Ci ha lasciati Don Franco Monterubbianesi, fondatore della Comunità di Capodarco. Il suo impegno ha permesso di rivoluzionare l’assistenza alle persone con disabilità, promuovendo un modello comunitario fondato sulle pari dignità tra assistenti e assistiti e sul protagonismo di questi ultimi.
La morte di don Franco Monterubbianesi a Capodarco di Fermo è un lutto per tutti coloro che si sono occupati e si occupano del cosiddetto “sociale”, supplendo alle mancanze dello Stato ma anche inventando ed elaborando modelli e strategie nuove, in stretto confronto con le istituzioni, dall’interno – ma non solo – di una idea moderna di “carità” proposta anche in molti ambiti della Chiesa. È nel 1966 che la Comunità da lui fondata ha preso vita, con un modello di intervento su base decisamente comunitaria e paritaria.
Quando tanti anni fa don Franco accompagnava con altri preti dei gruppi di persone con disabilità a Lourdes, sul treno del ritorno alcuni di loro criticarono il modello di carità di cui erano sia debitori che prigionieri. Partì di lì la ricerca di un modo nuovo di agire. E fu grazie soprattutto a don Franco che si radunarono a Capodarco – un piccolo comune nelle Marche, sulle colline che sovrastano Fermo, in una villa concessa dalla buona volontà di chi l’aveva ereditata – alcune persone con disabilità e due o tre preti e qualche volontario a creare un ambiente vivibile e gratificante non solo fisicamente, ma anche socialmente, culturalmente, moralmente.
Tutto questo nel contesto di in un modello di gestione comunitaria che vedeva alla pari le persone con disabilità stufe di una carità pelosa, preti e volontari, alcuni dei quali con precise e adeguate competenze professionali. Quel modello di vita comunitaria attribuiva pari diritti e doveri agli assistiti come ai loro assistenti – “da ciascuno secondo le sue possibilità e capacità, e a ciascuno secondo le sue necessità”: un’antica formula che diventava finalmente, per una volta, realtà…
Tra i primi sacerdoti conquistati da don Franco vi fu don Vinicio Albanesi, per le sue indubbie capacità organizzative e per la sua attenzione a una pratica reale di democrazia, e don Angelo Fanucci, artefice di un’esperienza similare a Gubbio, e altri gruppi nacquero nel Nord e nel Sud. Si staccò dal movimento, per la varietà e il numero delle sue attività, la comunità di Lamezia Terme “Progetto Sud”, tra le esperienze più solide e inventive nella galassia delle iniziative assistenziali e bensì comunitarie, su spinta di un altro degno sacerdote, don Giacomo Panizza.
Grazie al movimento di Capodarco molte leggi cambiarono e cambiarono le condizioni di vita delle persone con disabilità. Con una accorta azione di convincimento presso senatori e deputati e presso i partiti politici più disponibili, vennero votate nuove leggi e, in buona sostanza, tantissimo cambiò nella legislatura e nell’intervento pubblico in materia di disabilità. Mi capitò di scrivere diversi anni fa che le categorie sociali che videro più modificata la considerazione in cui la società (e la politica) le tenevano sono state, negli ultimi decenni, quelle delle persone con disabilità e – più o meno parallelamente – quella delle minoranze sessuali.
Crescendo, Capodarco inventò persino un premio per operatori e per artisti e intellettuali che andavano occupandosi del “sociale” e si iniziarono a organizzare campi di giovani, cooperative di lavoro, seminari e convegni. Don Franco lasciò ad altri la direzione del “movimento di Capodarco” e si occupò negli anni preferibilmente di Africa, andando e tornando dal continente e seguendo iniziative che portavano infine una stessa impronta, una stessa matrice, il “modello Capodarco”.
* La foto di Don Franco Monterubbianesi che accompagna questo articolo è tratta dal sito della Comunità di Capodarco