Top menu

La ricchezza delle nazioni

Non c’è altro che la ricchezza -– meglio il capitale – al mondo? Non ci sono più la storia, la politica, il diritto come dimensioni autonome? Sembra che la Banca mondiale la pensi proprio così

Qualche anno fa la Banca mondiale ha pubblicato il calcolo della ricchezza delle nazioni. Lo si trova facilmente in rete digitando World Bank, Where is the Wealth of Nations? *

Il calcolo, la cui responsabilità è attribuita ai ricercatori che lo firmano (sono un gruppo numeroso), per l’autorevolezza della sede e per la disaggregazione per tipo e per paese è usato come fonte nelle stime della composizione e del livello della ricchezza delle nazioni in molti lavori, in uno dei quali ho trovato il riferimento. E, si immagina, è usato anche come base per i suggerimenti e i provvedimenti della Banca nei confronti dei singoli paesi.

Il riferimento alla Ricchezza delle nazioni di Adam Smith è ovvio, fin dal titolo; come è esplicito, dalla introduzione, lo scopo di indagarne la natura e le cause.

Il testo è chiaro; le norme e metodi sono comprensibili; le intenzioni sembrano lodevoli. Si introduce nella contabilità dei paesi una voce negativa per il consumo delle risorse naturali e per i danni ambientali. Si stima il valore delle aree non sfruttate, della natura lasciata a se stessa. Sembra un tentativo, analogo al saggio di sviluppo umano, delle Nazioni unite, di fornire un indicatore complessivo non puramente finanziario.

Se si guarda però ai tre settori della composizione della ricchezza globale e al modo di calcolarli; a ciò che è cancellato; ai rovesciamenti di senso necessariamente prodotti dal modo del calcolo; l’impressione si rovescia. Il lettore si rende conto di trovarsi davanti ad uno dei tasselli, connessi e coerenti, di un sistema concettuale dominante da tempo, certo opposto a quello di cui fa parte la Teoria dei sentimenti morali, altra opera di Adam Smith e la Ricchezza delle nazioni.

La ricchezza del mondo è divisa in tre componenti: capitale naturale, capitale prodotto, capitale intangibile.

Il capitale naturale è calcolato attribuendo alle aree non sfruttate il valore marginale di quelle contigue sfruttate. Il capitale prodotto è calcolato sommando gli investimenti, meno gli ammortamenti, meno i danni ambientali. Il capitale intangibile, che include il lavoro (non qualificato e qualificato), le istituzioni, l’istruzione, la coesione sociale (cioè il cosiddetto capitale umano e sociale), è calcolato come differenza tra la ricchezza totale e le due forme di capitale calcolate direttamente. La ricchezza totale è calcolata come valore dei consumi previsti nei quindici anni successivi allo studio, attualizzati al 4%.

Non si tratta quindi di terra, lavoro e capitale, suddivisione che pure è citata nel testo. Il lavoro, la cui retribuzione, peraltro, è contabilizzata e il cui valore è certo più attendibile, nell’anno di riferimento, del valore attuale dei consumi futuri, oltre che degli ammortamenti e della stima dei danni ambientali, sparisce nel capitale intangibile: questa sì che è una sussunzione totale!

I paesi ricchi e in pace – all’interno – hanno valori altissimi (oltre l’80%) di capitale intangibile; i paesi poveri hanno valori bassi di capitale intangibile e alti, a seconda dei casi, di capitale naturale o di quello prodotto; i paesi poverissimi, occupati, in guerra, con guerre civili in atto o appena concluse (come l’Algeria), hanno valori negativi del capitale intangibile – in qualche caso (Congo) enormemente negativi.

Penso che sarebbe ragionevole concludere dal quadro che ho riassunto che nei paesi ricchi la produzione spiega i consumi solo in minima parte; mentre nei paesi poveri e in guerra si consuma meno, molto meno in qualche caso, di ciò che si è prodotto. Non è proprio così perché qui si parla solo di capitale, non di produzione di beni e servizi; e il lavoro, anche quello non qualificato, forse più frequente nei paesi poveri, è affogato nel capitale intangibile. Nei paesi ricchi c’è poco capitale materiale, poche macchine e pochi impianti, ma molto consumo; in quelli poveri ci sono molte macchine e molti impianti e poco consumo. Certo mi riesce difficile immaginare categorie migliori per nascondere ciò che succede al mondo; anche se lo studio le presenta onestamente.

Il lavoro è sparito nel capitale; il capitale finanziario non c’è più (e del resto come si potrebbe attribuirlo a un singolo paese?); non ci sono gli investimenti diretti esteri, le delocalizzazioni, le multinazionali, le ragioni di scambio; non c’è più l’emigrazione; non ci sono la pace e la guerra; non ci sono la democrazia e la dittatura. Ci sono solo i consumi – previsti, si badi bene – e questa quantità immateriale che include tutto ciò che non è industria o stima del valore delle risorse naturali. Vorrei vedere con quale sicurezza stimeranno i consumi futuri, dopo il 2008, per aggiornare le quantità!

