Lo scioglimento della Wagner come l’abbiamo conosciuta può incidere su alcune posizioni militari russe sul fronte ucraino e all’estero ma non sulle strutture del potere russo. Da il manifesto.
La resa dei conti in Russia tra Putin e il capo della Wagner Prighozin non ferma la guerra in Ucraina e neppure quelle dove sono impegnati i mercenari in Siria, Libia, Mali e Centrafrica. Questo si evince dopo il discorso di lunedi alla nazione di Putin e da quello pronunciato ieri dal presidente russo all’esercito e alla Guardia nazionale in cui ha lodato le truppe «per avere evitato la guerra civile». Putin non può rinunciare alla sua influenza in Africa, dove governi autoritari e dittatoriali si erano rivolti alla Wagner, e tanto meno alla presenza russa, attiva dal 2015 in Siria, al fianco del regime di Bashar Assad che è stato riaccolto nel grembo del mondo arabo. È questa la Mosca dove arriva oggi l’inviato del papa, il cardinale Zuppi, capo della Cei, che probabilmente incontrerà il ministro degli esteri Lavrov.
Putin non può vantare molti successi dopo la disastrosa guerra in Ucraina ed è obbligato a riprendere il controllo totale della situazione: lo smantellamento della Wagner, che potrebbe cambiare alcuni equilibri in Africa, non ci sarà ma verrà intrapresa, come ha annunciato il leader del Cremlino, la sua inevitabile trasformazione. Non si può in ogni caso non rilevare che anche questo è un suo insuccesso: milizie come la Wagner sono state approvate da lui per avviare operazioni militari senza coinvolgere direttamente le forze armate russe ed evitare perdite tra i soldati di leva, con i relativi effetti negativi sull’opinione pubblica. Una “privatizzazione” della guerra su cui oggi Putin deve fare velocemente retromarcia. Attenzione che questa tendenza non è stata un’esclusiva di Putin: l’impiego di mercenari da noi chiamati più elegantemente contractors l’hanno imboccata anche gli americani in Iraq (Blackwater) e i Paesi del Golfo come Emirati e Arabia saudita che hanno finanziato gli eserciti privati schierati nella guerra civile dello Yemen.
Lo scioglimento della Wagner come l’abbiamo conosciuta può comunque incidere su alcune posizioni militari russe sul fronte ucraino e all’estero ma non sulle strutture del potere a Mosca: la rivolta di Prighozin – chiamato di nuovo da Putin «traditore» – ha offuscato l’immagine dello zar russo ma non la sostanza della presa del presidente sulla Federazione russa. «Sono quasi tutti patrioti», ha detto Putin nel suo ultimo discorso alla nazione riferendosi ai militari della Wagner che in Africa fanno parte di un gruppo che controlla risorse economiche rilevanti e miniere di metalli preziosi e rari: questi importanti interessi russi all’estero verranno tutelati da una nuova struttura sotto il controllo del Cremlino mentre la Duma sta lavorando a un legge per la legalizzazione degli ex mercenari. Putin è stato chiaro sulla loro sorte: chi vuole potrà aderire alla Wagner «riformata», gli altri dovranno scegliere l’esilio in Bielorussia come il loro capo. Sono prosciolti come il loro capo dalle accuse di rivolta e ammutinamento ma non perdonati: solo il tempo dirà se l’atto di clemenza è un segnale di debolezza o di lungimiranza.
Del resto l’ammutinamento di Prighozin è stato più uno scontro con al centro il potere e i soldi che a una rivolta organizzata e tanto meno a una rivoluzione come molti all’inizio l’hanno frettolosamente classificata: lo stesso Prighozin – la cui sorte appare ancora incerta – in un discorso audio ha affermato che la sua mossa è stata una «marcia di protesta» contro lo scioglimento della Wagner e non un tentativo di golpe. Una protesta scatenata da un decreto che pone le milizie russe (una ventina) sotto il diretto controllo del ministero della Difesa rappresentato da quello Shoigu, insieme al capo di stato maggiore Gerasimov, al centro degli strali lanciati da Prighozin.
Anche su questi discorsi sempre più frequenti di Prighozin contro i vertici militari ci sono stati giudizi frettolosi: le critiche dell’ex capo della Wagner erano stati visti da fuori come un gioco delle parti tra lui e il leader del Cremlino, nel quale Prighozin diceva cose che anche Putin pensava ma non diceva.
In realtà si stava preparando uno scontro tra coloro che volevamo restringere l’autonomia della Wagner e del capo dei mercenari: non dimentichiamo che la compagnia di Prighozin era pagata da lui ma armata dal ministero della Difesa, non un dettaglio irrilevante. Questo dovrebbe indurci a riflettere su quanto sappiamo davvero delle dinamiche interne russe, nonostante i servizi americani abbiano lasciato filtrare di essere informati da giorni sulle mosse del capo della Wagner. Una prudenza che ha indotto il presidente americano Biden a rompere il silenzio sulla vicenda affermando che «Washington non ha niente a che fare con quanto accaduto in Russia».
Questo non significa che a Mosca non faranno cadere qualche testa: le purghe mirate sono parte del sistema e ne abbiamo avuto la prova con i numerosi cambi di generali nello stato maggiore russo. Ma non c’è stata, per ora, come sottolinea il quotidiano russo Kommersant, nessuna decisione clamorosa, come il tanto preannunciato (dai giornali) siluramento del ministro della Difesa Shoigu. Le purghe sono state motivate sostanzialmente dal fallimento del principale obiettivo dell’«operazione militare speciale» che era quello di entrare a Kiev e ribaltare il governo Zelensky.
Due notazioni finali. 1) In Russia non esiste, al momento un’alternativa a Putin, o per lo meno un’alternativa “democratica”, come spesso vagheggiano i media occidentali. Prighozin, capo sanguinario dei miliziani, è più popolare di qualunque oppositore di Putin. 2) La Cina ha ribadito il suo appoggio al potere di Mosca, pilastro dei Brics, raggruppamento di Paesi in ascesa che si propone come alternativa al fronte occidentale. E anche questo non è poco.
Articolo pubblicato da il manifesto del 28 giugno 2023