Pochi interventi equi e ragionevoli, per aumentare le entrate e ridurre la spesa, da fare subito. E subito gli operatori del mercato finanziario si passerebbero la voce che si fa sul serio
Una fase politica infausta, la cui agonia si è protratta troppo a lungo, volge al termine, travolta dalla crisi finanziaria dello stato; la bancarotta è stata per ora evitata grazie agli interventi non convenzionali della Banca centrale europea.
Il nuovo governo Monti è chiamato a dare velocemente segnali non equivoci di discontinuità rispetto al passato: il mondo si aspetta una politica economica e sociale in grado di risanare i conti pubblici e far ripartire il ciclo di crescita. Gli investitori, nazionali ed esteri, hanno favorevoli aspettative di cambiamento: come rilevato da molti media, quando nei giorni scorsi le notizie giornalistiche davano per imminenti le dimissioni di Berlusconi, la Borsa di Milano invertiva rotta e lo spread sui Btp diminuiva; gli andamenti positivi si dissolvevano quando le voci erano smentite.
La priorità è la redazione di un piano di finanza pubblica credibile e propedeutico alla ricostruzione di un clima di fiducia circa la sostenibilità del debito, tenendo presente che nei mercati finanziari, come già messo in luce da Keynes, le decisioni di acquisto o vendita non dipendono dalla valutazione di uno strumento finanziario, bensì dalla percezione di come esso sia valutato dagli altri operatori di mercato, i quali, a loro volta fanno un ragionamento analogo. Per interrompere la spirale che ha portato all’attuale ondata di vendite occorre che si diffonda la convinzione che gli operatori che ancora detengono titoli di stato italiano siano sicuri che gli altri operatori non nutrano dubbi circa la capacità di rimborso dello stato italiano.
Per questa ragione gli obiettivi finanziari sono da fissare e divulgare in valore assoluto; l’effetto sarà tanto più favorevole se viene previsto che, al netto delle oscillazioni stagionali, il debito diminuisca, pur se in misura limitata. Dopo un decennio di calo dei redditi e un triennio di deterioramento dei conti, la percezione circa la sostenibilità del debito non può poggiarsi sulla mera crescita nominale del PIL. L’azione del governo deve essere incisiva, trasparente, e coerente con gli impegni comunicati.
Le iniziative per raggiungere l’avanzo di bilancio devono essere assunte con una visione macroeconomica e non meramente contabile che escluda la riproposizione della spirale perversa sperimentata in Grecia di taglio dei redditi, calo dei consumi, contrazione dell’attività produttiva, riduzione del gettito tributario, nuovo taglio dei redditi.
Dunque non si può non agire sul piano delle entrate, che vanno aumentate, e delle uscite, che vanno diminuite, ma le azioni di risanamento devono inquadrarsi in una politica di redistribuzione dei redditi che favorisca la ripresa dell’attività produttiva e del lavoro. Alcuni punti qualificanti sono irrinunciabili.
Come messo in evidenza da più autori nel recente dibattito su questo sito, non può non esserci l’imposta patrimoniale, la revisione degli estimi catastali e la reintroduzione dell’imposta di successione. La lotta all’evasione fiscale e contributiva non può rimanere un’inapplicata lettera d’intenti perché costituisce un obiettivo fondamentale di equità e parità concorrenziale; essa va potenziata mediante l’utilizzo di applicazioni informatiche in grado di fornire sintetici indicatori di anomalia che si avvalgono di molteplici base dati. Le aliquote sulle imposte indirette (Iva ma anche accise sui carburanti ed altre) sono da rimodulare per indirizzare i consumi verso forme che privilegino la qualità della vita e il benessere collettivo e al contempo diano un gettito aggiuntivo; in una fase in cui le prospettive d’inflazione sono deboli, l’effetto sui prezzi non dovrebbe essere significativo. In via straordinaria va previsto un consistente contributo di solidarietà sui capitali scudati.
