Lavoro, educazione, salute, pensioni e giustizia: ecco come l’austerity ha fatto retrocedere i principali diritti sociali e civili. Il Parlamento europeo ha analizzato l’impatto della crisi sui diritti fondamentali dei cittadini europei. E ha scoperto che l’Italia è tornata indietro di almeno vent’anni
Negli scorsi mesi il Comitato sulle Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni del Parlamento UE ha commissionato una serie di analisi circa l’impatto della crisi sui diritti fondamentali dei cittadini europei. Considerando come la crisi non abbia colpito con la medesima intensità tutti i Paesi membri, ne sono stati selezionati sette (Belgio, Cipro, Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo e Italia), offrendo così un quadro inclusivo sia di Paesi di civil law che di continental law, così come di Paesi che hanno preso parte o meno agli accordi con la Troika.
La natura della crisi ha spinto a concentrare l’attenzione sullo stato dei diritti economici e sociali in questi Paesi, a partire da quelli all’educazione, alla salute, al lavoro e alla pensione. L’attenzione è stata posta anche sullo stato di alcuni diritti civili e politici, dal diritto di accesso alla giustizia alle libertà di espressione ed assemblea. Considerando come la crisi e le successive misure di austerity abbiano avuto impatti differenziati su altri diritti fondamentali, la ricerca ha analizzato specifiche problematiche nazionali in merito al diritto all’abitazione, alla proprietà, al lavoro, alla sicurezza sociale, all’acqua, ma anche alla libertà di informazione, ai diritti degli stranieri, ai crimini d’odio e incitamento all’odio sottolineando, infine, come alcuni gruppi di persone siano state sproporzionatamente colpite nel godimento dei propri diritti, in spregio del principio di equità.
Il Rapporto sull’Italia, redatto da Giuseppe Nastasi e Giuseppe Palmisano, e che non esprime necessariamente la posizione dell’Europarlamento, ha analizzato l’impatto delle misure legislative introdotte tra il 2008 ed il giugno 2014 sul diritto all’educazione obbligatoria, alla salute, al lavoro e alla pensione, all’accesso alla giustizia, all’esercizio del diritto di manifestazione ed assemblea contro le misure di austerity, alla proprietà, analizzando anche i meccanismi disponibili nel nostro Paese per monitorare la conformità delle misure di austerity con il rispetto dei diritti umani.
Si sottolinea come la crisi abbia riportato l’Italia indietro di circa venti anni con un PIL ridotto del 7,5%, il cui tasso pro-capite è tornato ai livelli del 1996 mentre la disoccupazione, nel periodo di analisi, risulta cresciuta del 6%, colpendo soprattutto i più giovani.
In tema di diritto all’educazione, particolare attenzione è stata posta sul “Decreto Brunetta” (n. 112/2008), che ha cercato di ridurre drasticamente la spesa sulle scuole pubbliche per 8 miliardi di euro, incrementando il numero di studenti per insegnante e riducendo il personale non didattico. Questa ed altre misure si inseriscono in quella che il Report definisce una <<lunga tradizione di sottoinvestimento nell’educazione>> (l’Italia risulta l’unico Paese OCSE a non aver aumentato la spesa per studente dal 1995). La ricerca non conferma che tali misure abbiano significativamente ridotto la peraltro generalmente bassa (almeno in media) qualità dell’educazione nazionale, benché venga fatto notare come la fusione di molte piccole scuole in istituti più grandi potrebbe mettere in difficoltà gli studenti affetti da disabilità o altre condizioni che potrebbero rendere più difficile accedere a scuole lontane da casa. Il Rapporto chiede, pertanto, non solo di garantire i servizi per l’accesso effettivo alle scuole, ma anche di cessare il taglio dei fondi in questo comparto, aumentando gli investimenti in risorse umane (specie nella formazione continua), assicurando che le limitate risorse siano utilizzate nel modo più produttivo possibile, attivando un monitoraggio qualitativo per classi e scuole secondo criteri comparabili, collegando l’accesso e la permanenza nei ruoli di insegnante e preside al continuo miglioramento qualitativo dell’attività (e non all’età).
Le misure di austerity in materia di salute sembra siano riuscite a ridurre gli insostenibili deficit di budget presenti in molte Regioni, anche se gli enti locali hanno visto limitarsi le possibilità di erogare servizi che andassero oltre i Livelli Essenziali di Assistenza nazionali. Il Rapporto, tuttavia, ritiene possibile che i tempi di accesso ai servizi sanitari possano essere più lunghi dell’accettabile e che la riduzione della spesa sui farmaci possa impedire o ritardare l’accesso a quelli di ultima generazione e più costosi. Si propone dunque di addebitare una più alta quota dei costi di servizio ai pazienti più abbienti, mantenendo i servizi gratuiti o a poco prezzo per i meno privilegiati.
Sul tema del diritto al lavoro il Report richiama naturalmente la “Legge Fornero” (n. 92/2012), la quale ha riformato il mercato del lavoro tema sul quale l’Italia aveva ricevuto un anno prima una serie di raccomandazioni attraverso la lettera della BCE (bollata da alcuni studiosi come una intrusione delle istituzioni UE in aree estranee alla loro competenza). La legge risulta aver reso più semplici i licenziamenti ma ha anche cercato di limitare la pratica dell’uso di certi contratti cooperativi, i quali offrono minori tutele rispetto al contratto di assunzione ordinario. I dati mostrano come il provvedimento non sembra essere stato in grado di ridurre la prevalenza di forme di impiego precario nel nostro mercato del lavoro, anche se le condizioni di difficoltà sembrano più che altro determinate dalle cupe aspettative dei datori di lavoro sulla crescita del proprio business e dell’economia italiana in generale. Il Rapporto chiede applicare il salario minimo a tutti i lavoratori, non scoraggiando le assunzioni e garantendo uno standard di vita decente, prevedendo anche programmi pubblici per la formazione continua dei lavoratori.
