finalmente il dibattito sulla necessità di limitare lo strapotere della finanza sembra decollare, seppure con molto ritardo, anche nel nostro èaese. Si tratta di segnali incoraggianti ma ancora insufficienti.
Se l’Italia si unisse a Francia, Germania, Spagna, Belgio, e alle altre nazioni dell’area euro che si sono già schierate a favore della Ttf, si potrebbe raggiungere una massa critica sufficiente per una veloce implementazione. Oltre ai vantaggi già richiamati, si tratterebbe di un segnale di grande forza nella direzione di una sua applicazione in altre nazioni, e progressivamente su scala internazionale.
La finanza è nata come strumento al servizio dell’economia. Oggi questo rapporto è totalmente ribaltato, la finanza detta la sua legge e condiziona pesantemente le attività economiche. La Ttf andrebbe nella direzione di una necessaria inversione di rotta. Gli speculatori e gli squali della finanza devono pagare il conto della crisi, non i cittadini e i lavoratori. Non ci sono difficoltà tecniche per una sua implementazione, è solo questione di volontà politica. Se non ora, quando?