Ovvero, quando il libero mercato e la concorrenza internazionale (tanto decantate da Usa e Ue) sono falsati dalle sovvenzioni (promosse da Usa e Ue)
«Ecco che sul suo campo non passano più forze naturali, ma forze economiche, forze sociali, forze umane (…) Di raccolta in raccolta, mentre il suo lavoro resta lo stesso, il prezzo del suo grano cala quasi sempre. (…) Da mezzo secolo nelle grandi pianure indiane, russe, dell’Ovest americano, altri uomini lavorano, a un costo minore e tutta questa produzione, bruscamente avvicinata dalla velocità delle grandi navi pesa costantemente su di lui. Ecco dunque che i popoli e i continenti lontani sorgono adesso dalla nebbia, come dure e massicce realtà ed è forse dalla quantità di grano seminato da un contadino dell’Ovest americano, dal salario distribuito ai poveri braccianti giornalieri dell’India e ancora dalle leggi di dogane, imposta e moneta promulgate in ogni parte del mondo, che dipenderà il prezzo del suo grano, il prezzo del suo lavoro, la sua libertà e la sua prosperità»
Come è noto il ciclo di negoziazioni di Doha, lanciato nel 2001 dall’Organizzazione mondiale del commercio con l’obiettivo di abolire le barriere al mercato internazionali di beni e servizi, è lungi dall’essere concluso. Le negoziazioni avrebbero dovuto chiudersi già nel 2004 ma oggi, otto anni dopo, sono ancora in alto mare. La questione agricola che vede opposti i paesi in via di sviluppo ai principali paesi industriali è sicuramente la causa principale di questo mancato accordo. Il nodo cardinale è costituito in particolare dai sussidi stanziati dagli Stati uniti e dall’Unione europea a sostegno della propria agricoltura. L’obiettivo di questo articolo è proprio quello di cercare di analizzare questo groppo, di vedere insomma quali sono gli interessi che si celano dietro a queste sovvenzioni.
Lo spunto ci viene da una cara amica che, dopo avere ascoltato una trasmissione radiofonica centrata sul commercio delle materie prime, ci pone una domanda, a suo parere stupida: “da cosa dipende la scelta di sovvenzionare un certo tipo di prodotto o agricoltura invece che un altro? Tipo gli Usa con il mais o il cotone..”
Talmente stupida la domanda che, altrettanto stupidamente, tentiamo ora di darle una plausibile risposta. Prima di soffermarci direttamente al perché il mais, attardiamoci un attimo su una questione ancora più ottusa: perché i governi occidentali, in questo caso gli States, sovvenzionano largamente la propria produzione agricola?
Una ragione storica ed economica: la mano visibile che regola il mercato agricolo internazionale
Le due guerre mondiali hanno insegnato che per sfamare (e vestire) la propria popolazione e il proprio esercito non si può contare solo sui mercati internazionali, in quanto questi sono i primi a contrarsi in caso di tensioni planetarie. Da qui le politiche che sostengono una produzione propria con lo scopo d’autoapprovvigionarsi e di costituire delle riserve conseguenti. Inoltre il boom economico del dopoguerra con la sua industrializzazione rapida, necessitava da un lato che la gente lasciasse le campagne per venire a lavorare nelle industrie e nei servizi urbani, ma dall’altro che ai contadini rimasti fosse garantito un reddito tale da poter continuare a investire in nuove terre e nuovi mezzi di produzione per aumentare i rendimenti e abbattere i prezzi.
Ora, l’unico modo per poter garantire che il proletariato e la “classe media” possano accedere a cibo buon mercato (e quindi, tra l’altro, spendere la maggior parte del denaro nell’acquisto di beni di consumo non alimentari), e allo stesso tempo garantire che i contadini rimasti possano avere un reddito tale da poter continuare a investire, è quello di sovvenzionare massicciamente la produzione agricola.
