Bric/La Russia è sempre sotto lo shock della fine dell’Unione sovietica. L’ex seconda potenza mondiale è divenuta un paese simile alle monarchie del petrolio
Premessa
Quando nel 2001 J. O’ Neill, capo economista della Goldman Sachs, inventò il concetto di Bric, inserì nel gruppo dei paesi che facevano parte del raggruppamento anche la Russia, che allora, dopo una lunga crisi succeduta al crollo del sistema comunista, stava cominciando da qualche anno a svilupparsi di nuovo e presentava una serie di atout che sembravano molto rilevanti ai fini delle prospettive future.
Oggi, con il senno di poi, tale inserimento potrebbe anche essere contestato, visti i risultati complessivi, per alcuni aspetti almeno, non convincenti di tale economia, ma si può per lo meno mantenere il beneficio del dubbio per un paese che possiede alcune caratteristiche – popolazione importante, risorse di materie prime enormi, territorio vastissimo, buon livello di istruzione, rilevanti conoscenze scientifiche, almeno in alcuni settori –, che potrebbero costituire la base di una crescita economica molto importante se solo venissero rimossi alcuni gravi ostacoli sociali e politici.
In effetti, con un governo autoritario, con delle istituzioni inefficienti e corrotte, con un forte peso della criminalità economica, con un livello della popolazione fortemente declinante, le sue prospettive sembrano per molti aspetti problematiche; bisogna peraltro riconoscere che anche un paese come l’India, che presenta anch’esso delle caratteristiche che potrebbero ostacolare fortemente i suoi processi di crescita, vede la sua economia svilupparsi invece a ritmi molto sostenuti.
La crescita dell’economia dal crollo del comunismo a oggi
La Russia è passata nei primi anni novanta, in pochissimo tempo, da un sistema di economia amministrata a uno di tipo capitalistico attraverso l’adozione di una terapia shock – fine dei prezzi amministrati, liberalizzazione dei mercati, privatizzazione delle attività appartenenti allo stato e al partito –, che ha portato a una configurazione particolare del sistema economico, che è stata denominata come “capitalismo oligarchico”. In effetti le privatizzazioni si sono tradotte nella costituzione di monopoli economici controllati da un ristretto gruppo di nuovi ricchi, spesso fortemente legati a qualche clan politico (Rigaud, 2010).
Il subitaneo caotico mutamento del modello economico e politico ha fatto cadere fortemente, tra il 1992 e il 1998, il pil. Così, posto a 100 lo stesso pil nel 1991, esso era sceso a 60,7 nel 1998, mentre gli investimenti delle imprese crollavano nello stesso periodo di circa l’80% (Vercueil, 2010) e l’inflazione colpiva duramente.
Sul piano sociale si registrava un forte aumento delle diseguaglianze, con l’indice di Gini che aumentava del 46% in pochi anni. Si aggravava, più in generale, la situazione sociale e sanitaria della popolazione russa e anche la speranza di vita diminuiva in maniera vistosa. Peraltro si è registrata una soltanto lenta crescita del tasso di disoccupazione, con la sostanziale sostituzione dei possibili licenziamenti con una “semplice” riduzione dei salari. Questa caratteristica ha contribuito a mitigare le conseguenze negative che hanno accompagnato il passaggio all’economia di mercato (Gudkov, Zaslavsky, 2010).
Dal 1999 in poi la situazione mostra segni di netto miglioramento. Da una parte si registra una certa stabilizzazione delle istituzioni politiche, dopo un ricambio al vertice, mentre anche la svalutazione della moneta e soprattutto un prezzo del petrolio che a partire dal 1999 comincia ad aumentare in misura rilevante contribuiscono a questo mutamento.
Così dal 1999 al 2008 il tasso di crescita annuo del pil si colloca intorno al 7%; la bilancia commerciale diventa fortemente eccedentaria; il tasso di inflazione scende a livelli più ragionevoli.
