Crack 2.0/Rimettere gli istituti al servizio dell’economia reale, separare le attività finanziarie da quelle ordinarie
I cittadini europei nutrono un profondo sentimento di sfiducia verso le istituzioni europee. La vera sfida politica dell’Europa é capovolgere tale sfiducia con riforme coraggiose e percepite come realmente efficaci, soprattutto nell’attuale situazione di crisi, con disoccupazione e disagio sociale in aumento in molte regioni europee. Il settore finanziario, incubatore della crisi economica, è forse il settore dove più ci si aspettano misure drastiche e risolutive. Eppure, nonostante il lavoro delle istituzioni europee in materia di regolamentazione finanziaria, molte anime della società civile sono a dir poco scettiche circa la reale efficacia della terapia prescritta. Si sollevano due questioni principali: possiamo dire di essere al riparo da una nuova crisi? E, possiamo considerare guarito un sistema finanziario nel quale i principali problemi strutturali non sono stati presi in considerazione e profondamente riformati?
L’industria finanziaria segnala che ulteriori riforme strutturali sarebbero superflue, considerando quanto fatto dalla crisi del 2008 a oggi. Un argomento che viene sostenuto anche da diverse istituzioni e governi, tanto su scala nazionale quanto europea. Dottore e paziente devono soffrire di memoria corta: nei 15-20 anni di liberalizzazione precedenti alla crisi, diverse banche sono cresciute a dismisura rispetto all’economia, principalmente aumentando le transazioni con altri soggetti finanziari. Sono diventate too big e too interconnected to fail (troppo-grandi-e-troppo-interconnesse-per-fallire, il che significa che il crollo di una di queste megabanche innescherebbe un effetto domino su tutte le altre con cui esistano capillari relazioni, scatenando conseguenze a cascata su tutta l’economia. Per evitare un tale contagio, ecco che i soldi dei contribuenti devono essere utilizzati per salvarle.
La crisi ha ampiamente dimostrato come il sistema finanziario europeo sia dominato da questi giganti finanziari. In caso di difficoltà per uno di essi, le autorità potrebbero dover fronteggiare un conflitto d’interesse nel tentativo di voler proteggere il proprio “campione nazionale” oltreconfine, a discapito dell’interesse collettivo. Appare quindi fondamentale che la responsabilità di supervisione e di intervento sulle grandi banche sia spostata a livello delle istituzioni europee in modo da evitare conflitti di interesse e rischi di contagio sistemici. Questo è l’obbiettivo dell’Unione Bancaria Europea. Il problema è che tale regolamento non rimette in discussione la struttura del sistema bancario in sé, dandola per assodata. Una visione che pone alcune questioni, in particolare sulla solidità del sistema e sulla protezione dei soldi dei contribuenti. La Commissione, il Parlamento e il Consiglio europei stanno tutt’ora dibattendo sulla sostanza ed entità delle riforme necessarie a rimodellare il settore finanziario in Europa. Purtroppo, ad oggi sembra che la voce di chi chiede una riforma strutturale dei grandi gruppi bancari sarà ignorata.
Per prima cosa, non vi è nessun impegno legislativo nel rilanciare un modello di fare banca che sia al servizio dell’economia reale. Il sistema finanziario viene accettato così com’è: dominato da un ristretto numero di megabanche troppo-grandi-e-troppo-interconnesse-per-fallire. Non affronta la separazione di quelle attività, tipiche delle megabanche, lontane da un rapporto relazionale tra cliente e istituto e orientate al lungo periodo, due aspetti fondamentali per sostenere le piccole-medie imprese e la società tutta. Tipicamente infatti, le megabanche privilegiano le transazioni finanziarie all’erogazione di credito (con stime del 70% contro il 30%) perché più redditizie. La maggiore redditività innesca un circolo vizioso che allontana sempre più tali gruppi dalla funzione fondante dell’industria bancaria: l’offerta di credito all’economia reale.
Il rimedio sarebbe una strutturale riforma bancaria e precisamente la separazione delle attività finanziarie di quegli istituti che combinano operazioni tradizionali ed essenziali (depositi, erogazione di crediti, sistemi di pagamento), con le transazioni più sofisticate. Si otterrebbero così da una parte banche commerciali autorizzate a raccogliere depositi e dall’altra società di intermediazione finanziaria (o banche d’investimento) non autorizzate a raccogliere depositi, bensì dedicate all’offerta di prodotti più complessi. Grazie a questa separazione, l’erogazione di credito sarebbe più appetibile per le banche (traducendosi in minori costi per i consumatori finali), poiché il costo dei fondi dipende principalmente del livello di rischio in seno a ciascuna banca. Successivamente alla separazione, le banche commerciali sarebbero più sicure rispetto alle precedenti megabanche e non metterebbero a rischio l’intero sistema in caso di crisi. Un doppio beneficio dal punto di vista dell’interesse pubblico.
In conclusione, molto più deve essere fatto se davvero si vuole rafforzare la credibilità dell’Unione Bancaria Europea e promuovere efficacemente l’economia reale nel lungo periodo. La separazione bancaria e la ristrutturazione del sistema finanziario sono parte della risposta e chi ci rappresenta presso le Istituzioni Europee (e che sta discutendo di questi argomenti proprio ora) non dovrebbe perdere altro tempo e sostenere una piena separazione di tali attività. L’Europa ha l’opportunità di rivitalizzare un sistema finanziario che dedichi le proprie risorse per scopi produttivi in modo sostenibile e trasparente, senza danneggiare l’intera società. Servono ulteriori azioni, non solo per adempiere all’agenda post-crisi, ma anche per rimettere la finanza al servizio dell’economia reale e della società.