Il diritto alla pensione, invece, risulta essere stato significativamente segnato dal “Decreto Salva- Italia” (d.l. n. 201/2011), il quale ha modificato i requisiti di accesso alla pensione e la metodologia di calcolo per le pensioni di anzianità. Una riforma resa necessaria da problemi demografici e da vulnerabilità economiche (anzianità della popolazione, produttività, costo del lavoro, evasione fiscale) che, peggiorando con la crisi, hanno reso insostenibile il vecchio sistema (il cui costo ammontava a oltre il 15% del PIL, circa il doppio della media OECD). Il nuovo sistema, che ha ridotto l’accesso al diritto alla pensione ed il suo ammontare, appare sostenibile (benché si segnalino i <<deplorevoli effetti collaterali>> determinati dal fenomeno degli esodati) anche se non del tutto equo sul piano intergenerazionale in quanto, l’applicabilità del nuovo metodo contributivo ai soli periodi lavorativi successivi all’entrata in vigore della legge, va evidentemente a danno dei lavoratori più giovani (che il Report ritiene debbano essere incentivati a realizzare piani di pensione complementare). Si raccomanda all’Italia di adottare il modello contributivo in relazione a ogni periodo di lavoro ed a tutti i lavoratori in modo equo. Si ritiene inoltre che gli ostacoli legali a un intervento di riduzione dell’ammontare delle pensioni di vecchiaia garantite in base alle passate leggi non sarebbero insormontabili.
Altro tema messo sotto la lente dal Rapporto è quello della tutela del diritto di proprietà, a causa dei ritardi delle pubbliche autorità nei pagamenti di beni, servizi e lavori, valutati in media in 170 giorni. Il Rapporto rimarca come l’Italia debba conformarsi alla Direttiva 2011/7/EU, che prevede tempi massimi di 30 giorni (60 per le circostanze particolari).
Il diritto di manifestazione ed assemblea non sembra aver subito limitazioni, anche se il Rapporto richiama i casi di scontri nelle piazze e chiede all’Italia di adottare le misure che consentano l’identificazione individuale dei membri delle Forze dell’Ordine, in linea con quanto richiesto dall’European Code of Police Ethics del Consiglio d’Europa.
In materia di accesso alla giustizia (ambito civile ed amministrativo) il Rapporto sottolinea l’incremento del 92% della tassazione per la presentazione di ricorsi in ambito civile, (i ricorrenti sono tenuti a pagare due volte se i ricorsi vengono respinti o giudicati inammissibili) così come il fatto che l’accesso a copie digitali della documentazione inerenti i propri casi costi, alle parti in sede di giudizio, fino a 306,97 euro. Pur essendo aumentati i fondi per il sostegno legale (+21% circa, pari a 2,57 euro per abitante), tale somma è inadeguata alla media internazionale (8,63 euro) così come all’incremento dei costi. L’attenzione si concentra anche sugli effetti della riforma delle condizioni per appellare le sentenze civili, data anche la forte discrezionalità riconosciuta al giudice da una normativa ritenuta vaga. A tutto questo si aggiungono i tagli alle spese per la giustizia, con la chiusura o fusione di 31 tribunali e uffici della Procura, di 220 sezioni locali e 667 uffici del Giudice di Pace, scelte che possono allontanare i cittadini dalla giustizia ma che, se ben applicate, possono invece rendere più efficiente il sistema. Il Rapporto Raccomanda al nostro Paese di ridurre i costi di accesso alla giustizia, ritenuti inadeguati allo scopo di conseguire il decongestionamento del sistema giudiziario e di ostacolo alla crescita economica, specie per le imprese di minori dimensioni. Si propone invece di aumentare il budget per l’informatizzazione (in Italia ammonta all’1,9% contro il 3,9% della media internazionale) e per la formazione del personale (assente in Italia rispetto a una media internazionale dello 0,9%) nonché di migliorare la qualità di norme e regolamenti, oltre che del funzionamento interno delle istituzioni, allo scopo di ridurre il contenzioso.
Viene altresì fatto notare come nel nostro ordinamento non sia prevista la possibilità per i cittadini di ricorrere direttamente alla Corte Costituzionale, anche qualora una norma violi un diritto fondamentale. Si propone all’Italia di istituire una Commissione Nazionale per la Promozione e la Protezione dei Diritti Umani (in linea con la Risoluzione ONU n. 48/134) e di introdurre una valutazione di impatto ex ante per le proposte legislative più importanti, favorendo la piena informazione e partecipazione dei cittadini e dei gruppi di interesse.
Il Rapporto rileva come molti dei provvedimenti assunti per il contenimento della spesa pubblica abbiano imposto tagli orizzontali indiscriminati che possono anche aver fallito nell’individuare gli sprechi di risorse pubbliche. Si raccomanda, pertanto, di valutare attentamente futuri provvedimenti di spending review o significative riduzioni di spesa pubblica e di basare future riforme su valutazioni preventive del loro impatto, legittimando tutti i processi decisionali attraverso la garanzia della più ampia partecipazione.