Per attuare il decreto per la ricostruzione del Ponte Morandi serviranno altri 43 decreti attuativi. Ma soprattutto serve un’idea di città resiliente e sostenibile per il futuro. A Genova e non solo lì.
A quasi tre mesi dal crollo del Ponte Morandi con i suoi 43 morti e centinaia di sfollati, la magistratura prosegue le sue indagini sulle cause e le responsabilità, mentre il Parlamento si è occupato a più riprese del disastro e della ricostruzione, con audizioni, mozioni ed infine con il decreto legge Genova (Dl 28 settembre 2018, n. 109), approvato alla Camera in prima lettura il 31 ottobre e ora all’esame del Senato. A smentita degli annunci iniziali del governo e di Autostrade per l’Italia, in cui tutto sarebbe stato svolto in modo rapido, si prosegue tra polemiche continue e aggiustamenti di tiro, sia per le divergenze dentro la maggioranza e sia per la complessità delle misure da realizzare, ampiamente sottovalutate nei primi annunci.
Riprova ne sia che a differenza degli applausi per il governo durante i funerali delle vittime, a fine settembre sfollati e genovesi hanno contestato il ministro Danilo Toninelli leggendo la prima stesura del decreto legge di aiuti, così come è avvenuto con il braccio di ferro sulla nomina del commissario straordinario per la ricostruzione che ha visto bruciare nomi già indicati per poi ricadere sul sindaco di Genova Marco Bucci. O ancora con le divergenze tra il governo Giuseppe Conte e il presidente della Regione Liguria sul ruolo di Aspi nella ricostruzione del ponte Morandi ed il ruolo della stessa Regione nella gestione dell’emergenza.
Estremamente pesanti le critiche del presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone al testo del decreto legge Genova approvato in Consiglio dei ministri, in cui si consentiva la ricostruzione in deroga a tutte norme vigenti, incluse quelle antimafia, creando preoccupazione per le infiltrazioni e la corruzione che potrebbe essere alimentata dagli investimenti e movimenti terra dei lavori. Una misura che a seguito della segnalazione dell’Autorità Anticorruzione è stata parzialmente corretta dalle modifiche approvate in Parlamento.
Cosi come giova ricordare che il decreto legge Genova è diventato un decreto omnibus su cui sono state inserite vergognose misure per il condono edilizio ad Ischia, un altro condono per le zone terremotate del 2016 nel centro Italia e la possibilità di sversare nei campi fanghi ripieni di idrocarburi di cui è stato innalzato appositamente il limite.
La Commissione ispettiva istituita subito dopo la tragedia dal ministro Toninelli al Mit (ridimensionata per le dimissioni di alcuni esperti e responsabili di uffici pubblici che sono poi risultati coinvolti nelle indagini dalla magistratura) ha consegnato a fine settembre le sue conclusioni. “Il rischio di crollo del ponte Morandi a Genova era evidente già negli anni scorsi, e ancor più lo era nel progetto di retrofitting di Autostrade del 2017. Eppure il concessionario ha sottovalutato “l’inequivocabile segnale di allarme”, ha “minimizzato o celato” la gravità della situazione al ministero delle Infrastrutture, e “non ha adottato alcuna misura precauzionale a tutela dell’utenza”. È quanto si legge nelle nette conclusioni della relazione della commissione Mit, ovviamente contestata da Autostrade per l’Italia che le ha definite “mere ipotesi”.
L’indagine della magistratura prosegue e si aggravano le accuse
E’ dal 14 agosto che le indagini della magistratura di Genova vanno avanti senza sosta sulle cause e le responsabilità del crollo del Ponte Morandi, con 21 persone e 2 società – Aspi e Spea – iscritte nel registro degli indagati. Ma a fine ottobre le posizioni si sono aggravate perché più si approfondiscono le indagini, più i magistrati si sono convinti che Autostrade per l’Italia, la Spea (società di Aspi addetta a progettazione e monitoraggio della rete), il provveditorato alle Opere pubbliche della Liguria e il ministero delle Infrastrutture, avessero la percezione “dell’ammaloramento del ponte Morandi”: in pratica sapevano che fosse a rischio crollo, anche se ” ritenevano di poterlo evitare”. A seguito di queste indagini, la procura di Genova ha cambiato il capo di imputazione: non devono rispondere più solo di omicidio colposo, disastro colposo e attentato colposo alla sicurezza dei trasporti, ma di “colpa cosciente”. Si tratta di «un reato che contempla una aggravante», ha precisato il procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio, infatti in caso di condanna gli imputati avrebbero l’aumento di pena di un terzo. Non resta che vedere gli sviluppi dell’inchiesta, molto complessa, sull’accertamento delle cause e delle responsabilità.
