Ecosinistre/Le divisioni sul nome del prossimo presidente della Commissione europea. Merkel non è entusiasta e ha proposto Lagarde
Ancora due settimane di tempo per discutere e negoziare dietro le quinte il nome del prossimo presidente della Commissione, che il Consiglio europeo proporrà in occasione del vertice del 26 e 27 giugno al voto del Parlamento europeo, previsto per la seduta dal 14 al 17 luglio.
David Cameron riuscirà ad escludere Jean-Claude Juncker, diventato per la stampa britannica «l’uomo più pericoloso d’Europa» (titolo del Sun ), a causa delle sue idee federaliste? Angela Merkel, che ha in mano tutte le carte per la decisione finale e che non è mai stata una sostenitrice entusiasta di Juncker, ha cercato di minare la legittimità del lussemburghese, per poi difenderlo di nuovo, rifiutando di seguire Cameron, che aveva trovato come alleati Olanda e Svezia. Merkel ha lanciato vari ballons d’essai: ha cominciato con Christine Lagarde, attuale direttrice dell’Fmi. Netto rifiuto di François Hollande, che, obbligato ad accettare il candidato del Ppe, non vuole l’ex ministra di Sarkozy e neppure «bruciare» in questo modo il posto nella Commissione attribuito ai francesi (vorrebbe piazzare l’ex ministro dell’Economia, Pierre Moscovici, ma vi aspira anche la socialista Elisabeth Guigou).
C’è stata poi la carta Pascal Lamy, francese e socialista, ex commissario che fu stretto collaboratore di Jacques Delors e, fino all’agosto dell’anno scorso, direttore generale del Wto. Lagarde non va bene, anche perché è implicata nel caso Tapie (deve giustificare un «risarcimento morale» all’uomo d’affari di 45 milioni) e Lamy ha appena riproposto un «salario di primo impiego» per i giovani sotto lo Smic (salario minimo), idea che aveva sollevato la protesta giovanile nel 2006. Provocatoriamente, in Francia è girato anche il nome di Daniel Cohn-Bendit, ex deputato verde. Durante la campagna elettorale per le europee, in nome di un’interpretazione del trattato di Lisbona non condivisa da tutte le forze politiche, era stata fatta la proposta di nominare il candidato del gruppo arrivato in testa all’europarlamento.
L’idea è stata nei fatti difesa soprattutto dalla sinistra, Pse e Gue, e il Ppe l’ha accettata obtorto collo, mentre la destra della destra si è rifiutata di indicare un nome comune. Era una promessa di «democrazia», che lasciava la scelta nelle mani degli elettori. Il voto ha dato la maggioranza al Ppe, quindi, stando agli impegni, il prossimo presidente dovrebbe essere Jean-Claude Juncker, ex primo ministro del Lussemburgo, ex presidente dell’Eurogruppo e capitano di lungo corso della Ue (era ministro delle finanze lussemburghese nel ’91, quando venne fondata l’Unione monetaria). Ma Juncker sta ora sollevando critiche di ogni tipo.
Ovviamente, nel Pse, che pure aveva concluso un accordo con Ppe e Liberali per votare congiuntamente il candidato del gruppo vincente, dove Juncker, politico proveniente da un paradiso fiscale, fa storcere un po’ il naso. Hollande continua a difenderlo, ma Renzi, per esempio, è sempre più freddo. A destra, Merkel cerca alternative, per non irritare Cameron, che minaccia un referendum per far uscire la Gran Bretagna dalla Ue. Trovare un nome alternativo che venga accettato dall’europarlamento? Se lo propone il «blocco delle destre» (Ppe, liberali più conservatori britannici e polacchi) non c’è la maggioranza (mancano 8 seggi), visto che non avrà il voto del Pse. Ripescare allora un candidato secondario, il liberale Guy Verhofstadt? Se a metà luglio, l’europarlamento respinge la proposta che uscirà dal Consiglio a fine giugno, l’estate sarà calda per arrivare alla formazione della nuova Commissione, che dovrà essere votata ad ottobre a Strasburgo.