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La miopia dei facili profeti

Occorre un nuovo modo di produrre che guardi al futuro, investendo nella ricerca e nel rispetto della natura, in una politica economica espansiva, nella redistribuzione del reddito. E ignorando i moniti di rigoristi e sovranisti.

Quando il gruppo di Ancona ricostruisce verso la metà degli anni ’60 le prime stime del PIL italiano dall’Unità d’Italia, Fuà raccomanda ai suoi giovani collaboratori di esprimere le grandezze in miliardi piuttosto che in milioni per non dare al lettore l’errata impressione di precisione dei dati economici. Che la misurazione del PIL sia poco affidabile lo si insegna presto, nel corso base di macroeconomia, ma evidentemente lo si dimentica ancor più velocemente. Per misurare il PIL attribuiamo il prezzo di ieri a beni di oggi che ieri magari non esistevano e valutiamo la produttività di un impiegato pubblico o di un insegnante in base al suo stipendio.

Non c’è quindi da disperarsi se l’ISTAT “certifica” un calo dello 0.2%, né da gioire quando aumenta dello 0.1%. Non solo perché PIL e benessere non si assomigliano, ma perché non si sa bene come misurare il prodotto di una nazione. Tutti, o quasi, gli indici economici hanno problemi di misurazione: la misura di produttività, ad esempio, non ha registrato né la rivoluzione digitale né nessuna delle rivoluzioni tecnologiche che si sono succedute nel corso degli anni. Lo “0 virgola” qualcosa del PIL non dice nulla.

Le stime dell’Unione Europea sulla situazione economica italiana che peggiorano le previsioni del governo non fanno eccezione. Pur lette con la dovuta cautela, ci dicono che il PIL ristagna, mentre cresce il debito pubblico e calano i consumi interni. Poiché il rapporto deficit-Pil aumenta e supera la soglia di 3.04%, servono 30 miliardi di euro per sterilizzare l’aumento dell’IVA. Il ciclo economico globale è sfavorevole e, come avviene ormai da un quarto di secolo, l’Italia va molto peggio degli altri paesi dell’Unione Europea. Il perché ho cercato di spiegarlo qui.

Ora vorrei riflettere su: chi pagherà il nostro debito? Noi, come propongono con l’austerity Troika ed economisti mainstream-neoliberisti; o noi come vogliono i sovranisti e gli economisti dell’“è stato l’euro”. Il governo avanza proposte perlomeno confuse e procede con una “strategia”, consapevole o no, neoliberista, con ricette di politica economica che non possono funzionare nemmeno per – come diceva Minsky – la “Mickey Mouse economy” del mainstream. La flat tax ci ammazzerebbe e sarà il segnale del “si salvi chi può”. Si sente parlare di una “flat tax che privilegia il ceto medio” – un ossimoro – quando invece bisogna invertire rotta. A cominciare da una riforma fiscale che provi a recuperare almeno parte della mostruosa evasione e che non penalizzi le generazioni future e le classi media e bassa – come accadrà senza interventi pubblici.

L’Italia (ma anche l’Europa) ha bisogno di investimenti pubblici e di aumenti salariali, cioè una politica espansiva di sostegno alla domanda interna e ai consumi. Per fare questo bisogna ridiscutere i vincoli imposti dai patti europei e opporsi a quelle politiche sovraniste di sapore autarchico, svincolando la spesa per investimenti, coordinare con gli altri paesi europei una politica di aumenti salariali e la monetizzazione – seppur parziale – dei debiti pubblici. Questo produrrà effetti sensibili nel breve periodo.

Magari il governo e i suoi consiglieri economici si accorgeranno che da quasi 40 anni l’aumento del PIL non è legato alla crescita dell’occupazione e che i salari non seguono – come era sempre accaduto in precedenza – gli incrementi di produttività. Che dipenda dalla globalizzazione, dai rapporti sociali o dalla robotizzazione della produzione non è ancora stabilito. Quel che è certo è che il futuro ci porterà un nuovo modo di produrre, meta-sostenibile, con prodotti sempre più immateriali e proprietà diffusa dei robot – cioè un vero reddito di cittadinanza, che si sostiene solo se il reddito è redistribuito. La manifattura è destinata a scomparire, con i suoi lavori di routine sostituiti dai robot, a favore dell’economia della conoscenza. 

Dobbiamo iniziare a immaginare di produrre in modo differente da oggi, investendo fin da ora in ricerca e nel rispetto e recupero della natura. Ignorando i moniti dei rigoristi espansivi e dei sovranisti.