Top menu

Il paese con un mattone al collo

L’introduzione, dal 2014, della service tax aiuterà i grandi operatori del mercato immobiliare, che non sanno più a chi vendere gli smisurati quartieri che hanno costruito

Confermando la cancellazione della prima rata dell’Imu 2013, rinviando alla legge di stabilità la decisione sulla seconda rata e spostando sulla “service tax” il compito di sostituire l’Imu nel 2014, il governo Letta-Alfano non ha solo ribadito la sua abilità sopraffina nella tattica del rinvio. È vero, di fatto non c’è ancora nulla di nuovo, tant’è che la Commissione europea aspetta lumi sulle coperture finanziarie prima di pronunciarsi sulla sparizione dell’Imu dall’orizzonte dei conti fiscale 2013. Ma questo non vuol dire che siamo al nulla di fatto: c’è molto di fatto, e tutto in negativo. Cioè in senso esattamente contrario alla equità tra cittadini, tra generazioni, tra territori. E dunque, in senso opposto a quello che un partito di pur vaga collocazione a sinistra come il Pd dovrebbe volere, e che infatti pur vagamente aveva scritto nei suoi programmi e promesso ai suoi elettori. Per questo, al di là della maggiore abilità propagandistica, sull’Imu ha davvero vinto la destra.

Partiamo dalla fine, cioè dal 2014 e dalla fantomatica “service tax”. Che non è l’ennesimo cambio di nome della stessa cosa, ma uno spostamento: da imposta pagata dai proprietari (cioè patrimoniale) come Ici e Imu, a imposta pagata da chi vive in una casa, cioè anche gli inquilini. Perché l’abolizione dell’unica patrimoniale esistente in Italia? In linea generale, i motivi per la sopravvivenza di un’imposta patrimoniale sugli immobili c’erano e ci sono tutti. Nei testi di scienza delle finanze, nella realtà di tutto il mondo civile, a maggior ragione in quella italiana dove tra l’altro lo chiederebbe anche la Costituzione, che chiede di commisurare le tasse alla capacità contributiva. E non c’è dubbio sul fatto che chi possiede una casa ha maggiore capacità contributiva di chi non ce l’ha. Semmai è necessario discutere di come esentare una fascia di proprietari poveri, con scarso reddito: ma solo di questi, non di altri. Invece, l’Imu sulla prima casa è abolita per tutti (quest’anno la pagheranno solo i proprietari di ville e castelli, se non li hanno truccati al catasto facendoli risultare come stalle).

Attenzione, la differenza e lo scontro non passano solo tra proprietari e inquilini intesi come classi sociali, in linea orizzontale: dopo le politiche dissennate di sparizione dell’edilizia pubblica, degli incentivi a comprare case con mutui oltre il 100% e dei numerosi disincentivi all’affitto, la legge dei numeri sta dalla parte dei primi, i proprietari. Ma a uno sguardo diverso, in verticale, che guardi alle generazioni, le cose cambiano completamente. I giovani sono tutti inquilini o potenziali tali, salvo i figli delle famiglie con più di una casa. (i numeri sono qui: https://sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/La-casa-al-centro-i-giovani-al-margine-16403). Tra gli under 30, la maggioranza è danneggiata dal decreto Letta-Alfano. Un’ulteriore conferma del fatto che la retorica giovanilista dispensata all’insediamento del governo dell’under 50 Letta era, appunto, retorica. E non basta certo, per riequilibrare i pesi, riavviare la macchina dei mutui a vita, con gli incentivi a indebitarsi per comprare casa: non tutti potranno farlo, e non è detto che sia desiderato e desiderabile l’aumento dell’esercito dei proprietari. Certo aiuterà i più grandi operatori del mercato immobiliare, che non sanno più a chi vendere gli smisurati quartieri che hanno costruito alle periferie delle nostre città.

In proposito, arriva la ciliegina sull’indigesta torta dell’Imu: sulle case nuove, costruite e invendute, non si pagherà l’Imu. Cioè i costruttori risparmieranno qualcosa come 35 milioni (nel complesso), a fronte di un patrimonio invenduto che si aggira sugli 1,5 miliardi (stime riportate dal Sole 24 ore, 29/8/2013). Riepilogando: un giovane precario e senza casa, che va a vivere da solo facendo i salti mortali ogni mese per pagare l’affitto, pagherà la nuova Imu; Caltagirone e i suoi colleghi, che hanno costruito case che non riescono a vendere, correndo quello che dovrebbe essere il normale e fisiologico rischio d’impresa, non la pagheranno. In compenso, quelli che il rischio d’impresa lo pagano sempre, cioè i lavoratori dipendenti e non, sono del tutto scomparsi dalla scena: alla cassa integrazione, agli esodati andranno le briciole che restano dopo aver trovato le coperture dell’Imu; agli atipici, precari, indipendenti neanche quelle.

L’effetto redistributivo della manovra è evidente e plateale anche prima che arrivino i dettagli che preoccupano la Commissione Ue, i custodi del tetto del 3% del rapporto deficit/Pil: se è chiaro che per la prima rata lo sgravio dell’Imu è stato pagato un po’ prendendo soldi dal 2014, un po’ con tagli veri e trucchetti vari, non è ancora chiaro come sarà pagata l’abolizione della seconda tranche. Fondi dormienti tagli semi-lineari: i giornali abbondano di termini fatti apposta per respingere i lettori. Per ora di certo c’è una sanatoria sui gestori dell’unico affare che va in Italia, le slot machine: erano protagonisti di un lungo contenzioso con lo Stato, al quale addirittura dovrebbero 2,5 miliardi, gli si chiede di pagare “pochi maledetti e subito” 600 milioni, e nessuno più ci dirà che aveva ragione e chi torto in quel processo. Del resto, a che servono i processi?