Il decreto legge Genova per la ricostruzione
È diventato un maxi decreto da 60 articoli il decreto legge “Genova”, anche detto “Urgenza” (DL 28 settembre 2018, n. 109) approvato dalla Camera in prima lettura il 31 ottobre 2018: ora il testo passa ora all’esame del Senato e deve essere convertito in legge entro il 27 novembre. Il provvedimento contiene le misure per la ricostruzione del Ponte Morandi crollato e quelle di indennizzo degli sfollati, dei cittadini e delle imprese di Genova danneggiate dal crollo. Il decreto stanzia complessivamente 630 milioni di euro, di cui 360 milioni per la ricostruzione del ponte e per le nuove case degli sfollati, oneri che secondo il testo dovrà comunque pagare Autostrade per l’Italia – e 270 milioni per minori tasse, zona franca urbana, e sostegni alle imprese. Il disegno di Legge di Bilancio 2019, appena arrivato in Parlamento, aggiunge poi altri 460 milioni di euro: 160 in due anni per indennizzi agli autotrasportatori, 100 in due anni ancora per la “Zona franca urbana”, 200 milioni per il piano di sviluppo portuale.
L’articolo 1 del decreto legge prevede la nomina, da parte del presidente del Consiglio, di un commissario straordinario per la ricostruzione del ponte Morandi e della viabilità connessa. Il 4 ottobre scorso il presidente Conte, dopo un lungo tira e molla delle forze politiche di governo, ha annunciato la nomina a commissario del sindaco di Genova Marco Bucci, ma il Dpcm non è ancora uscito in Gazzetta e serve un altro Dpcm per la costituzione della struttura di supporto al commissario.
L’articolo 1-bis, aggiunto con un emendamento alla Camera, stabilisce gli indennizzi per i proprietari di case da demolire, oggi sfollati, mentre l’articolo 1-ter stabilisce che il commissario debba individuare subito i tratti autostradali A7 e A10 funzionalmente connessi al viadotto Polcevera, che Autostrade per l’Italia deve immediatamente consegnare al commissario. Una sorta di revoca della concessione ad Aspi su questo tratto incriminato, in modo da consentire un rapido avvio della ricostruzione e limitare il contenzioso. La norma stabilisce che spetta ad Autostrade per l’Italia, non solo pagare la ricostruzione del ponte, ma anche pagare tutti gli indennizzi agli sfollati, per il trasloco e la nuova casa.
I poteri del commissario sono praticamente illimitati, con possibilità di deroga a ogni norma di legge extra penale, ma a seguito della segnalazione del presidente dell’Anac Raffaele Cantone, la Camera ho modificato il testo e ha stabilito che il commissario deve rispettare il codice antimafia (Dlgs 159/2011), con procedure però accelerate per il rilascio del certificato antimafia da parte delle prefetture da stabilire con decreto del ministro dell’Interno. Aspi dovrà pagare entro 30 giorni dalle richieste del commissario, e in caso di diniego quest’ultimo potrà chiedere anticipazioni a banche garantendo la restituzione con le coperture indicate in bilancio (360 milioni di euro).
Per l’affidamento degli appalti (demolizione, progettazione del nuovo ponte, lavori di ricostruzione), il commissario Bucci non potrà assegnare alcun incarico ad Autostrade o società controllate/collegate, ma ogni altra esclusione anche di altre concessionarie, è stata eliminata rispetto al testo iniziale.
Il decreto nulla dice rispetto alle modalità di affidamento, ma il commissario Bucci ha già precisato che farà gare semplificate, dai tempi stretti, a inviti: saranno invitate 5-10 imprese per ogni incarico, scegliendo le migliori sul mercato, e affidando la scelta a una commissione di tecnici esterni.
