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La rotta d’Italia e una campagna elettorale fuori rotta

Le proposte di Sbilanciamoci, le cose da fare nei primi 100 giorni del nuovo governo, e una campagna elettorale che ha ignorato i contenuti. La nostra agenda per il dopo-elezioni e l’impegno di 118 candidati al Parlamento che hanno sottoscritto l’appello “Io mi Sbilancio!”

Cittadinanza per chi nasce qui; taglio alle spese militari e investimenti nella scuola e nella spesa sociale; tassazione dei capitali portati all’estero per finanziare un piano di lavoro verde; maggiore equità del nostro sistema fiscale per diminuire le diseguaglianze e redistribuire la ricchezza; tutela del lavoro attraverso la cancellazione dell’articolo 8 della legge n. 148 del 2011. Sbilanciamoci.info ha aperto il dibattito su La rotta d’Italia indicando queste priorità per i primi 100 giorni del futuro governo.

Alla base di queste indicazioni la convinzione che per portare il paese fuori dalla crisi economica (e sempre più) sociale sia indispensabile lanciare immediatamente un segnale di cambiamento nella direzione di un’economia più giusta e ecosostenibile e di una maggiore giustizia sociale.

L’invito della redazione ad avviare un dibattito pubblico su questi temi è stato raccolto da molti: quasi 40 interventi hanno affrontato in modo puntuale i diversi contenuti che avrebbero dovuto animare il confronto tra le forze politiche e le diverse coalizioni che si candidano a governare il paese dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio.

Così non è stato. La campagna elettorale che si chiude oggi è una delle peggiori degli ultimi anni, tutta centrata sul posizionamento tattico dei suoi protagonisti, sulla giustificazione delle alleanze già definite e sulla ipotetica rappresentazione di quelle che saranno più o meno imposte dal risultato elettorale. Una campagna giocata a colpi di cinguettii e di post ingiuriosi nei confronti dell’avversario più che sulla puntualizzazione delle proposte necessarie per far fronte alla recessione economica in corso e alla profonda questione sociale che coinvolge il paese.

Il tema fiscale è stato ancora una volta al centro del dibattito elettorale, ma certo non nella direzione da noi auspicata. Si è parlato quasi esclusivamente dell’IMU, sicuramente iniqua così come è stata attuata, ma assai poco della necessità di accentuare la progressività del nostro sistema fiscale a vantaggio dei redditi più bassi. Si potrebbe fare, come la campagna Sbilanciamoci! suggerisce da tempo, modificando le aliquote Irpef, introducendo una tassa patrimoniale del 5×1000 sui grandi patrimoni, portando la tassazione sulle rendite finanziarie al 23%. Questi provvedimenti, insieme all’introduzione di alcune tasse di scopo (diritti televisivi, pubblicità, veicoli inquinanti, licenze per il porto di armi ecc.) potrebbero far entrare più di 16 miliardi nelle casse dello stato.

Il forte consenso dell’opinione pubblica alla cancellazione del programma degli F35 (più di 78.000 le firme raccolte dalla campagna Taglia le ali alle armi, sostenuta da oltre 650 associazioni) è stato utilizzato in modo per lo più strumentale dai leader di quelle stesse coalizioni che hanno sottoscritto e riconfermato fino ad oggi il contratto di acquisto. Il costo esatto dei 90 F35 attualmente previsti non lo sappiamo, il costo medio stimato di un solo F35 è pari a circa 130 milioni di euro: tra acquisto e gestione il programma ci costerà tra i 50 e i 52 miliardi di euro. Un’intera manovra finanziaria. Al di là dei vari spot elettorali (paradossale quello di Berlusconi), continua a prevalere la convinzione che si possa tagliare tutto ma non la spesa militare. Il bilancio pluriennale dello Stato prevede già, del resto, per il Ministero della Difesa un progressivo aumento dai 20.935 milioni previsti nel 2013 ai 21.024 milioni nel 2015.