Il modello di sviluppo
Si può affermare che il modello di sviluppo russo appare riconducibile, almeno nel primo decennio del nuovo millennio, a diverse specificità (si veda in proposito soprattutto Caselli, 2010):
• importanza fondamentale del settore energetico. La crescita dell’economia è fortemente dipendente dall’andamento dei prezzi del petrolio, del gas e dei metalli, ciò che la rende fortemente collegata all’andamento dell’economia internazionale;
• per contro, si registra una rilevante debolezza del settore manifatturiero, poco competitivo e poco diversificato. È anche da registrare la bassa efficienza e la debole produttività del settore agricolo;
• forte aumento, a partire dal 2003-2004, dell’intervento dello stato nell’economia, in particolare con una maggiore presenza in alcuni settori definiti come strategici, nonché con un ruolo di orientamento nei confronti dell’iniziativa privata. Per altro verso, si può affermare che lo sviluppo del paese è affidato all’intreccio molto forte tra settore pubblico e settore privato, con la formazione di alcune reti pubblico-privato che gestiscono di fatto il paese e che contribuiscono a determinare una grande concentrazione del potere. La definizione del sistema russo oscilla tra quella di “capitalismo oligarchico” e quella di “capitalismo di stato”, con questa seconda espressione che sembra diventare più aderente alla realtà nell’ultimo periodo;
• rilevante apertura dell’economia verso l’esterno. Tra l’altro, si registra una forte dipendenza dai mercati internazionali per il finanziamento del settore privato e sono anche da ricordare i notevoli investimenti delle grandi imprese nei paesi stranieri, mentre una buona parte dei miliardari russi mantiene gran parte delle proprie fortune off-shore. Soltanto nel primo trimestre del 2011, 21 miliardi di dollari sono stati inviati all’estero (Belton, 2011);
• la parte privilegiata della società russa ha raddoppiato il livello della sua ricchezza negli ultimi vent’anni, mentre i due terzi circa della popolazione non sta meglio di prima e la sua frazione più povera possiede soltanto la metà della ricchezza che essa aveva quando l’Unione sovietica è crollata (Parfitt, 2011);
• a livello politico si registra la presenza di uno stato autoritario, accompagnata da fenomeni di corruzione, anche del sistema giudiziario, di criminalità, di spreco di risorse e di inefficienza diffusa. Il costo delle tangenti nell’economia russa è stimato al livello di 200 miliardi di sterline all’anno, una cifra uguale all’intero pil della Grecia (Preston, 2010). Per altro verso le carte di Wikileaks mostrano un paese che è definito come “un virtuale stato mafioso”.
Si può trarre così la conclusione che la strada dello sviluppo dovrebbe passare, tra l’altro, per una riduzione nei livelli di corruzione e criminalità, per un migliore equilibrio dei vari settori produttivi, inoltre per un maggiore spazio, da una parte, per la piccola impresa, dall’altra per la messa in piedi di un sistema bancario e finanziario più credibile, nonché infine per una migliore distribuzione della ricchezza.
Il ruolo del petrolio
Come scrive Vercueil, 2010, il petrolio e il gas contribuiscono in misura sproporzionata al pil, alle esportazioni, alle entrate in divisa e a quelle fiscali, ai profitti e agli investimenti del paese, mentre essi assorbono una parte fondamentale delle risorse dell’economia – in termini di competenze, di finanziamenti, di infrastrutture –, lasciando poco spazio allo sviluppo di altri settori. Il comparto ha poi pochi effetti diffusivi sul resto dell’economia, mentre invece contribuisce, attraverso l’afflusso nel paese di importanti quantità di divise, a tenere alto il livello del tasso di cambio, ciò che limita la competitività internazionale dell’economia.
Si mostra ancora una volta, dopo i molti casi di paesi del Medio Oriente e dell’Africa, come l’esistenza al suo interno di grandi risorse energetiche non significhi certamente e automaticamente che un paese riesca a imboccare con sicurezza la via di uno sviluppo adeguato. Per altro verso, il paese somiglia più a un’autocrazia petrolifera medio-orientale che a un moderno stato europeo (Clover, Bunkley, 2011).
Lo sfruttamento delle risorse siberiane
Una delle più grandi opportunità per la crescita del paese è costituita dal possibile sfruttamento delle grandi risorse della Siberia. Ma ci si trova di fronte a rilevanti ostacoli, in particolare quelli della mancanza di infrastrutture nonché di abitanti.
La Russia da sola non riesce a intervenire in maniera adeguata. Sarebbero molto interessati allo sfruttamento delle risorse siberiane in particolare i giapponesi e i cinesi; mentre i primi hanno nel Novecento coltivato a lungo l’idea di un’occupazione di quelle terre, i secondi possiedono 3.300 chilometri di frontiera con la Russia. Essi avrebbero inoltre i capitali e anche le persone necessari al compito. I cinesi sarebbero così il partner più naturale per la Russia.
Ma permane una grande reticenza degli stessi russi ad accettare l’idea di una stretta collaborazione tra i due paesi, con un interlocutore per loro molto ingombrante. Anzi, si tendono a porre ostacoli all’insediamento di cittadini cinesi nell’area, anche per periodi temporanei. Ma senza i cinesi la regione non si svilupperà (Morarjee, 2011).
