Alla canna del gas/Tecniche di estrazione costose, inquinanti e pericolose rendono la fratturazione un’attività di frontiera che dipende dal mantenimento, e forse dall’innalzamento, dei prezzi attuali
Lo shale gas è il gas di scisto, cioè contenuto in una roccia porosa, mineralizzata, ma impermeabile, che deve essere frantumata ( fracking ) con acqua in pressione per poter uscire. La tecnica è costosa (bisogna perforare pozzi orizzontali nello strato mineralizzato per chilometri e poi pompare acqua a forte pressione per mesi), inquinante (l’acqua immessa, se era dolce, esce salata quando il pozzo va in produzione), pericolosa (l’alta pressione può far esplodere pozzi d’acqua dove ci sono o far sfuggire il gas in atmosfera), ma economicamente sostenibile. Dopo il boom, a partire dal 2006, della produzione di gas da fracking negli Stati Uniti (e la conseguente enfasi sulla recuperata autonomia energetica) non c’è stata molta attenzione in proposito sui giornali, italiani e non solo. Il prezzo del gas (non del petrolio) negli Stati Uniti è rimasto sensibilmente più basso di quello dei mercati internazionali, malgrado i probabili aggiustamenti dei contratti di lungo periodo con Gazprom in Europa; ci sono stati articoli allarmati per il possibile, e temibile, uso del fracking nel Mediterraneo o in Europa. Il non addetto ai lavori, rimasto alle stime del 2011, ha potuto leggere sulla stampa solo qualche accenno a una possibile inversione di tendenza, a una riduzione delle riserve stimate o alla riduzione della durata attesa della produzione dei pozzi in esercizio. Ma basta andare sul sito dell’Eia (U.S. Energy Information Administration) per scoprire che c’è stato un vero e proprio terremoto, che ha indotto l’Ente a pubblicare una nuova analisi datata 13 giugno 2013, a soli due anni di distanza dall’analisi precedente. L’aggiornamento non riguarda esattamente gli stessi paesi, né gli stessi giacimenti e perciò, forse volutamente, non consente un confronto complessivo. In particolare mancano, nell’annuario vero e proprio, gli Stati Uniti, che è tutto dire. Sul paese che è stato all’origine del boom vengono riportate due stime delle riserve, assai diverse: quella dello Eia, che pone le riserve degli Stati Uniti a 665 migliaia di miliardi di scf (cioè circa 18,8 migliaia di miliardi di normali metri cubi) e le mette al quarto posto dopo quelle di Cina (1.115 migliaia di miliardi di scf), Argentina e Algeria e quella dello Ari ( Advanced Resources International ) che le valuta quasi al doppio e le mette al primo posto.
La stima del gas e dell’olio (presente negli stessi giacimenti più di frequente di quanto non si fosse ritenuto) è resa difficile dalla grande variabilità geologica delle strutture esaminate, in particolare negli Stati Uniti, dove ci sono stati più pozzi perforati e c’è quindi maggiore precisione e attendibilità. Se la variabilità riscontrata negli Stati Uniti dovesse essere presente anche in aree non ancora sfruttate, molte stime potrebbero essere riviste. Inoltre la convenienza dello sfruttamento dipende da condizioni non geologiche: «Il costo di perforare e completare i pozzi; la quantità complessiva di gas ed olio prodotti; il prezzo». Inoltre bisogna tener conto dei diritti di sfruttamento; della disponibilità di attrezzature e condotte inutilizzate; del livello tecnologico dell’industria.
Quanto pesa sui mercati globali il fatto che il 40% di tutto il gas prodotto negli Stati Uniti e il 29% del greggio, nel 2012, vengono dagli scisti? Tutto dipende dal prezzo a testa pozzo, nel breve periodo, anche perché il trasporto, soprattutto del gas, costa, e la prossimità conta. Nel lungo periodo dipende dalle condizioni sociali e politiche dei paesi che hanno giacimenti permeabili importanti e per trasportare il gas devono prima liquefare e poi gassificare. In sostanza il boom americano, come era noto già prima del 2013, dipende dalla grande disponibilità di impianti e condotte inutilizzate, dal primato tecnologico e dalla vicinanza ai consumatori. Se i paesi che hanno margini enormi perché hanno gas e greggio di alta qualità a basso prezzo riescono a risolvere i loro problemi politici il prezzo lo faranno di nuovo loro.
Che cosa cambia, nel complesso, nella revisione del 2013? Intanto c’è l’avvertenza che, se anche nel resto del mondo si riscontrassero variazioni geologiche molto rilevanti per distanze di poche centinaia di metri, come negli Stati Uniti, le stime delle riserve potrebbero essere ulteriormente riviste verso il basso. Ci sono riduzioni molto forti già ora. La Cina, che forse ha le riserve maggiori al mondo, ha valori dimezzati rispetto alla stima 2011. Le riserve della Norvegia sono state azzerate; quelle della Polonia ridotte a 1/5. Il giacimento più importante degli Stati Uniti, Marcellus, sfruttato dalla compagnia omonima, è stato molto ridimensionato. A parte gli errori di valutazione, l’alto costo economico, per non parlare di quello ecologico, della fratturazione la rende un’attività di frontiera, che dipende completamente dal mantenimento, forse dall’aumento tendenziale, dei prezzi attuali.