Sono rimaste nell’ombra e affrontate con ricette generiche le vere emergenze del paese: come rilanciare l’economia italiana e creare nuova occupazione; come ripensare i nostri rapporti con l’Europa e uscire dalle strettoie del patto di stabilità; come riequilibrare i rapporti tra finanza, economia reale e politica; come reinventare un modello di welfare capace di sostenere le famiglie, le donne, i giovani.

Sullo sfondo del dibattito elettorale, la tesi secondo la quale non vi sarebbe alternativa possibile al modello economico esistente né all’accettazione degli attuali vincoli imposti dall’Europa con il fiscal compact e all’insegna dell’austerità. Gnesutta ha invece bene argomentato qui come l’alternativa sia non solo possibile ma indispensabile, richiamando l’urgenza di un profondo riorientamento del governo delle politiche pubbliche finalizzato a rovesciare l’attuale rapporto di sudditanza materiale e culturale della politica rispetto alla finanza.

I richiami ai vincoli imposti all’Europa, a partire dal nuovo mantra “È l’Europa che ce lo chiede” sono strumentali: l’Europa siamo noi e possiamo reindirizzarne le scelte politiche: continuare a perseguire la priorità dell’austerità, rimuovere il tema del rilancio dell’economia e del benessere sociale, ridurre il bilancio Europeo, significa indirizzare l’Europa verso una strada senza uscita. Il futuro Governo dovrebbe innanzitutto impegnarsi a rimetterla in discussione. Si veda il contributo di Gnesutta-Pianta.

Ma anche ammettendo, e così non è, che il contesto sia dato, una diversa allocazione delle risorse pubbliche è possibile se c’è la volontà politica di farlo. Gli interventi di Pianta, Pini, Pizzuti, Baranes, tra gli altri, hanno affrontato qui in modo puntuale i nodi da affrontare: una diversa crescita economica, il rilancio di una politica per l’occupazione, l’esigenza di curare le fragilità del nostro sistema di welfare e di una non più rinviabile regolamentazione della finanza.

Il tema della riduzione del debito pubblico è centrale, ma le indicazioni puntuali su come garantirla davvero, senza aggravare ulteriormente le condizioni di vita materiali dei cittadini, sono state decisamente scarse nel corso del dibattito elettorale. E quando le risorse sono scarse diventa ancora più rilevante la scelta della loro destinazione.

Nel suo ultimo rapporto annuale, la campagna Sbilanciamoci! ha dimostrato, dati alla mano, che si può scegliere, proponendo la sua “manovra” da 29 miliardi di euro. Tagliare le spese sbagliate libererebbe risorse per le spese giuste: in primo luogo quelle per stabilizzare i lavoratori precari e sostenere i redditi delle famiglie. La cancellazione degli stanziamenti per le grandi opere (2,7 miliardi) permetterebbe, ad esempio, di garantire la realizzazione di piccole opere molto più utili per i cittadini e compatibili con l’ambiente: dalle ferrovie locali alla messa insicurezza del territorio, dalla tutela delle aree protette all’abbattimento degli ecomostri, dall’ammodernamento della rete idrica nazionale agli impianti fotovoltaici. Un taglio di 5,5 miliardi alle spese militari potrebbe finanziare il servizio civile nazionale, corpi civili di pace, la riconversione dell’industria militare, un programma di asili nido per 3.000 bambini, il rifinanziamento del Fondo Sociale Nazionale e del Fondo per la non autosufficienza, la messa in sicurezza delle nostre scuole. La chiusura dei Centri di Identificazione ed Espulsione libererebbe risorse per programmi di inserimento sociale dei migranti.

Oltre 118 candidati al Parlamento hanno sottoscritto ad oggi l’appello Io mi Sbilancio!, contenente queste ed altre proposte. Dal 26 febbraio, un punto di partenza per cambiare le politiche pubbliche e per un nuovo modello finanziario, economico, sociale, ambientale e di democrazia in Italia.