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Il coronavirus e l’economia globale

La rapida diffusione del coronavirus sta avendo e avrà un fortissimo impatto negativo in Italia, in Europa e nel resto del mondo. Tutto ciò in un sistema politico ed economico-finanziario europeo e globale che appare incapace di gestire la crisi.

“L’unica crisi pericolosa è la tragedia di non voler lottare per superarla” (Albert Einstein)

Uno spettro si aggira per l’Europa, direbbe qualcuno, ma, questa volta, si tratta di uno spettro tanto impalpabile quanto insidioso che sta mettendo a dura prova la tenuta finanziaria ed economica del nostro Paese (e non solo). Il progressivo propagarsi del COVID-19, un virus della famiglia dei coronavirus e fratello di quello che provocò l’epidemia di SARS all’alba del nuovo Millennio, sta scuotendo i mercati finanziari e i fondamentali macroeconomici. Nessuno si azzarda ancora a dare previsioni definitive ma tutti sono concordi nel tagliare drasticamente quelle che ormai sono ritenute stime di crescita decisamente ottimistiche: la crescita ipotizzata per il 2020 per l’Eurozona sta diventando di pochi decimali sopra lo zero.

Alan Greenspan, storico presidente della Federal Reserve che ha traghettato gli Stati Uniti nel nuovo Millennio lasciando in eredità quella che sarebbe diventata una crisi finanziaria (e reale) senza precedenti, fu il primo nel dicembre del 1996 a usare il termine irrational exuberance in riferimento al fenomeno della dot-com bubble degli anni Novanta. Un termine destinato a sicura fortuna, visto che Robert J. Shiller, professore a Yale e premio Nobel nel 2013, decise di scrivere intorno a questo concetto addirittura un libro. Il raggio d’azione del significato di ‘euforia irrazionale’, concetto nato in relazione all’osservazione di forti dinamiche rialziste senza apparenti motivazioni economiche, è però facilmente estendibile anche a comportamenti opposti rispetto a quelli alla base di una bolla speculativa. La paura del tracollo diventa essa stessa causa del tracollo. 

Il sociologo statunitense Robert K. Merton, che per primo introdusse nel 1948 il concetto di profezia che si autoadempie nelle scienze sociali, sarebbe fiero di osservare quanto i mercati finanziari sono diventati efficienti nell’alimentare le proprie paure e i propri entusiasmi. Forse l’aver delegato a robot la maggior parte del trading giornaliero ha una sua dose di responsabilità. Quel che è certo è che oggi viviamo in balìa degli umori di trader e computer. In ogni caso, quali che siano le ragioni tecniche – e sicuramente continuare a consentire ai trader lo short selling non fa che esasperare le tensioni speculative – fa impressione vedere la Borsa di Milano bruciare in poche sedute più di un anno di guadagni. A prescindere dai futuri possibili rimbalzi, stiamo navigando a vista e il fatto che alla guida ci siano operatori (e computer) così volubili aumenta, e di molto, la preoccupazione.

Il panic selling che stiamo osservando in questi giorni ha precedenti illustri e relativamente recenti. All’apertura delle borse, il 24 giugno del 2016, poche ore dopo l’esito positivo del referendum della Gran Bretagna sulla Brexit, il FTSE MIB si contrasse del 12,48%. Era un venerdì. Il lunedì bruciò un altro 3,94%. Per trovare il secondo precedente, bisogna tornare indietro di qualche anno, rievocando l’estate bollente – non solo per la temperatura – del 2011: durante il mese di agosto, si registrarono almeno quattro sedute di fuoco (1 agosto, -3,87%; 4 agosto, -5,16%; 10 agosto, -6,65%; 18 agosto, -6,15%). 

Furono i giorni in cui arrivò la famosa lettera dove Trichet e Draghi indirizzavano al Governo italiano una serie di richieste volte a condizionare il sostegno europeo a drastiche misure di risanamento economico. Ci volle un anno, un governo di impegno nazionale e il celebre discorso del whatever it takes del nuovo presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, a calmierare una volta per tutte le tensioni che minacciavano di far cadere un paese, il nostro, too big to fail.

Ma non c’è solo il COVID-19 a scuotere i mercati finanziari. C’è anche la guerra del petrolio provocata dal mancato accordo tra Russia e Opec sui possibili tagli alla produzione per non far crollare i prezzi, data la probabile forte contrazione della domanda globale. L’Arabia Saudita, quasi per ripicca rispetto alla posizione di Mosca contraria ai tagli, ha allora aumentato l’offerta, innescando una pericolosa guerra al ribasso finalizzata a rubare quote di mercato ai rispettivi concorrenti. E con il prezzo del greggio in picchiata si riaprono inquietanti scenari per le già altamente indebitate società dello shale oil, nome che identifica una particolare tecnica di estrazione del petrolio molto costosa su cui gli Stati Uniti hanno puntato negli ultimi anni per affermare la propria indipendenza energetica.

In tutto questo spaventa l’assenza dell’Europa, intesa come entità unita e formata da Paesi che si sentano parte di un progetto comune. Non solo manca una risposta coordinata dal punto di vista del contenimento sanitario del virus, ma stiamo assistendo a una vera e propria gogna mediatica nei confronti dell’Italia, diventata metafora di un paese malato che va messo in quarantena e curato (anche economicamente?). E il puntare in questo modo il dito contro l’Italia ricorda molto la metafora in cui si cita la pagliuzza senza vedere la trave nel proprio occhio. 

Abbiamo bisogno di una risposta comune forte in grado di isolare questo virus e di piani di sostegno all’attività economica sia a livello nazionale sia a livello europeo per fronteggiare quello che a tutti gli effetti si prospetta essere un drastico calo della domanda che interesserà non soltanto l’Eurozona. Le manovre che il Governo italiano sarà giustamente costretto a varare porteranno sforamenti di bilancio rispetto a quanto precedentemente concordato con l’Europa. Esistono spazi di azione aggiuntivi di fronte a eventi eccezionali, ma rimane la sensazione di un apparato sovranazionale più attento ai conti pubblici che alla crescita della propria aerea. Si combatte uno spettro invisibile. Soli e male accompagnati?

* Giovanni Carnazza, Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Economia