Su di un fronte più generale, si pone per il paese la scelta di una politica delle alleanze più chiara: da una parte ci si ritrova con le opportunità apparentemente offerte dalla Cina, dall’altra con una parallela spinta a sviluppare i rapporti con l’Europa. Si è parlato di una possibile stretta intesa strategica con la Germania, ma le potenzialità economiche di tale possibile scelta tardano a materializzarsi in misura adeguata.
Sviluppi recenti e prospettive
La Russia è il paese tra i Bric che ha sofferto di più dello scoppio della crisi: c’è stata, tra l’altro, una forte caduta del prezzo del petrolio.
Così nel 2009 il pil è diminuito di ben il 7,9% rispetto all’anno precedente, mentre il deficit del bilancio pubblico ha toccato il 7% dello stesso pil, il tasso di inflazione è andato oltre il 9% mentre il livello della disoccupazione è salito all’8%.
Peraltro, nel 2010, grazie anche a rilevanti misure di sostegno pubblico, si assiste a una ripresa e lo sviluppo del pil si aggira intorno al 4,0%; anche le esportazioni e le riserve valutarie hanno ricominciato a crescere, mentre è diminuita un po’ la disoccupazione, che oggi si colloca intorno al 7,1%. Per il 2011 e il 2012 si prevede ancora una crescita del 4,0-4,5%. Si tratta, in ogni caso, di tassi di sviluppo nettamente inferiori a quelli precedenti alla crisi e non tali da permettere di raggiungere presto il livello di sviluppo delle economie avanzate. Tanto più che il livello dell’inflazione si mantiene alto, intorno al 6-7%.
Al di là degli eventi congiunturali, le vicende degli ultimi anni hanno dimostrato la fragilità dell’economia del paese. Oltre alla troppo forte dipendenza dal settore energetico, si può anche ricordare il fatto che gli investimenti lordi dell’economia russa non hanno mai superato il 20% del reddito, una percentuale di gran lunga minore di quella indiana e ancora di più di quella cinese (Caselli, 2011). Tra l’altro, le sue infrastrutture fisiche sono, almeno in parte, vicine al collasso.
Su di un altro fronte, bisogna ricordare le grandi differenze di sviluppo tra le varie aree del paese, con le grandi città, in particolare Mosca, i cui livello di reddito si vanno avvicinando a quelli delle metropoli dell’Europa occidentale e il resto del paese che rimane molto indietro.
Così si dibatte da tempo sulla necessità e sulle modalità di un’azione di modernizzazione dell’economia. Nel 2008, il ministro dello sviluppo economico, E. Nabulova, ha lanciato un piano che prevede di trasformare in vent’anni l’economia, oggi basata sull’estrazione di gas e petrolio, sino a farla diventare invece una grande produttrice di manufatti ad alto contenuto di conoscenza, avvicinando parallelamente il livello di reddito pro-capite russo a quello dei paesi occidentali.
Nel febbraio 2011 lo stesso presidente Medvedev ribadiva la volontà di trasformazione, sottolineava la necessità di trasformare Mosca in un centro finanziario internazionale e annunciava la creazione di una città della scienza come centro propulsore della costruzione della nuova economia. Su di un altro piano, si sottolinea la necessità di passare entro il prossimo decennio a un rapporto tra investimenti e reddito al 30%.
Ma l’obiettivo di una trasformazione sostanziale appare perseguibile con molte difficoltà se non vengono risolti almeno alcuni dei principali nodi che frenano la crescita del paese.
Testi citati nell’articolo
Belton C., Financial reform: rise in credibility is overdue, www.ft.com, 27 aprile 2011
Caselli G., Quale futuro per l’economia russa?, www.eastonline.it, n.33, 2010
Clover C., Bunkley N., Russia: Shades of difference, www.ft.com, 12 maggio 2011
Gudkov L., Zaslavsky V., La Russia da Gorbaciov a Putin, Il Mulino, 2010
Morajee R., China-Russia relations: Siberia waits for a thaw in border politics, www.ft.com, 27 aprile 2011
Parfitt T., Russia rich double their wealth, but poor were better off in 1990s, www.guardian.co.uk, 11 aprile 2011
Preston A., New markets, new rules, www.newstatesman.com, 9 dicembre 2010
Rigaud P., Les Bric, Editions Bréal, 2010
Vercueil J., Les pays émergents, Editions Bréal, 2010