Ttip/1. Dopo lunghe e segrete trattative, l’accordo transatlantico tra Usa e Ue per la liberalizzazione di commercio e investimenti è in dirittura di arrivo. È stato chiamato la Nato del commercio, spalanca le porte alla deregulation e lascia mani libere alle multinazionali
A Marzo a Bruxelles, poco prima delle elezioni europee di maggio dove c’è il rischio di un’impennata dei partiti euro-scettici, si aprirà il quarto round del mega-negoziato Usa-Ue per arrivare già entro il 2015 a concludere il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), battezzato la Nato del commercio dai suoi numerosi detrattori. In altri termini, un accordo che avrà influenza sugli scambi tra le due principali potenze commerciali planetarie, che assieme controllano circa la metà del commercio mondiale, è condotto nella più completa segretezza, senza che i cittadini (e neppure gli europarlamentari) siano informati delle decisioni che vengono prese. Dando cosi’ nuovi argomenti agli euro-scettici, perché lo scopo della segretezza sembra essere quello di mettere il nuovo europarlamento di fronte al fatto compiuto.
A dicembre, c’è stato il terzo round, a Washington. Dal tavolo del negoziato, su pressione della Francia, è stato tolto il settore culturale, anche se la Commissione europea ha attenuato questa eccezione, con il commissario al commercio Karel De Gucht che ha parlato di possibile reinserimento del settore dell’audiovisivo nel corso delle discussioni. Inoltre, dopo le polemiche sul datagate e lo spionaggio degli europei da parte della Nsa, che nel giugno scorso hanno minacciato di ritardare l’avvio della trattativa sul Ttip, è stato sospeso il capitolo sulla protezione dei dati privati su Internet, come chiedeva la Ue.
A dicembre, 180 organizzazioni di cittadini e sindacali hanno scritto una lettera preoccupata al commissario Karel De Gucht e al rappresentante Usa per le questioni commerciali, Michael Froman. In questa lettera, firmata dalla Ces (Confederazione europea dei sindacati) e dall’americana Afl-Cio, vengono espresse “gravi inquietudini” per i sistemi nazionali di sanità. “E’ imperativo che questi accordi di commercio e di investimento sfocino su economie supplementari per i pazienti e i budget nazionali, invece di arricchire ancora di più alcune imprese farmaceutiche e medicinali. La sanità pubblica, come l’accesso a medicine e a cure abbordabili, sono diritti umani che devono essere rafforzati dagli accordi commerciali”, scrivono i sindacati, che temono che nel Ttip vengano riprodotti i termini dell’intesa Usa-Corea (Korus), che permette ai produttori di contestare le decisioni delle autorità sanitarie nazionali sui valori dei prodotti farmaceutici e di esigere montanti di risarcimento più importanti, nel caso si sentano lese da prese di posizione politiche degli diversi stati. I sindacati sono sospettosi sugli effetti della clausola di protezione degli investimenti (Investor-State Dispute Settlement), che permetterebbe alle imprese che si sentono lese da un cambiamento di legislazione di uno stato di rivolgersi a un tribunale arbitrale – cioè a una giustizia “privata”, probabilmente presso la Banca mondiale – per chiedere riparazioni.
Stando a una fuga di notizie, che ha spezzato un po’ il muro di segretezza del negoziato, nel Ttip ci sarebbe una clausola che istituisce un meccanismo di regolamento dei conflitti “ultimo grido”. Ci sono esempi, che potrebbero venire riprodotti nelle relazioni Usa-Ue: la Philip Morris ha denunciato l’Uruguay, accusato di aver aumentato la dimensione degli avvertimenti sanitari sui pacchetti di sigarette. C’è poi il famoso caso della Lone Pine Resources, che ha attaccato il Canada, perché lo stato del Quebec ha istituito una moratoria sullo shale gas, privando cosi’ l’azienda Usa dei previsti guadagni. Per Dan Mullaney, negoziatore Usa, il Ttip ricerca “il più alto livello di protezione” per gli investimenti, eliminando le “divergenze inutili e costose” che permangono tra Stati uniti e Ue. Il negoziatore Ue, Ignacio Garcia Bercero, vuole rassicurare: “la deregulation non è e non sarà l’obiettivo del Ttip” promette, il Ttip “non limiterà il campo d’azione dei governi”, perché “questi negoziati non consisteranno nell’abbassare o rinnegare le norme più elevate di protezione dei consumatori, dell’ambiente, della vita privata, della salute e del diritto del lavoro”. Ma la ong statunitense Public Citizen lancia l’allerta e avverte che la trattativa è alla ricerca “del più piccolo denominatore”, per spianare la strada a uno spazio di libero commercio, che lascerà le mani libere alle multinazionali. In un contesto in cui gli stati stanno perdendo terreno, il Ttip mira a limitare il più possibile le barriere non tariffarie (quelle tariffarie sono già quasi inesistenti), favorendo di fatto le grandi imprese, in un commercio mondiale caratterizzato da una grande concentrazione (i primi dieci operatori Usa controllano il 96% dell’export del paese, nella Ue le prime dieci società esportatrici ne controllano l’85%).
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