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La filiera automotive italiana ai raggi X

Presentati i risultati di un’indagine dell’Osservatorio TEA sulla filiera automotive. 8 aziende su 10 guardano con fiducia all’auto elettrica, ma mancano i profili adatti da assumere e una guida da parte del Governo. Le priorità? Politiche industriali mirate e attenzione a formazione e nuove competenze.

Lo scorso 13 dicembre, nell’ambito dell’evento “Presente e futuro della filiera automotive italiana” svoltosi presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, sono stati presentati i risultati di un importante studio realizzato dall’Osservatorio TEA, l’osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano guidato da CAMI (Center for Automotive & Mobility Innovation) del Dipartimento di Management – Università Ca’ Foscari Venezia e CNR-IRCrES (qui il video dell’evento).

Lo studio rivela che la filiera automotive italiana guarda con fiducia alla transizione verso la mobilità elettrica e si sta già attrezzando per cogliere le nuove opportunità e creare posti di lavoro, ma troppo spesso le aziende hanno difficoltà a reperire le professionalità di cui avrebbero bisogno (scarica qui il comunicato stampa sull’indagine dell’Osservatorio TEA con grafici e tabelle di accompagnamento). La survey 2023 – frutto di un’indagine su un campione di 217 aziende rappresentativo delle 2.152 imprese mappate dall’Osservatorio TEA e inserite nel database della filiera costruito e messo a disposizione di istituzioni e stakeholder – indica che per la maggioranza delle aziende (il 48,4%) le trasformazioni dell’ecosistema automotive non avranno alcun effetto sul portafoglio prodotti e per il 30,9% avranno addirittura un impatto positivo, a fronte di un 20,7% che non esclude invece potenziali riflessi negativi.

Dal punto di vista degli effetti strettamente occupazionali della transizione, la maggioranza assoluta delle aziende (il 55,5%) prevede un impatto nullo sul numero dei propri dipendenti e quasi un’impresa su 3 (il 27,7%) si dice convinta di poter aumentare i livelli occupazionali, proprio in virtù della trasformazione in atto, che vede nell’elettrificazione del powertrain il suo elemento centrale. In questo caso, scende al 16,8% la quota del campione che teme eventuali riflessi negativi. L’incrocio di questi dati evidenzia pertanto come 8 aziende della filiera su 10 si muovano con confidenza verso la transizione

La clusterizzazione del campione consente inoltre di osservare che tendenzialmente le imprese più fiduciose sui riflessi sul proprio portafoglio prodotti sono quelle dei raggruppamenti “media” e “micro”, con l’83,6% e l’80% dei rispondenti che si aspetta un impatto della transizione positivo o nullo. Quanto al lavoro, le micro imprese sono quelle che più delle altre ritengono di poter aumentare il numero degli occupati (il 51,7% degli intervistati), davanti alle aziende piccole (il 33,3%) e a quelle più grandi (il 31,3%), in un contesto che vede la gran parte della filiera aspettarsi una sostanziale stabilità dei livelli occupazionali: nel caso delle aziende di medie dimensioni l’impatto sui posti di lavoro sarà nullo secondo il 67,6% degli intervistati.

Il risultato delle risposte al questionario conferma quanto valutato già lo scorso anno dall’Osservatorio TEA partendo dall’analisi del portafoglio prodotti delle imprese: la maggioranza delle aziende della filiera automotive italiana fornisce prodotti o servizi invarianti rispetto all’alimentazione dei veicoli.

A livello geografico, a mettersi particolarmente in luce è la Lombardia, dove – grazie allo sviluppo di un ecosistema automotive molto orientato alla transizione – le risposte aggregate delle aziende consentono di stimare al 2027 un incremento occupazionale nel settore automotive del 6,3%. A livello nazionale, alla stessa data, la proiezione che emerge dall’indagine è di un +0,6% degli occupati totali della filiera, con lo sprint lombardo – accompagnato dal +3,1% del Centro – mitigato dalle previsioni su Nord-Est (- 4,3%) e Sud (-3,5%), aree che rispettivamente dipendono in modo più stretto dalla produzione di veicoli endotermici e presentano tassi di esportazione inferiori.

Il tema occupazionale si incrocia inevitabilmente con quello delle competenze: qui le imprese suonano l’allarme. A fronte della diffusa intenzione di procedere con nuove assunzioni, infatti, a seconda dei ruoli dei dipendenti, una quota dal 40 al 50% del campione denuncia grandi difficoltà nel reperimento delle professionalità richieste. In questo senso, le maggiori preoccupazioni sono quelle segnalate dalle grandi imprese, quelle attive in Italia ma a controllo estero e quelle del Sud, per un problema che investe parimenti i ruoli operativi, quelli specialistici e gestionali, quelli tecnici specifici e quelli di gestione del cambiamento e innovazione.

Accanto alla diffusa ricerca di nuove competenze da inserire in azienda, le stesse imprese della filiera manifestano una richiesta di supporto e guida da parte del Governo in questa trasformazione. Non sorprende quindi che in cima alle priorità di intervento segnalate alla politica ci siano la defiscalizzazione delle assunzioni di personale giovane (il 65,4% la ritiene importante o molto importante) ed esperto (64,4%). Misure che sul fronte dei giovani potrebbero essere corroborate da una più stretta cooperazione tra le aziende, gli Istituti tecnici professionali e gli ITS, per avvicinare il mondo del lavoro alle scuole, ma anche per contribuire a definire percorsi formativi più coerenti con le nuove competenze ricercate dall’industria. E ancora, allargando il campo, il 58% delle imprese della filiera attribuisce grande importanza ai bonus per l’acquisizione di tecnologie e la riconversione produttiva e il 54,3% pone l’accento sulle agevolazioni per la formazione dei lavoratori. 

Per concludere, l’Osservatorio TEA ha costruito una mappa per identificare, a seconda della tipologia di azienda, quanto le trasformazioni dell’ecosistema automotive potranno incidere sull’evoluzione del portafoglio prodotti e delle competenze dei lavoratori. L’analisi congiunta delle dimensioni produttive e occupazionali evidenzia che tendenzialmente sono le grandi imprese, quelle che impiegano un maggior numero di lavoratori con livello di istruzione universitaria e quelle operanti sulle infrastrutture di rete ad essere più sensibili alla transizione, aspettandosi le modifiche più rilevanti al business e alle competenze di cui necessiteranno in futuro.