La cosa più inaccettabile, per me, è la riduzione di tutto a economia, a capitale. Non c’è altro che la ricchezza – meglio il capitale – al mondo. Non ci sono più la storia, la politica, il diritto, come dimensioni autonome. Lo studio non lascia spazio per qualcosa fuori di sé; non un dubbio; non un accenno alle guerre africane, delle grandi aziende in Africa, alla terribile guerra civile algerina. Sparisce anche il nesso tra lavoro, produzione, retribuzione, consumo – in un qualche ordine; sparisce il rapporto di causa ed effetto tra produzione e consumo, il fatto che, se si consuma qualcosa, qualcuno, da qualche parte, deve averlo prodotto; e per produrlo avrà dovuto mangiare. Il consumo è semplicemente correlato al capitale, intangibile, soprattutto, e alle macchine. Se siete ammodo consumerete molto.

Sparisce ogni riferimento a quel particolare servizio che è il servizio militare: gli eserciti, che pure sono importanti nel determinare la credit worthiness delle nazioni. Mi sono meravigliato per anni della facilità con cui persone in apparenza sensate accettavano di considerare normale la dilatazione dei servizi, che sono intrinsecamente a bassa produttività o a produttività costante, perché in alcuni stati la percentuale dei servizi cresceva, dimenticando che sono le statistiche che si calcolano dai casi singoli e non i casi singoli che si deducono dalle statistiche. Un paese può avere un’altissima percentuale di servizi perché è quello che ospita la finanza del mondo e quel particolare servizio che è l’US Army. Per anni ho nascosto un certo fastidio per l’uso di capitale umano, capitale sociale, senza rendermi conto che si trattava della ricaduta, del cascame, di una generale invasione.

Il metodo adottato per il calcolo è sbagliato proprio dal punto di vista economico, perché nasconde le connessioni causali, i possibili difetti e i possibili rimedi; include caratteristiche delle società non direttamente economiche, che possono essere o non essere causa (o effetto) della produzione di beni e servizi; fonda tutto il calcolo sui consumi stimati. È gemello del metodo di valutare la solidità di una finanziaria in base alla estrapolazione della sua storia precedente anziché in base alla composizione e alla solidità dei sui crediti, che intanto vengono ceduti a terzi. Certo valutare la composizione e solidità dei titoli derivati è difficile. Ma, se è andata bene fino ad oggi, perché non anche domani?

Norberto Bobbio tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, al Centro Gobetti di Torino, nel clima teso di allora, tenne un seminario aperto, non limitato agli addetti ai lavori, per cui c’ero anch’io, sulla distinzione tra etica e politica, soprattutto in difesa dell’etica, contro la possibilità di sussumere l’etica nella politica, di ridurre il mondo a rapporti di forza. Oggi servirebbe un seminario contro la riduzione del mondo a economia, a capitale. In difesa dell’istruzione come valore in sé; della democrazia, della libertà, dell’uguaglianza, della pace, come valori in sé. Della storia, che non finisce a comando; che molto dipende dalla ricchezza e dalla forza, ma non si riduce a esse. I consumi, almeno i consumi materiali, nei paesi ricchi, non possono crescere per sempre. Vorremmo essere liberi di continuare a capire, anche quando il capire non potrà renderci più ricchi di così.

* Cercando di documentarmi per recensire Rapporto sulle economie del Mediterraneo, Il Mulino 2011, a cura di Paolo Malanima (ha ricostruito le serie salariali a Firenze ed altrove in Italia tra ‘600 e ‘700; ha scritto “La fine del primato”, italiano, ma anche sull’economia europea tra sei e settecento) mi sono trovato a leggere un rapporto della Banca mondiale, anche simpatico nel tono, intitolato “Where is the Wealth of the Nations?”, che mi ha un po’ frastornato. La Banca mondiale calcola la ricchezza totale delle nazioni attualizzando i consumi, la proiezione dei consumi, dei quindici anni successivi alla data di riferimento, e affoga il lavoro, la cui retribuzione compare nella contabilità delle aziende e degli stati, e sarebbe utilizzabile nel calcolo, in una voce capitale intangibile, calcolato per differenza tra la ricchezza totale e la somma delle stime del capitale naturale e del capitale prodotto.Ho scritto il pezzetto che vi mando pensando che possa interessare Sbilanciamoci. Può darsi che il pezzo sia ingenuo: potrei essere l’ultimo ad accorgermi che oggi gli economisti conformisti ragionano così; certo il pezzetto non arresta la valanga. Vedete voi.