Finita la crescita rapida dei trenta gloriosi e con le successive ondate di liberalizzazioni del nuovo credo neo-liberale, ci si è resi conto (ohibò!) che senza sovvenzioni in occidente è impossibile mantenere un sistema agricolo funzionante e quindi si arriva al paradosso attuale dove i prodotti pesantemente sovvenzionati costano meno di quelli prodotti nel terzo mondo con paghe da fame.
Ed è proprio questo paradosso che costituisce il nocciolo della discordia delle negoziazioni di Doha e che porta un paese povero a domandarsi: come mai gli stati ricchi che da anni mi impongono il (neo)libero mercato, sono i primi che distorcono la dottrina (neo)liberista sovvenzionando a suon di miliardi la loro industria agricola? Perché io, stato povero a cui proprio l’imposizione della dottrina del (neo)libero scambio (riduzione di tasse, dazi e quote doganali, ecc.) impedisce di trovare i soldi per finanziare tali sovvenzioni, non riesco a concorrere sui mercati internazionali perché proprio voi, fautori della libera concorrenza, proteggete la vostra agricoltura, rendendo il mercato agricolo mondiale né libero né concorrenziale?
Inoltre si deve tenere conto che il mercato internazionale dei prodotti agricoli, è un mercato di prodotti “marginali”. Infatti le politiche che mirano a certi obiettivi di produzione non sono state abbandonate. Però una volta soddisfatti questi criteri, i grandi produttori si ritrovano sovente con ancora grandi quantità di sovrapproduzione da vendere. Per di più, essendo prodotti agricoli, questi stock non possono essere immagazzinati a tempo indeterminato, questo mix conduce alla formazione di prezzi completamente depressi sul mercato internazionale. In questo contesto l’agricoltore americano ed europeo non potrebbe resistere alla concorrenza dei paesi dove la manodopera è molto meno cara. La fortuna del (grande) agricoltore occidentale sta quindi nel fatto di essere protetto dai propri (ricchi) stati, scrupolosi di difendere la propria sovranità alimentare e di aiutare un settore strategico e di vitale importanza come quello dei prodotti agricoli (1).
Il mais e l’industria agroalimentare: radiografia del cibo veloce e a basso costo
La domanda che ci è stata posta è però più precisa, non si limita ai sussidi in generale: perché proprio il mais? Perché non il broccolo? L’esempio del mais è intrigante poiché ci permette di riassumere gli interessi economici che si celano dietro le politiche dei sussidi. Interessi che fanno capo a quel settore strategico dell’economia statunitense che è l’industria agro-alimentare. Quest’industria fonda il suo potere su due pilastri: la concentrazione industriale (2) e una ramificata organizzazione lobbistica che le permette di essere presente in tutte le sedi di decisione politica dell’amministrazione statunitense (autorità di controllo e vigilanza, negoziazioni internazionali, ministeri, ecc.).
La ragione della scelta del mais è, anche in questo caso, prima di tutto storica: gli States si sono ritrovati a dover sovvenzionare un sistema agricolo che in parte già riponeva su questo prodotto, anche se bisogna tener conto di importanti sovvenzioni concesse ai produttori di riso, soia e cotone (3).
La scelta però è dettata in gran parte dalla strategia economica e dagli interessi enormi della potente industria agroalimentare statunitense. Bisogna innanzi tutto considerare che il mais è una pianta molto redditizia e versatile, l’industria alimentare infila i suoi surrogati ovunque (4), è l’alimento principale contenuto nei mangimi per gli animali, e non da ultimo ci si può anche fare l’etanolo per alimentare i pick-up e i Suv verdi “dell’ultima generazione” (5). Si calcola che il 30% dei terreni agricoli statunitensi sono piantati a mais.
L’intero sistema agroalimentare negli Stati uniti si fonda sulla scelta politica del governo che permette di produrre mais sottocosto. Vediamo di capire cosa avviene.