Ancora non è chiaro poi quale sarà il ruolo di Fincantieri, che in un primo tempo secondo diverse dichiarazioni del governo, sembrava dovesse essere il principale attore e gestore della ricostruzione del Ponte.
Altre misure del decreto su infrastrutture, sicurezza e regolazione
Il decreto legge contiene altre misure più generali ma sempre riferite alle infrastrutture, sicurezza e regolazione. Un articolo impone a tutte le concessionarie autostradali di avviare subito un’attività «di verifica e messa in sicurezza di tutte le infrastrutture viarie oggetto di atti convenzionali, con particolare riguardo ai ponti, viadotti e cavalcavia», da concludere entro 12 mesi.
Una novità inserita nel decreto – all’articolo 12 – è l’istituzione di una nuova Agenzia per la sicurezza ferroviaria e stradale/autostradale (ANSFISA). In sei mesi dovrà accorpare ANSF, l’attuale Agenzia per la sicurezza ferroviaria, con nuove figure e nuove competenze sulla rete stradale e ferroviaria, a cui sono destinati oneri per 22 milioni di euro all’anno. Avrà compiti di regolazione, ispezione e sanzioni sui gestori delle reti, ai fini della sicurezza.
Per rafforzare le capacità di vigilanza da parte del ministero delle Infrastrutture sullo stato delle opere pubbliche viene istituito il nuovo Archivio informatico nazionale delle opere pubbliche (AINOP), una banca dati alimentata dai soggetti gestori, aggiornata costantemente e con sperimentazione anche di sensori posti sulle infrastrutture e connessi in tempo reale. A questo scopi il decreto autorizza l’assunzione di 200 nuovi tecnici al Mit (ministero dei Trasporti), con oneri per 7,2 milioni di euro l’anno.
Sempre in materia di infrastrutture e regolazione, il decreto all’articolo 16 comma 1, rafforza i poteri dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) sulle concessioni autostradali, estendendo il compito di verifica di tariffe e assetti regolatori anche alle vecchie concessioni (quelle esistenti al 28 dicembre 2011) e non solo a quelle nuove e future. Si tratta di una significativa estensione di poteri ma che già ha dato luogo a diverse interpretazioni sulle reali possibilità di ART di intervenire sulle concessioni e relative convenzioni in corso di validità (praticamente tutte e con scadenze assai lontane nel tempo).
Inoltre la stessa norma aggiunge il parere della stessa ART per la revisione degli atti convenzionali vigenti, per la revisione delle tariffe e al verifica sugli investimenti effettivamente realizzati. Atti che restano sempre di competenza del Mit e del Mef (ministero dell’economia) da emanare con decreto. Quindi, se da un lato si estendono le funzioni di ART – e questo è certamente positivo – siamo però ancora lontani dai poteri di una Autorità indipendente sulla regolazione delle concessioni autostradali.
Nel decreto – sempre all’articolo 16, ma comma 2 – si anticipano 192 milioni di euro (già presenti nel Bilancio 2018) a favore di Strade dei parchi Spa, concessionaria della autostrada Roma-L’Aquila-Teramo (gruppo Toto,) al fine di avviare subito le opere più urgenti di messa in sicurezza sismica dei viadotti della A24/A25. Anche in questo caso è lo Stato che deve intervenire per mettere in sicurezza una autostrada in regime di concessione privata, a conferma dei gravi limiti delle attuali convenzioni autostradali.
Nasce infine la cabina di regia «Strategia Italia», a Palazzo Chigi, per il monitoraggio e il rilancio dei programmi di investimento in opere pubbliche, in particolare quelli per dissesto idrogeologico, antisismica, bonifiche. Anche questa non è una novità perché anche i governi precedenti avevano varato misure analoghe di coordinamento e vigilanza sugli investimenti.
Un limite oggettivo del decreto legge per Genova, è che prevede la redazione e approvazione di 43 decreti attuativi, che allungheranno i tempi di attuazione di diverse misure previste dalla norma. C’è da augurarsi che i tempi siano rispettati per avviare rapidamente la ricostruzione e dare una soluzione reale alle famiglie sfollate.
