La buona educazione/Diseguale, gerarchica e sempre più privata. La scuola del futuro immaginata da Renzi è lo specchio del modello di società che ci attende in cui istruzione, cultura, lavoro e riforme istituzionali separeranno con un filo spinato “chi decide” da chi, posto sotto ricatto, le decisioni è destinato a subirle
Diseguale, competitiva, gerarchica, meritocratica e sempre più privata. È la scuola del futuro immaginata da Renzi. Specchio del modello di società che ci attende in cui istruzione, cultura, lavoro e riforme istituzionali separeranno con un filo spinato “chi decide” da chi, posto sotto ricatto, le decisioni è destinato a subirle.
Le migliaia di insegnanti, studenti, genitori che hanno protestato il 5 maggio contro la riforma de La Buona scuola hanno dato una lezione straordinaria (per rimanere in tema) a chi sostiene che non c’è alternativa alla rassegnazione. Una protesta significativa non solo per le sue dimensioni, ma anche e soprattutto per la sua qualità. Il no al ddl sulla scuola depositato in Parlamento, checché ne dica la Ministra Giannini, non è un no ideologico. Si fonda su un’analisi attenta e minuziosa dei suoi contenuti (e di quelli che mancano), accompagnata da proposte dettagliate che studenti, insegnanti e sindacati hanno tentato di portare all’attenzione del Governo, senza ricevere ascolto.
Un nesso stringente lega la riforma sulla scuola del Governo Renzi al Jobs Act. Vi è un salto di qualità nella mercificazione e privatizzazione dei saperi e scompare l’idea di scuola intesa come spazio pubblico collettivo che educa alla cittadinanza e assume come obiettivo prioritario la garanzia universale del diritto allo studio. La scuola del futuro si intende subordinata alle logiche di mercato e alle esigenze di breve termine di aziende e imprese, interessate a comprimere il costo del lavoro. Sarà buona per pochi nella misura in cui sarà sempre meno pubblica e sempre più privata.
Il Presidente del Consiglio rivendica investimenti sulla Buona scuola “come non si vedevano da anni”. Sarà, ma al momento il Def 2015 non sembra darne conferma. Al di là dei dati congiunturali, contano le scelte di medio e lungo periodo e le previsioni del Def sono chiare: stimano una diminuzione tendenziale dell’incidenza della spesa pubblica totale sul Pil dal 2015 (50,5%) al 2060 (43,3%).
La spesa per istruzione, rapportata al Pil, è data al 3,7% per il 2015 e al 3,5% per il 2060.
Ovvero: per un sistema scolastico pubblico che ha un tasso di abbandono scolastico pari al 18%, strutture fatiscenti, riscaldamenti che non funzionano, borse di studio riservate a pochi, molte scuole con barriere architettoniche che ostacolano l’accesso ai disabili e fa fatica a confrontarsi con gli oltre 803 mila alunni e studenti di cittadinanza non italiana, la scelta è investire sempre meno, confidando sui contributi più o meno “volontari” delle famiglie per garantire servizi essenziali (persino la carta igienica) e sul 5 per mille che potrà essere devoluto alle scuole.
Oppure si dirottano famiglie e studenti verso le scuole private grazie alla previsione di sgravi fiscali fino a 400 euro per studente. Tutto ciò mentre cresce in modo preoccupante il numero di giovani che non studiano e non lavorano (ormai più di 4 milioni di persone).
Non stupisce allora che la protesta del 5 maggio abbia trovato un consenso così ampio anche nell’opinione pubblica. E’ in gioco la possibilità che sia bandita una volta per tutte qualsiasi chance di mobilità sociale. Se il Ddl in Parlamento non viene fermato, chi nascerà nei quartieri periferici o nel Mezzogiorno del paese e non avrà la fortuna di avere genitori ricchi, sarà destinato a frequentare scuole povere e poco qualificate. E se avrà il privilegio di trovare un lavoro, il figlio di operaio potrà, se va bene, fare l’operaio, oppure accontentarsi di un voucher.
La scuola insegnerà sempre meno a pensare e, dunque, come scriveva Gramsci, sarà sempre più difficile controllare chi ci governa.