I contadini vengono pagati per produrre mais in eccesso, per mezzo delle pressioni delle grandi multinazionali agro-alimentari che nel mais riversano interessi enormi (il rapporto di produttività tra i metodi manuali e quelli più “moderni” può arrivare in questo caso a 1 a 2.000!). In effetti, grazie a questi eccessi le grandi multinazionali (Cargill, Adm, Smithfiel, Tyson, McDonald, ecc.) possono acquistare questo prodotto sottocosto e produrre quantità di surrogati industriali e mangimi animali che andranno a comporre la maggior parte dei prodotti presenti sugli scaffali dei supermercati e nelle cucine di quegli invitanti ristorantini americani chiamati “fast food”. Questo sistema ci permette (proprio a noi, i consumatori) di poter acquistare della carne a basso costo. Senza questi sussidi negli Usa la popolazione non potrebbe nutrirsi così voracemente di carne, non potrebbe acquistare un hamburger al prezzo di 1 (!!) dollaro. È proprio grazie (o a causa) di questi sussidi che due cheeseburger e una cola costano come un broccolo. (Quest’ultimo, si diceva, non beneficia di sussidi). La dieta all’americana è dovuta quindi alle politiche agricole e al tipo di agricoltura che si è scelto di praticare (e sovvenzionare) che tende a favorire i cibi industriali e meno sani (6).
Questo per ciò che concerne la situazione all’interno degli Stati uniti. È evidente che gli eccessi di produzione saranno poi piazzati sui mercati internazionali dove sbaraglieranno la concorrenza, e questo malgrado il costo bassissimo della manodopera nei paesi più poveri. Per esempio, il mais messicano non sovvenzionato non potrà mai competere sui mercato internazionale con quello prodotto nello Iowa. Ecco quindi l’apice estremo della perversione del sistema dei sussidi che vede la culla del mais e delle sue differenti varietà, il Messico, invaso dal mono mais statunitense, per giunta modificato geneticamente (7).
Già, perché a questo punto si capisce anche come mai gli Usa sono i più grandi promotori (e coltivatori) dei prodotti agricoli geneticamente modificati (Ogm). La parte principale delle coltivazioni Ogm statunitensi è costituito da mais, soia (che può essere coltivata in rotazione bi-annuale con il mais) e cotone, guarda caso proprio le colture più sovvenzionate. Il geneticamente modificato è redditizio soltanto nei giganteschi campi del midwest americano dove la produttività è appunto così elevata da entrare direttamente nel circolo della sovrapproduzione e quindi del basso costo. Ecco così che l’industria che produce sementi geneticamente modificate (Monsanto, DuPont, ecc.) collima gli interessi delle grandi compagnie agroalimentari (Cargill, Kellogs, ConAgra, Adm, Smithfield, Tyson, ecc.), dei colossi della distribuzione (Wal-Mart, Best Buy, ecc.) e delle grandi catene di fast food (Mc Donalds, Burger King, ecc.). Queste imprese, fortissime, costituiscono la principale lobby economica che agisce sul governo statunitense nel quadro delle negoziazioni internazionali (8).
Conclusione
Dopo tutte le concessioni che hanno già fatto in passato si capisce che i paesi del Sud non siano disposti a cedere sulla questione dei sussidi agricoli. Sull’agricoltura di molti paesi non incombe la mano della Terra con le sue ribellioni naturali, alluvioni uragani incendi terremoti, ma trama la mano (visibile) dell’uomo e delle sue scelte politiche, economiche e sociali. La citazione iniziale lo spiega molto bene. A proposito, ci eravamo scordati, a esprimersi così fu Jean Jaurès, politico francese, durante un discorso alla Camera dei deputati nel… 1897. (9)
In conclusione pensiamo che oggi gli imperativi economici delle grandi industrie dettino queste scelte: mais, cotone, soia, riso (al quale dovremmo aggiungere anche l’olio di palma) sono i pilastri del sistema agroindustriale non solo americano, ma mondiale. Dall’alimentazione, al tessile, passando per la produzione d’energia queste sono le colture più importanti. Per i paesi occidentali continuare a sovvenzionarle significa poter perpetuare e incrementare i lauti guadagni di questo potente settore. La scelta dei sussidi, e di quale tipo di prodotto sovvenzionare, non è quindi casuale, ma è il frutto di scelte strategiche ben calcolate e che costituiscono l’olio a motore della gigantesca macchina agroalimentare occidentale. La fine dei sussidi all’agricoltura in generale, e del mais in particolare, ne ingolferebbe inesorabilmente il meccanismo.