Ancora assenti le proposte del Governo sulle nuove regole per le concessioni autostradali
Quello di cui invece non c’è decisamente traccia nei provvedimenti e nel confronto politico riguarda le proposte del governo sulle nuove regole per le concessioni autostradali, in cui riequilibrare il rapporto distorto tra interesse pubblico e interesse privato, come è emerso in modo chiaro dopo il disastro di Genova, quando sono stati resi finalmente noti gli atti convenzionali di tutte le concessionarie autostradali, a fine agosto.
Ma su tutto questo per ora il governo tace, nonostante le pesanti accuse del vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio al sistema delle concessioni autostradali ed ai governi precedenti di destra e di sinistra per aver assicurato un sistema sbilanciato verso i profitti privati a scapito dell’interesse pubblico, degli investimenti e della manutenzione della rete. Questo silenzio non sorprende perché è nota la distanza tra il movimento Cinquestelle ed il partito della Lega, assai contiguo nelle regioni del Nord al sistema delle concessioni autostradali.
Anche dal fronte della procedura di revoca avviata dal governo e dal Mit con la contestazione della concessione ad ASPI per le inadempienza, non ci sono novità: ASPI ha consegnato le sue controdeduzioni e ora sono in corso le valutazioni da parte del governo e del Mit. Anche in questo caso c’è da immaginare che i tempi di decisione non saranno brevi.
In corso è anche la verifica sulle grandi opere come Terzo Valico e Gronda autostradale di Genova. Ma serve una idea di città del futuro.
Nella nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2018 (NADEF), presentato dal governo a fine settembre e condiviso dal Parlamento, viene descritta l’importanza degli investimenti pubblici su cui “invertire la tendenza negativa in atto da molti anni e precipitata ulteriormente dall’inizio della crisi”, con l’obiettivo di raggiungere almeno il 3% di investimenti in rapporto al PIL. Quindi, la solita invocazione degli investimenti come volano dell’economia e dell’occupazione a cui ci hanno abituato da sempre governi di destra e di sinistra degli ultimi 30 anni.
Ma questa invocazione viene mitigata nello stesso documento NADEF quando il governo in modo opportuno “ribadisce la sua intenzione di portare a compimento gli investimenti strategici seguendo standard rigorosi di efficienza e, a questo scopo, intende sottoporre ad una analisi costi-benefici e ad un attento monitoraggio le grandi opere in corso (i.e. la Gronda autostradale di Genova, la Pedemontana Lombarda, il Terzo Valico, il collegamento tra Brescia e Padova e la tratta Torino-Lione). Una verifica che sta svolgendo la Struttura Tecnica di Missione del Mit e che nei prossimi mesi darà conto dei primi risultati di questa verifica, incluse le due opere legate a Genova ed al suo territorio. Vedremo i risultati e quali saranno le decisioni che verranno assunte di conseguenza.
Il tema delle grandi opere è però estremamente divisivo nel governo, come dimostrano le polemiche costanti su ogni investimento. Il vice presidente Matteo Salvini ha già dichiarato più volte che la Lega era e resta favorevole alle grandi opere come la Gronda di Genova, e che le verifiche vanno bene purché si concludano con il via libera ai lavori. Anche in questo caso dunque lo scontro con il movimento Cinquestelle è solo rimandato.
Se da un alto la verifica sulle grandi opere in corsa è opportuna, dall’altro serve anche un’idea diversa di città, di mobilità sostenibile, di riqualificazione territoriale, di resilienza ai fenomeni estremi, di capacità di contrastare il dissesto idrogeologico, di cui Genova, come tutte le grandi città, ha un forte bisogno.
Sul tavolo è già arrivata la proposta dell’architetto Renzo Piano secondo cui l’area della Val Polcevera coinvolta nel crollo del Ponte Morandi, “è di grandissima importanza”, anche se “sostanzialmente periferica”. “Ho lavorato sempre sul tema delle periferie – ha aggiunto – un’area di trasformazione, industriale e ferroviaria, un’area di straordinaria importanza per la città, Genova non può pensare di crescere né verso mare né verso monte, quindi l’area dove passava il ponte ha un grande valore urbanistico”. L’obiettivo deve essere come trasformare le vecchie aree industriali in ‘città’, “urbanizzarle”.
Ecco un’idea di città su cui coinvolgere le forze vitali della cittadinanza attiva per guardare al futuro resiliente e sostenibile dell’area metropolitana di Genova.
5 novembre 2018