Dal lato delle spese vanno drasticamente tagliate quelle della politica, a partire da quelle di più elevato ammontare o con un contenuto simbolico maggiore. Le spese della Presidenza del Consiglio – 872 milioni nel bilancio dello Stato di quest’anno – sono da decimare e da mettere al primo posto delle azioni di governo. Anche le indennità dei parlamentari, i rimborsi dei partiti, gli oneri delle istituzioni centrali e dei ministeri sono da ridurre significativamente. Si deve poi agire sulle spese militari, sostituendo le azioni di guerra con operazioni di pace, giuste, efficaci e meno costose. La spending rewiew deve avviarsi dall’esame – facile e di veloce realizzazione – degli incentivi, stratificatisi a seguito di distribuzioni a pioggia, spesso a valenza clientelare.
Il sistema previdenziale deve rimanere in equilibrio nel lungo termine, tenendo presente il progressivo allungamento della speranza di vita e della crescita del numero di anziani. Vanno cercate soluzioni alternative alla semplice posposizione dell’età pensionabile che vadano incontro alle esigenze delle persone prossime al collocamento a riposo, ad esempio introducendo forme graduali e meno traumatiche di uscita dal mondo del lavoro.
Per evitare lo scenario greco, l’attività economica va rilanciata secondo nuovi paradigmi. Il principale insegnamento dell’ultima crisi finanziaria ricalca quello delle precedenti grandi crisi economiche: i mercati, da soli, anche se ben organizzati, portano a instabilità, all’iniquo e inefficiente impiego dei fattori produttivi. Negli ultimi decenni, lo sviluppo tecnologico e la globalizzazione dell’economia, non governati, hanno indebolito l’apparato produttivo dei paesi sviluppati, in primo logo di quelli marginali, e accresciuto a dismisura la disoccupazione. L’attività va regolata e vigilata ma anche indirizzata e promossa, nonché, ove opportuno, gestita dall’operatore pubblico.
È necessario un piano industriale che si ponga l’obiettivo di accrescere la competitività internazionale delle imprese, raggiungere l’equilibrio dei conti con l’estero e pareggiare la posizione patrimoniale del paese. Sono da favorire le politiche di investimento nei settori della green economy e in quelli ad alta tecnologia. Sul piano fiscale va abolito il favour all’indebitamento in luogo dell’accumulo di capitale. Al sistema bancario deve essere imposto un potenziamento degli strumenti e delle procedure di affidamento e monitoraggio, anche prospettico, dei soggetti sovvenzionati.
Per sostenere l’occupazione sono da incoraggiare forme di redistribuzione del lavoro, per esempio introducendo una qualche forma di progressività dell’imposta all’aumento delle quantità di ore lavorate. Sono viceversa da escludere gli interventi sul mercato del lavoro volti a rendere precari i rapporti e personalizzare i contratti anche perché non favoriscono la crescita della produttività o il miglioramento della qualità di prodotti, ma solo la competitività di breve periodo di alcune imprese in difficoltà. Nei casi di monopolio naturale e in quelli in cui il ritorno degli investimenti avviene in tempi prolungati rispetto alle aspettative dei privati, va previsto l’intervento diretto dell’operatore pubblico.
Nel primo dopoguerra le imprese a partecipazione statale svolsero un ruolo propulsivo per l’industrializzazione e la crescita economica del nostro Paese che si esaurì quando gli indirizzi politici divennero uno spiacevole esercizio di clientela; la riproposizione, aggiornata, di quella esperienza, potrebbe accelerare la ripresa economica e la transizione verso un’economia compatibile con la salvaguardia dell’ambiente.
Il successo del nuovo programma porterà alla riduzione del rischio associato al debito pubblico e alla diminuzione del servizio del debito liberando risorse per nuovi investimenti; della discesa dei tassi si gioveranno tutti i debitori, famiglie e imprese, stimolando i consumi e gli investimenti. La più equa distribuzione del reddito e il sostegno all’occupazione sono i principali fattori di successo.
articolo apparso su il manifesto l’11 novembre 2011