(2) Qualche dato in merito alla concentrazione del settore agroalimentare. All’inizio del millennio la situazione era la seguente: 55% della produzione di carne di pollo è controllata da Tyson Foods, Gold Kist, Perdue Farms e ConAgra; 87% della produzione di manzo è controllata da Ibp, ConAgra e Farmland Industries; 60% della produzione di maiale è controllata da Smithfield, Ibp, ConAgra e Cargill; 62% della farina è controllata da Adm, ConAgra, Cargill e CerealFood Processors; 76% dei processi legati alla soia sono controllati da Adm, Bunge, Cargill e Ag Processors; 57% della macinazione a secco del mais è controllata da Bunge, Illinois CerealMills, Adm e ConAgra e il 74& del mais umido è detenuto da Adm, Cargill, Tate and Lyle e Cpc: www.jrank.org/cultures/pages/3576/Agriculture-Agribusiness.html
(3) Il 93% dei sussidi agricoli Usa va a 5 prodotti (mais, grano, riso, soia e cotone): www.7dvt.com/2007/crop-circles
(4) Il 90% dei cibi industriali contiene un surrogato di mais e di soia: Food, Inc., diretto da Robert Kenner, Magnolia Production & Participant Media & River Road Entertainement: Usa, 2008
(6) 33% degli americani adulti è considerato obeso: www.7dvt.com/2007/crop-circles
(7) Per cui ecco che i contadini messicani trovatisi senza lavoro a causa delle sovvenzioni statunitensi sono costretti ad emigrare negli Usa in cerca di lavoro: nel 2002-2003 tre lavoratori agricoli su quattro provengono dal Messico www.7dvt.com/2007/crop-circles
(8) Vedi il ruolo per esempio l’organizzazione lobbistica Ipc o International Food and Agricoltural Policy Council, creata nel 1987 con lo scopo di guidare le negoziazione agricole durante l’Uruguay Round, il ciclo di negoziazioni che ha portato alla creazione del Wto. Ipc è guidata dai giganti dell’agrobusiness: Cargill, Monsanto, Bunge, Adm, Syngenta, ecc.: www.agritrade.org.
(9) Ecco la citazione originale: p { margin-bottom: 0.21cm; }“Voici que sur son champ passent non plus des forces naturelles, mais des forces économiques, des forces sociales, des forces humaines […] De récolte en récolte, son labeur restant le même, le prix de son blé fléchit presque constamment. […] Depuis un demi-siècle, dans les grandes plaine de l’Inde, de la Russie, de l’Ouest américain, d’autres hommes travaillent, à moins de frais, et toute cette production, brusquement rapprochée par la vitesse des grands navires, pèse constamment sur lui. Voilà donc que les peuples et les continents lointaines surgissent maintenant de la brume, comme de dures et massives réalités, et c’est peut-être de la quantité de blé ensemencée par un fermier de l’Ouest américain, du salaire distribué aux pauvres journaliers de l’Inde, et encore des lois de douanes, d’impôt et de monnaie promulguées dans toutes les parties du monde que dépendra le prix de son blé, le prix de son travail, sa liberté et sa prospérité”
Le Monde selon Monsanto, diretto da Marie-Monique ROBIN, Arte: France, 2008
Fed Up!: Genetic Engineering, Industrial Agriculture and Sustainable Alternatives, diretto da Angelo Sacerdote, Wholesome Goodness Productions: Usa, 2005
Food, Inc., diretto da Robert Kenner, Magnolia Production & Participant Media & River Road Entertainement: Usa, 2008
The future of the food, diretto da Deborah Koons, Lily Films: Usa, 2004
We Feed the World, diretto da Erwin Wagenhofer, AllegroFilm-Produktions: Vienna, 2005